mercoledì 30 dicembre 2015

LA SCELTA DI BELODEDICI

Nel calcio odierno, dove i giocatori si trasferiscono principalmente per soldi o al termine di laboriose trattative, la figura di Miodrag Belodedici sarebbe la classica mosca bianca.
Il perché va ricercato nella scelta da lui compiuta nel 1989, quando, pur di giocare per la squadra del suo cuore, mette a repentaglio la sua carriera e la sua libertà.
 

Nato a Socol in Romania nel 1964 da madre rumena e padre serbo, è proprio con i dettami di quest'ultima etnia che viene cresciuto ed educato, tanto da incominciare a parlare la lingua rumena solamente al termine della scuola elementare.

giovedì 17 dicembre 2015

DI CORSA CONTRO IL RAZZISMO

L'abolizione della schiavitù ha di fatto messo fine ad uno degli abomini peggiori dei quali si è macchiato il genere umano.
Tuttavia le privazioni e le angherie nei confronti degli ex schiavi sono continuati per anni, tanto che sembra quasi riduttivo parlare di loro come cittadini di "serie B".
Nel mondo sportivo le cose vanno nello stesso modo, considerato il fatto che molti paesi del Sudamerica vietano agli atleti di colore di gareggiare in qualsiasi disciplina.
Come sempre in questi casi occorre arrivare ad un punto di rottura e, come accade frequentemente, tocca al calcio  essere il veicolo per la risoluzione di tale triste situazione.
Proprio un calciatore di colore si impone alla cronache nei primi anni del XX secolo, in un paese come l'Uruguay da tutti riconosciuto come un esempio di integrazione e progresso sociale.
Il nome di tale autentico fenomeno è Isabelino Gradin, vero e proprio atleta a 360 gradi e personaggio leggendario per tutto il Sudamerica.
 
 
La sua famiglia è originaria del Lesotho e come molte altre beneficia del particolare e positivo ambiente di Montevideo per ricostruire una vita dignitosa dopo anni di sofferenze.

venerdì 11 dicembre 2015

IL MONDO DEGLI APODOS SUDAMERICANI


Sarà che i cognomi sono molto simili, sarà la forte ironia presente in quella zona, fatto sta che L'america delSud non solo sforna talenti calcistici in quantità industriale ma regala anche perle come i nomignoli o apodos dati ai calciatori. Anzi, si possono addirittura dividere per categoria:
Per esempio dal luogo di nascita, come Tevez, chiamato FUERTE APACHE come il barrio in cui è nato. Poi troviamo EL PAMPA Sosa, cresciuto nell'immensa foresta argentina, EL GRINGO (termine utilizzato in America Latina per chiamare stranieri con diversa cultura) Heinze e Ronaldinho, detto EL GAUCHO (abitante di una zona del Brasile).
Se per il popolo sei veramente un FENOMENO (Ronaldo, quello autentico) potrai essere eletto PRINCIPE (Milito o Francescoli) IMPERATORE (Adriano) o incoronato O'REI (Pelè). Con i capelli lunghi potresti diventare EL REY LEON (Batistuta).
Passando alla categoria O'ANIMAL (Edmundo) si parte con specie aggressive (EL TIGRE, EL LOBO, ESCORPION Higuita o EL MURCIELAGO Mista), gi animali da fattoria come EL POLLO Olivera, EL PATO Abbondancieri, EL PICHON Burdisso, EL BURRITO (asinello) Ortega e LA GALINA DE ORO Maxi Lopez. Da ricordare anche EL MONO (Scimmia) Burgos. Attenzione! Tra questi animali è facile trovare qualche PIOJO o PULGA! (pidocchio o pulce, Claudio Lopez e Messi)


                                                           ( "El Mono" German Burgos)
 
Per gli amanti dei cartoon troviamo EL KUN Aguero (derivnte da KUM KUM, un personaggio manga) BAM BAM Zamorano, EL CHAHA (dalla somiglianza alla maga di un cartone animato, Chachavacha) Forlan e LA BRUJITA (streghetta) Veron.

mercoledì 9 dicembre 2015

EL ZARAGOZA VA A GANAR

Quando non si hanno a disposizione grandi campioni o presunti tali, l'unica strategia per vincere è quella di puntare su di un coeso e valido gruppo, mettendo a capo dello stesso un allenatore capace e carismatico. 
Molte volte tali parametri hanno avuto la meglio sul blasone ed il valore sulla carta altrui, ribaltando in pieno i troppo facili pronostici della vigilia.
L'edizione 1994/1995 della Coppa delle Coppe rientra in pieno in tale casistica, proprio perché a vincerla è una squadra in apparenza inferiore alle avversarie, ma superiore per spirito ed organizzazione tattica.
Guidata in panchina da Victor Fernandez, il  ottiene il trofeo più importante della sua storia, con un apice finale davvero particolare.


L'allenatore sfrutta al meglio gli anni passati alla guida della squadra della sua città, per implementare un sistema di gioco sulla carta semplice ma molto efficace.

venerdì 4 dicembre 2015

CURIOSIDAD: CLUB SPORTIVO ITALIANO

Anni '50. Il futuro, nell'Italia del dopoguerra è più grigio che mai. Tempo di far le valigie, partire verso l'America, verso i sogni di felicità e successo. Una delle mete favorite? Argentina, Buenos Aires. Migliaia di persone partirono per il "nuovo mondo" portandosi non solo la classica valigia di cartone ma anche la passione più grande... il calcio.
Ed è proprio a Buenos Aires, nel distretto di "La Matanza" che la storia del Club Sportivo Italiano ha inizio. Durante un torneo chiamato "Fernet CUP" si decise di riunire tutti i migliori giocatori (tutti italiani, ovviamente) e di formare una squadra sola, l'Associazione del calcio Italiano in Argentina (A.C.I.A). E' il 1955 e Pasquale Centrone è il presidente della prima squadra di italiani in terra Argentina.
 

 
Il colore della divisa? Che domande... Bianco, verde e rosso, sostituiti poi negli anni dalla classica maglia azzurra della Nazionale ma con richiami costanti al Tricolore.

mercoledì 2 dicembre 2015

EL LOCO HOUSEMAN

La storia del calcio è colma di calciatori che solo sporadicamente o parzialmente hanno messo in mostra concretamente il talento che madre natura ha donato loro.
Molti di questi campioni hanno pagato una personalità troppo fragile per imporsi ad alti livelli o, al contrario, si sono persi nel momento migliore della carriera, pagando un carattere difficile ed intransigente.
In Argentina di fronte a giocatori dal temperamento particolare ed imprevedibile si usa il termine Loco, vezzeggiativo che identifica molti personaggi che hanno fatto comunque la storia del calcio sudamericano.
Uno di questi è sicuramente René Houseman, in assoluto una delle ali più forti di tutti i tempi ed autentico incubo per qualsiasi difesa negli anni '70.


Nato a La Banda nel 1953, Houseman cresce calcisticamente nei Defensores de Belgrano, dove viene immediatamente notato dall'Huracan, che lo acquista nel 1973.

venerdì 27 novembre 2015

INFORTUNI, SQUALIFICHE E FUMETTI...

Altro appuntamento con gli aneddoti calcistici di Adriano Meazza direttamente dalla redazione del giornalino "Induma Insà", che come sempre ringraziamo per la collaborazione.
 
La “Samp dei vecchietti”: Definizione ricorrente a fine anni ’50 ed inizio ’60 ad indicare la compagine blucerchiata composta in prevalenza da calciatori che si avvicinavano alla trentina o superavano questa soglia. Vecchietti, invero, arciarzilli: ricordiamo i vari Pin, Farina, Agostinelli, Chiappin, Ocwirk, Skoglund, Cucchiaroni, gli slavi Veselinovic e Boskov
 
 
(come allenatore, tanti anni dopo fu alla guida della Samp che conquistò lo scudetto nel 90 – 91), il laterale Vicini (all’epoca relativamente giovane, che parecchi anni dopo divenne CT della nazionale). Grazie a loro, la formazione blucerchiata

mercoledì 25 novembre 2015

IL FIGLIO DI DIO

Agli albori del 900 il calcio italiano inizia a darsi una parvenza di tattica ed a stabilire in termini molto semplici le funzioni dei vari ruoli sul rettangolo di gioco.
L'interpretazione di questi ultimi è ovviamente un tantino grossolana, specialmente per quanto riguarda i compiti dei difensori, chiamati esclusivamente a spazzare l'area ed a marcare il diretto opponente, interpretando i primi rudimentali concetti di fuorigioco.
Dal 1909 però nelle giovanili del Milan inizia a brillare un giovane talento che, dopo aver fatto sue tali mansioni, le rivoluziona attraverso una nuova interpretazione del ruolo di terzino.
Il modo nel quale gioca Renzo De Vecchi è a dir poco "moderno", tanto da renderlo un vero e proprio precursore dei grandi difensori italiani che il mondo del calcio conoscerà negli anni a venire.
 
 
Inizialmente viene schierato coma ala sinistra, ma ben presto arretra il suo baricentro per giocare definitivamente come terzino di fascia sinistra.

mercoledì 18 novembre 2015

OLEG SALENKO

Il Mondiale ha la particolare capacità di consacrare definitivamente un grande campione o di far conoscere al grande pubblico qualche potenziale fuoriclasse.
La più importante competizione per nazionali talvolta mette in mostra però giocatori che solo nel mese di competizione mostrano un particolare talento o una temporanea quanto strabiliante abilità.
Molti giocatori conoscono al campionato del mondo una momentanea gloria, che pian piano svanisce e diventa anno dopo anno sempre più effimera.
I casi in questione sarebbero tanti, ma uno in particolare spicca su tutti, in virtù di una carriera decollata all’improvviso e precipitata dopo l’apice del Mondiale 1994.
Proprio negli USA Oleg Salenko si laurea capocannoniere del torneo, per poi perdersi tra problemi di vario tipo.




Il suo nome inizia a circolare all’indomani del Mondiale Under 20 del 1989, quando con la rappresentativa sovietica vince la classifica cannonieri con 5 reti, mettendosi in mostra come uno dei talenti più interessanti della sua annata.

martedì 10 novembre 2015

CHI MI DAI IN CAMBIO DI MARADONA?

Nel 1980 il Boca Juniors perfeziona l'acquisto di quello che per molti è il giocatore più forte di tutti i tempi, Diego Armando Maradona. Tale operazione si perfeziona al termine di una lunga trattativa, arrivata in porto battendo sul tempo altri blasonati club, desiderosi anch'essi di tesserare il futuro Pibe de Oro.
I dirigenti del Boca compiono un gravoso sacrificio economico, versando nelle casse dell'Argentinos Juniors 2 milioni di dollari, aggiungendovi il cartellino di ben 4 giocatori.
Se la cessione di Miguel Angel Bordon, Mario Zanabria e Carlos Damian Randazzo sembra passare in secondo piano, quella di Carlos Horacio Salinas getta nello sconforto più di un tifoso degli Xeneizes.
Infatti tale ottimo centrocampista è uno degli idoli della tifoseria della Bombonera, nonché del giovane Diego Armando Maradona e di suo padre Don Diego.


Nato a San Miguel de Tucuman nel 1954, Salinas cresce calcisticamente nel River Plate dove ha la possibilità di esordire in prima squadra nel 1974, disputando 12 partite nella stagione in questione.

mercoledì 4 novembre 2015

ALEN BOKSIC

Agli inizi degli anni '90 dal campionato francese emerge un giovane attaccante croato dotato di grandissima potenza e di purissima tecnica, in grado di far impazzire qualsiasi difesa e di essere altamente incisivo in zona gol.
Un tale talento non può passare inosservato agli occhi dei grandi club europei ed intorno a lui si scatena una vera e propria asta, dove le voci, vere o presunte, si susseguono giornaliere.
Nel 1993 tale talentuoso centravanti approda in Italia, per imporsi come uno degli attaccanti più completi e decisivi del campionato.
L'unica pecca di Alen Boksic è probabilmente la scarsa confidenza con la rete, in parte dovuta al grande lavoro da lui svolto in fase offensiva.


In patria cresce calcisticamente nell'Hajduk Spalato con il quale fa il suo esordio a soli diciassette anni, mettendosi in mostra come uno dei profili più interessanti dell'intero calcio slavo.

mercoledì 28 ottobre 2015

ALBERTO TERRY

In qualunque parte del mondo non è difficile imbattersi in calciatori che per varie ragioni hanno speso la loro intera carriera nel proprio paese di origine.
Come tutti sappiamo tale situazione sembra normale per quelli provenienti dalle nazioni di riferimento nel panorama calcistico, ma appare particolare per chi proviene da paesi dove il calcio è meno diffuso o meno ricco.
Questi ultimi si ritrovano a giocare in contesti molte volte al di sotto del loro valore, privilegiando la sensazione di essere idolatrati dal proprio pubblico alla fama ed al denaro.
La completa identificazione ad una squadra di club o ad una nazionale rende tali giocatori autentiche leggende nel proprio paese, restando però poco conosciuti agli occhi del pubblico internazionale.
Un esempio tipico di tale fenomeno lo si può riscontrare analizzando la carriera di Alberto Terry, uno dei migliori giocatori della storia calcistica peruviana.


Soprannominato "Toto", nasce a Lima nel 1929 e sin da bambino inizia la trafila nelle giovanili del Club Universitario de Deportes, con il quale fa il suo esordio nella massima serie a soli 18 anni.

mercoledì 21 ottobre 2015

ASPETTANDO COLAUSSI

Nel 1938 la nazionale italiana si presenta in Francia con la ferma intenzione di riconfermarsi campione del mondo, dopo il successo di quattro anni prima.
La squadra allenata da Vittorio Pozzo parte come una delle favorite, potendo contare sulla classe di giocatori quali Meazza e Piola, ancora oggi celebrati come tra i più forti attaccanti italiani di tutti i tempi.
La squadra azzurra viene accolta molto male dal pubblico transalpino, sia per questioni di carattere politico, sia per le ancora vive polemiche del Mondiale precedente dove, a detta di molti, la rappresentativa italiana ha fruito di alcuni macroscopici errori arbitrali.
In un clima sufficientemente teso, il commissario tecnico sembra apparentemente sicuro di tutte le scelte tecniche, potendo contare su di una rosa di eccelsa qualità.
Nel ruolo di ala sinistra decide di aspettare fino all'ultimo il recupero di uno dei migliori interpreti di detto ruolo, scatenando anche qualche polemica tra i giornalisti e gli addetti ai lavori.
Questi ultimi contestano la precarietà delle condizioni dell'ala in questione, per via di alcuni acciacchi evidenziati nel finale di campionato: Pozzo non avvalora tali pareri ed addirittura chiede al contestato giocatore di rimandare il proprio matrimonio per poter partecipare al torneo.
Visto il fortunato epilogo ed il contributo dato da Gino Colaussi, pare evidente come la scelta di convocarlo sia stata a tutti gli effetti vincente.


Nato a Gradisca d'Isonzo nel 1914, cresce calcisticamente nell'Italica Gradisca, prima di passare, alla Triestina nel 1930.

mercoledì 14 ottobre 2015

TUTTO BENE

Come tutti sappiamo la grande Ungheria negli anni '50 ha segnato un'epoca, consegnando agli annali una delle più grandi squadre di sempre, per molti ancora oggi la migliore di tutti i tempi.
In quel periodo il calcio magi è il massimo riferimento in Europa e non solo, grazie anche alla presenza di formidabili e leggendari fuoriclasse.
Alla luce del basso livello odierno di tale contesto calcistico, si è soliti dare per finito il calcio ungherese all'indomani del 1956, quando la rivoluzione ha portato alla morte di migliaia di persone e spezzato per sempre la celebre Aranycsapat.
Tuttavia l'Ungheria ha continuato a produrre eccellenti giocatori ed a praticare la più pura versione del calcio danubiano, raggiungendo anche ottimi e sottovalutati risultati.
Non sembra un'eresia affermare come negli anni '60 la nazionale ungherese sia comunque una delle migliori del contesto europeo, formata da calciatori forzatamente trattenuti nel campionato nazionale dalle disposizioni governative in vigore.
Proprio in quegli anni la squadra dell'Ujpesti Dozsa e la rappresentativa dei Magyarok beneficiano dei gol di uno dei principali attaccanti del periodo per qualità e media realizzativa.
In patria Ferenc Bene è considerato un'icona, ma anche all'estero le sue gesta andrebbero ricordate e celebrate.


La sua carriera è indissolubilmente legata alla maglia dell'Ujpesti, per la quale gioca per 17 anni e con la quale vince ben 8 titoli nazionali e 3 coppe d'Ungheria.

venerdì 9 ottobre 2015

FORTEZZA GRECA

“Olympiakos, Pana, AEK, Pana, Olympiakos, Olympiakos, AEK, Olympiakos, Pana ed ancora Olympiakos”. No, non sono impazzito. E’ semplicemente una rappresentazione più o meno veritiera degli ultimi trionfi nel campionato greco.
Siamo ormai abituati da anni a veder trionfare quasi sempre l’Olympiakos, complice un ridimensionamento su più fronti di coloro che sono i rivali cittadini, il Panathinaikos. Se si aggiunge il recente tracollo dell’AEK, retrocesso nelle serie minori per poi farvi ritorno lo scorso anno, siamo veramente di fronte ad un campionato che ogni anno si colora di biancorosso.
Tuttavia nella storia calcistica greca ci si accorge come le

martedì 6 ottobre 2015

IL PERUVIANO DI FUOCO

Nel 1962 i tifosi del Milan vedono approdare nel capoluogo lombardo un giocatore proveniente dal Perù, appena acquistato dalla squadra argentina del Boca Juniors.
Il pubblico italiano è ormai avvezzo all'arrivo di calciatori sudamericani, essendo diffusa la tendenza di acquistare, da detto ambito, prolifici attaccanti o raffinati giocolieri.
Tuttavia la dirigenza rossonera decide di tesserare un calciatore dalle caratteristiche completamenti differenti, un centrocampista difensivo tignoso, versatile e dalla grande intelligenza tattica.
Tra lo stupore ed un iniziale scetticismo la squadra allenata da Nereo Rocco accoglie tra le proprie fila Victor Benitez, destinato ad intraprendere una fulgida carriera nel campionato italiano.


Nell'estate del suddetto anno la dirigenza rossonera è alle prese con il caso di Josè Germano, attaccante brasiliano molto più noto per le sue vicende sentimentali che per il rendimento in campo.

giovedì 1 ottobre 2015

PER SEMPRE IN ROMANIA

Il contesto politico nel quale una persona cresce è indubbiamente fondamentale per la sua futura crescita, determinando in maniera netta le scelte che tale individuo può o non può fare.
La storia è colma di regimi più o meno autoritari che hanno cambiato per sempre la vita di più persone e, inevitabilmente, anche quella di molti calciatori.
Se focalizziamo l'attenzione sul contesto europeo, appare evidente come gli apparati politici di molti paesi dell'est abbiano fortemente limitato la carriera di potenziali campioni, impedendo loro quel salto di qualità che le loro potenzialità avrebbe permesso.
Tale triste situazione vale anche per un paese come la Romania, per più di vent'anni assoggettata alla dittatura della famiglia Ceausescu, arrivata a controllare anche l'ambito calcistico ed a considerare i singoli calciatori come "risorse" indispensabili per il paese.
Forzatamente connessa a tale situazione è senz'altro la carriera di Nicolae Dobrin, considerato negli anni 60/70 come uno dei massimi talenti del vecchio continente.


Nato a Pitesti nel 1947, approda ben presto alla locale squadra dell'Arges Pitesti, dove  mette subito in mostra qualità eccezionali e diventa un idolo della locale tifoseria.
Con la compagine della sua città sviluppa un inossidabile legame, che lo porta a rifiutare nel tempo le offerte da parte delle più blasonate ed influenti squadre rumene.
Dobrin è in possesso di grande tecnica e di un dribbling efficacissimo, che lo rendono un trequartista imprevedibile ed in grado di compiere qualsiasi giocata.
In breve diventa celebre per le sue serpentine e per la sua capacità di saltare l'uomo, divenendo un vero incubo per gli avversari ed un valore aggiunto per l'Arges.
Consapevole del proprio talento, in campo ama muoversi libero senza nessuna impostazione tattica, trovando con continuità la giocata personale o l'assist per i compagni, abilità della quale diventa un vero e proprio esperto.
Sin da giovanissimo mostra un forte e talvolta altezzoso carattere, che lo porta il più delle volte ad avere atteggiamenti da sbruffone nei confronti degli avversari, ai quali non risparmia dichiarazioni di scherno.
Diventa ben presto un elemento importante anche per la nazionale rumena, in un momento nel quale detta rappresentativa attraversa un non positivo momento.
Alla vigilia del Mondiale del 1970 Dobrin trascina i compagni durante le qualificazioni, permettendo ai Tricolori di volare in Messico per la fase finale.
Ovviamente convocato dall'allenatore Niculescu non viene mai schierato durante le tre partite disputate dalla sua nazionale, eliminata al termine del girone.
La sua esclusione, motivata come scelta tecnica, non pare poter essere connessa alla troppa visibilità che il giocatore riscuote a livello internazionale, sostanzialmente mal vista dal regime di Bucarest.
Altre voci parlano di una sorta di vendetta messa in atto ai suoi danni per punirlo del suo rifiuto di trasferirsi alle storiche società calcistiche più vicine al sistema politico rumeno.
A livello personale non risente più di tanto della delusione, continuando a fare la differenza con la maglia dell'Arges, tanto da portarlo alla vittoria del primo e storico titolo nazionale nella stagione 1971/1972.
Nello stesso periodo torna protagonista con la maglia della sua nazionale, che grazie anche alle sue giocate vince il girone di qualificazione all'Europeo del 1972, per poi giocarsi lo spareggio contro l'Ungheria.
La sfida trova il suo epilogo nella sfida finale di Belgrado vinta dagli ungheresi, dopo i pareggi delle precedenti due partita giocate sui rispettivi campi.
Il calciatore dell'Arges segna anche un gol nella sfida di Bucarest terminata 2-2 e nell'arco delle tre sfide mette in mostra tutto il suo valore, attirando il forte interesse dei più blasonati club europei.
Per lui si muove anche il Real Madrid, che nella persona del presidentissimo Santiago Bernabeu è disposto a spendere la notevole cifra di 2 milioni di dollari per assicurarsi le sue prestazioni.
La proposta è ovviamente molto allettante, sia per il giocatore che per l'Arges, ma il mondo politico rumeno sembra pensarla in maniera contraria.
Pare che il presidente madrileno incontri direttamente il leader Ceausescu per convincerlo a lasciar partire il giocatore, ricevendo però il diniego da parte del dittatore, in quanto Dobrin sarebbe un patrimonio della nazione rumena ed essendo fatto divieto ai proprio cittadini di lavorare per società straniere.
La dirigenza madrilena tenta un ultimo assalto quando Dobrin viene invitato a Madrid per partecipare alla partita di addio del grande Francisco Gento; nonostante le insistenze ed i vantaggi economici promessi la situazione non si sblocca neanche in tale contesto.
Il calciatore vive così in una sorta di "prigione dorata", continuando a giocare a Pitesti fino al 1981 disputando 390 partite e segnando 106 gol.
La più famosa di tali realizzazioni la segna nel 1979 in una pirotecnica vittoria per 4-3 sul campo della Dinamo Bucarest, che consegna all'Arges il suo secondo ed ultimo titolo nazionale.
Il contesto internazionale sembra quasi dimenticarsi di lui, non trovando visibilità nelle poche partite giocare con l'Arges nelle coppe europee e non riuscendo più ad essere decisivo per le sorti della nazionale.
A tal proposito dopo 49 partite decide nel 1980 di dire addio alla maglia della nazionale, mettendo fine ad un rapporto abbastanza tribolato, il più delle volte a causa delle già citate influenze esterne.
Nel 1981 decide di tentare l'esperienza al Targoviste, dove però gioca solamente 13 partite, nobilitate comunque da 5 reti.
L'anno successivo non resiste al richiamo dell'amata Pitesti e decide di giocare un ultimo campionato nell'Arges, sapendo di avere la sua personale passerella di fronte al pubblico amico, che mai in futuro avrà modo di applaudire un simile talento.
A prima vista sembrerebbe la triste storia di un calciatore al quale è stato impedito di spiccare il volo verso lidi migliori, dove il suo talento gli avrebbe garantito fama ed anche un cospicuo ritorno economico.
Seppur il suo sfumato passaggio al Real Madrid resti una forte delusione, Dobrin si è sempre detto orgoglioso di quanto fatto con l'Arges, tanto da ritornarvi più volte nelle vesti di allenatore.
Quello che resta è la figura di un grande giocatore al quale è stato sistematicamente impedito di rivelare al mondo tutta la propria abilità e di essere ricordato come una leggenda anche al di fuori dell'amata Pitesti.


Giovanni Fasani

mercoledì 23 settembre 2015

TI PORTO A VINCERE LA CHAMPIONS

Josè Mourinho è sicuramente uno dei tecnici migliori degli ultimi anni, essendosi cucito addosso la sacrosanta nomea di vincente.
Le sua spiccata personalità ha attirato su di lui anche qualche antipatia, ma non vi è dubbio che sia uno dei migliori nella difficile impresa di assemblare una squadra.
Al momento è un manager da top club ed il suo nome basta talvolta per attirare grandissimi campioni, desiderosi di essere allenati dal tecnico portoghese.
La sua scalata ai massimi livelli inizia in patria, dove dopo varie esperienze passa al Porto, con il quale vince praticamente tutto.
Nella stagione 2002/2003 ottiene il suo primo Triplete, mettendo in bacheca il campionato, la coppa nazionale e la Coppa Uefa.
Come tutti sappiamo lo Special One è altamente ambizioso e la stagione successiva riesce addirittura a superarsi, vincendo con il Porto la Champions League.
I Draghi riescono nell'impresa dopo un entusiasmante torneo, vinto dopo aver eliminato turno dopo turno avversari sulla carta superiori o più blasonati.
Il tecnico di Setúbal costruisce una squadra a sua immagine e somiglianza, perfettamente organizzata, determinata e dal profilo tecnico notevole.

mercoledì 16 settembre 2015

L'ELASTICO DI RIVELINO

Ci sono giocatori che sono passati alla storia per aver dato il proprio nome ad un particolare gesto tecnico, garantendosi così l'immortalità.
Ovviamente la stragrande maggioranza di questi atleti può essere insignita dell'appellativo di campione, perché solamente i grandi giocatori possono creare una giocata nuova o un nuovo modo di interpretarne altre.
Ancora più difficile è inventare qualcosa in epoca più o meno moderna, quando i fondamentali del calcio sono perlopiù definiti e grandi campioni hanno già visto e rivisto gli stessi.

venerdì 11 settembre 2015

ANEDDOTI CALCISTICI - 3

Terza parte del nostro percorso attraverso piccoli aneddoti del passato calcistico. Ringraziamo ancora una volta Adriano Meazza ed il giornale Nduma Insà.

Anni dispari… favorevoli – Curiosità: Juan Alberto Schiaffino, uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi, vinse lo scudetto col Penarol in Uruguay nel 1949-’51 e ’53 e col Milan nel ’55, ’57 e ’59. Definizione datagli dal grande Gianni Brera e tratta da internet: “Forse il più grande regista che sia mai esistito. Aveva nei piedi due fari con i quali inventava e illuminava il gioco,”

Rinunce forzate: Le rappresentative danubiane rinunciarono in massa ai mondiali del 1950. La caotica situazione in cui versavano i paesi dell’Europa centrale non permise loro di allestire formazioni adeguatamente strutturate. Oltre a ciò, le condizioni economiche delle nazioni non permisero il compiersi di vari progetti. Morale: Austria - pur dopo una regolare iscrizione alle qualificazioni - Cecoslovacchia ed Ungheria se ne rimasero a casa. Soprattutto i magiari avrebbero potuto recitare da protagonisti: erano i tempi di una superba fioritura di campioni, con i vari Puskas, Kocsis, Czibor e Hidegkuti pronti a mettersi in mostra.     

Banks saracinesca: Inghilterra, Mondiale 1966 – Il portiere della nazionale inglese Gordon Banks stabilisce il record di imbattibilità iniziale. Per 442 minuti la sua porta non capitola; a superarlo per primo in semifinale è il portoghese Eusebio, ma soltanto su calcio di rigore. Banks migliora il record stabilito da Gilmar ai mondiali del 1958, quando il portiere brasiliano fu battuto dopo 369 minuti di gioco dal centravanti francese Fontaine.


Portieri dormienti: Nel corso di una partita di fine anni ’40, Milan-Sampdoria, disputata a Marassi, lo svedese Nils Liedholm colse impreparato l’estremo difensore blucerhiato con un tiro da metà campo, Non ricordo però il nome del malcapitato portiere doriano (Bonetti?). E sempre a proposito di Liedholm, per un passaggio sbagliato, dopo ben mille e passa minuti di calcio giocato senza incorrere nel benchè minimo errore in fase di appoggio, ricevette affettuosamente uno scrosciante applauso dal pubblico per questa… sua disattenzione.

Promesse non mantenute; Guillermo Stabile fu acquistato dal Genoa, rivale della Pro Vercelli ai tempi dei pionieri del calcio, al termine dei mondiali del 1930 svoltisi in Uruguay e nei quali fu capocannoniere con 8 reti. Il regime fascista impose subito alla società ligure di italianizzarne il nome. Era soprannominato “el filtrador” per la sua facilità di infiltrarsi in area di rigore palla al piede. Ebbe una  discontinuità di rendimento causata, oltre che da dissapori con l’allenatore, anche da infortuni di gioco (nel ’31, tentando di scavalcare il portiere alessandrino Rapetti, si ruppe la gamba destra). Giocò in seguito nel Napoli e nel Red Star in Francia prima di rientrare in Argentina, dove rimase alla guida della Seleccion per vent’anni, fatto clamorosamente insolito per quel calcio.


Fughe clamorose: Jimmy Greaves, attaccante inglese del Chelsea, venne ingaggiato dal Milan nella stagione 1961-62, ma dopo alcune partite nelle quali aveva fatto intravedere indiscusse qualità, se ne ritornò in Inghilterra. Emulò, una dozzina di anni dopo, in questa sua fuga improvvisa e che colse tutti di sorpresa, l’argentino Boyè, attaccante del Genoa che piantò tutti in asso andandosene alla chetichella.
Il Milan non lo rimpianse più di tanto, in quanto la sua sostituzione con il “classico” brasiliano Dino Sani in cabina di regia si rivelò una mossa azzeccatissima che portò alla conquista dello scudetto. Calcarono i palcoscenici italiani in quegli anni, seppur per un breve periodo, alcuni calciatori provenienti d’oltre Manica: Hitchens (centravanti dell’Inter), Law e Baker, entrambi attaccanti scozzesi del Torino.


Matteo Maggio

martedì 8 settembre 2015

HO FATTO 13...E 411 GOL!

Tra la fine del 1800 e l'inizio del 1900 si assiste in molte nazioni europee alla rapida diffusione del gioco del calcio, caratterizzata dal moltiplicarsi degli appassionati e dalla nascita delle prime società sportive.
Il passo successivo non può che essere la creazione di rappresentative nazionali, creando così i presupposti per le prime sfide internazionali tra squadre di stati diversi, creando le pionieristiche basi per le grandi competizioni che oggi stiamo ammirando.
A quei tempi l'Ungheria è una delle nazioni più attiva dal punto di vista calcistico, tanto da far esordire la sua nazionale già nel 1902, in una sfida contro l'Austria.
Viene da se che la nazione magiara è da subito considerata come un riferimento per buona parte dell'Europa, ammirata dalla sua applicazione tecnico-tattica e dai primi grandi giocatori che detta nazione propone.
A tal proposito a partire dal 1906 tutto il vecchio continente fa la conoscenza di un eccezionale centravanti, dalla media realizzativa portentosa e dallo straordinario palmares.
Imre Schlosser può essere definito come uno dei primi campioni del calcio europeo, alla luce di una lunga e strabiliante carriera.


Nato a Budapest nel 1889 si appassiona subito al gioco del calcio, tanto da esordire a soli 17 anni con la maglia del Ferencvaros, per il quale gioca fino al 1915.
Con le Aquile Verdi vince ben 6 campionati ed altrettanti titoli di capocannoniere, realizzando complessivamente 258 reti in 155 partite di campionato.
I numeri sono come sempre frutto degli scarsi dati disponibili, ma certificano comunque la figura di un eccezionale attaccante d'area, temuto da tutte le difese in quanto micidiale in fase di conclusione.
Non è però un semplice finalizzatore, ma anche un giocatore intelligente in grado di muoversi in modo arguto ed utile al gioco della squadra.
Alla luce del suo leggendario fiuto per il gol diventa anche il realizzatore principale della nazionale, per la quale fa il suo esordio nel 1906 in una pareggio per 4-4 contro la Boemia e per la quale segna il primo gol un mese più tardi contro l'Austria.
Si fa conoscere anche dal pubblico italiano a seguito della seconda partita ufficiale della nazionale italiana: a Budapest l'Ungheria vince 6-1 e Schlosser segna una doppietta.
Nel periodo considerato non esistono ancora i grandi tornei per nazionali e sono quindi i Giochi Olimpici a rappresentare il palcoscenico calcistico più prestigioso ed ambito.
Schlosser partecipa all'edizione del 1912, dove l'Ungheria viene eliminata già al primo turno per mano della forte Inghilterra.
La rappresentativa ungherese vince comunque il torneo di consolazione ed il suo prolifico centravanti realizza una tripletta in semifinale contro la Germania ed apre le marcature nella vittoria finale contro l'Austria per 3-1.
Come anticipato nel 1915 cambia squadra di club, passando all'MTK Hungaria, squadra con la quale vince altri 6 campionati ed il suo settimo ed ultimo titolo di miglior marcatore.
Anche in questo contesto i suoi gol realizzati sono superiori alle presenze: in 125 apparizioni va a segno 141 volte, risultando in assoluto il miglior giocatore della squadra biancoblu.
Nel 1922 decide a sorpresa di interrompere la sua carriera agonistica per dedicarsi a quella di allenatore ed ancora più a sorpresa opta per un trasferimento in Svezia.
Diventa infatti l'allenatore del Norrkoping, squadra con la quale non riesce però a vincere nulla, ottenendo solamente un sesto ed un quinto posto nelle due stagioni trascorse in Scandinavia.
Nella stagione 1924/1925 si propone nel medesimo ruolo nel Wisla Cracovia, dove, nonostante vinca il girone regionale, viene eliminato nel torneo finale volto a determinare il campione nazionale.
Al termine di questa esperienza decide di riprendere l'attività calcistica, spostandosi dalla Polonia all'Austria, per giocare con il Wiener Sport Club.
Per la squadra austriaca allena anche le formazioni giovanili e scende in campo 17 volte, realizzando comunque 6 reti.
La rinnovata volontà di essere un calciatore lo spinge nel 1926 a ritornare in patria per giocare nuovamente con la maglia del Ferencvaros.


Con la squadra di Budapest gioca una sola stagione, ma risulta assolutamente decisivo per il successo finale in campionato, segnando 11 reti nelle 14 partite disputate. Tale convincente prestazione gli permette di ritornare anche in nazionale, per la quale gioca le sue ultime tre partite, dove, peraltro, non riesce ad andare a segno.
Con la rappresentativa magiara chiude con l'invidiabile bilancio di 59 reti  in 68 apparizioni: per anni risulterà il miglior realizzatore di tutti i tempi e sarà Ferenc Puskas a superarlo nel 1953, segnando nella vittoria per 3-6 contro l'Inghilterra.
L'anno successivo approda al Kanzum dove chiude definitivamente la carriera, dopo 9 partite giocate ed una rete realizzata.
Riassumendo il suo bilancio finale non si può non notare i ben 13 campionati vinti da giocatore, ai quali ha partecipato con un numero ancora impressionante di gol.
Quando si parla di giocatori di quell'epoca la domanda è sempre la stessa: "Ma quanti esattamente?".
Le statistiche più attendibili parlano di 411 reti in 309 partite di campionato ungherese, con una media realizzativa che nessun altro calciatore magiaro riuscirà più nemmeno ad avvicinare.
I gol segnati nell'era pionieristica vanno sempre tarati considerando il livello di tale epoca e valutando la scarsa attitudine difensiva che le squadre erano solite avere.
Tuttavia se tale idioma è valido, allora risulta valido anche quello che asserisce che "fare gol è sempre difficile e farne tanti ancora di più".
Considerato tutto questo non si può che considerare Imre Schlosser come uno dei primi grandi campioni della storia del calcio e, considerando un termine successivo alla sua epoca, un autentico bomber.


Giovanni Fasani

venerdì 4 settembre 2015

ANEDDOTI CALCISTICI - 2

Seconda parte degli aneddoti dal passato calcistico, ringraziamo ancora una volta l'autore Adriano Meazza ed il giornalino Nduma Insà.

Si diceva che Boniperti, ai premi in denaro corrisposti dalla Juventus a fronte delle partite vinte, preferisse quelli “in natura” e cioè mucche selezionate, scelte negli allevamenti degli Agnelli. Così la sua tenuta nel Novarese si allargò, diventando un’azienda modello.
Vessillo bianconero di tutti i tempi, viene subito adottato dai tifosi, ripagandoli con tutti gli sprazzi della sua genuina classe: illuminanti aperture per le punte, cross dal fondo calibrati al millimetro, nervosi guizzi verso la porta avversaria, tiri secchi e improvvisi che non lasciavano scampo ai portieri. Incarnò,”Boni”, due Juventus altrettanto belle: quella sul finire degli anni quaranta-inizio cinquanta con i superlativi danesi J. Hansen e Praest e, sempre sul finire del medesimo decennio, quella con lo strepitoso Sivori e il poderoso centravanti gallese J. Charles che, oltre a realizzare caterve di gol, riusciva, grazie alla statura supportata da una notevolissima stazza fisica, a togliere dalla propria porta, in fase difensiva, palloni che sembravano destinati in fondo al sacco. Merita una particolare menzione il gallese poiché, come il centravanti milanista Nordahl, era, sul campo,  di una correttezza esemplare (da qui l’appellativo di “gigante buono”).


“Coniglio” Altafini. E’ stato tra i più completi attaccanti approdati in Italia. Vi giunse alla fine degli anni ’50 nel campionato 1958-59, con scudetto vinto dalla compagine rossonera avvalendosi degli ultimi sprazzi della genialità di Schiaffino e della classe dell’altro “vecchio drago” Nils Liedholm e portandosi appresso il soprannome di “Mazzola”, datogli dal padre in segno di ammirazione per il grande centrocampista del Torino Valentino Mazzola, a seguito di una tournée fatta in brasile dalla squadra granata. Giocò fino a trentotto anni indossando le casacche di Milan, Napoli e Juventus. E’ rimasto negli annali calcistici l’appellativo di “coniglio”, affibiatogli dal general manager Gipo Viani, poiché, nelle mischie d’area, si “nascondeva” preoccupandosi unicamente della incolumità delle proprie gambe.

“Tacchino Freddo”. In verità il nomignolo è alquanto divertente e originale e venne affibbiato dai tifosi nerazzurri, a causa della sua proverbiale lentezza, a Eddie Firmani, centravanti di origine inglese e di provenienza sampdoriana. Venne acquistaso sul finire degli anni ’50 assieme al “lungagnone” svedese Lindskog, calciatore che non lasciò traccia nella storia del club nerazzurro (quest’ultimo proveniva dall’Udinese).



Carattere di … acciaio. Obdulio Jacinto Varela, formidabile stopper della nazionale “Celeste” (Uruguay) e suo vero trascinatore in campo e nello spogliatoio, per scuotere i suoi compagni sotto di 0 – 1 al termine del primo tempo della finalissima con il Brasile (1950) così si rivolse nello spogliatoio al centravanti Miguez: “ Non vedi che faccia da stupido ha il loro portiere?! Vorresti farmi credere che proprio tu non sei in grado di segnargli almeno due gol?” E al difensore Gambetta: “Tu devi marcare Chico. Se gli fai toccare anche un solo pallone dovrai vedertela poi con me”. Come se le sue parole fossero state profetiche, nelle ripresa ci fu la rimonta uruguagia.
Un’ultima curiosità: non perse mai un confronto mondiale; nella gara contro l’Inghilterra del 1954 si infortunò e non disputò il successivo incontro perduto contro l’Ungheria.


Corsi e ricorsi calcistici. L’Inter nell’annata 2001-02 vide sfumare lo scudetto all’ultima giornata perdendo in casa della Lazio per 4 – 2, mentre la Juventus vinceva a Udine per 2 – 0. Esiste un analogo precedente fra le due squadre e risale al campionato 1934-35. All’ultima giornata bianconeri e nerazzurri si trovavano a pari punti ed entrambe dovevano giocare in trasferta: la Juve a Firenze e i nerazzurri (guarda caso) a Roma con la Lazio. Finì che la Juve vinse a Firenze per 1 – 0, mentre l’Inter fu sconfitta per 4 – 2. Incredibile come da lassù una regia irridente e beffarda si sia divertita a far uscire dal magico bussolotto i quasi identici punteggi.

Liedholm, che allenò il Milan, la Roma e altre formazioni, aveva “il pallino” di scegliere i rinforzi per le sue squadre in base ai loro … segni zodiacali.


Matteo Maggio

martedì 1 settembre 2015

PIEDONE A ROMA

L'Italia degli anni '50 è un paese in forte ripresa economica con il calcio a fare da splendido intrattenimento.
L'interesse intorno ad esso spinge diverse abbienti persone ad investire nelle squadre italiane, rendendole in grado di acquisire le prestazioni dei giocatori più forti a livello internazionale.
Gli anni '60 si aprono però all'insegna dell'austerità ed anche al pianeta calcio è chiesto di limitare le spese per i giocatori stranieri
L' Europa ed il Sudamerica restano comunque  terra di conquista per i dirigenti italiani, alla ricerca di grandi campioni o presunti tali.
Ovviamente i mezzi per visionare i giocatori sono molto limitati e molte volte solo le recensioni di qualche addetto ai lavori risulta disponibile per il completamento della trattativa.
Decisivo in tal senso è il fiuto dei presidenti, nell'incertezza di fare un affare o di prendere una cantonata.
Nel 1959 i dirigenti della Roma, nonostante il clima votato al risparmio, decidono di tesserare un prolifico attaccante argentino, Pedro Manfredini, ancora oggi osannato dai tifosi giallorossi.


Il giocatore si guadagna il suo storico soprannome di Piedone ancora prima di scendere dall'areo che dall'Argentina lo porta nella capitale.
Tale nomignolo è però fonte di un equivoco: poche persone lo avevano visto fisicamente in precedenza e quando scende dalla scaletta dell'areo gli viene fatta una foto con il suo piede in primo piano, che per la prospettiva appare grandissimo.


In realtà i suoi piedi sono normalissimi, ma basta la foto in questione a scatenare un pizzico di ilarità e di dubbiosità sul valore del calciatore.
Tali chiacchere non tengono conto di quanto da lui fatto in patria con la maglia del Racing Club, dove ha vinto il campionato nel 1958 e dove ha segnato 28 reti in 39 partite.
Prima di accettare l'offerta della Roma partecipa alla Copa America con la nazionale, giocando tre partite e segnando un doppietta nella gara inaugurale contro il Cile.
Stranamente quelle risultano essere le sue uniche presenze con la maglia Albiceleste, nonostante le sue qualità ed una media realizzativa altissima nei migliori anni della carriera.
Per dissipare completamente i dubbi sul suo valore impegna solamente cinque minuti, sufficienti per trovare il suo primo gol nella gara d'esordio.
Si mette subito in luce come un centravanti dalla gran classe e dalle movenze rapide, in grado di trovare la rete in molti modi.
E' dotato di un ottimo spunto personale e davanti al portiere dimostra grande freddezza e lucidità nel scegliere sempre la soluzione giusta.
Detta alla perfezione il passaggio ai compagni e dentro l'area si muove alla perfezione, mostrando un gran controllo palla ed anche un dribbling efficacissimo.
Ama partire anche da lontano e la sua falcata gli permette di avere la meglio anche al cospetto di difensori veloci e rapidi nei movimenti.
Tali doti fisiche sono leggermente menomate da un infortunio subito in patria, causato da una brutta entrata di Jorge Griffa che gli rompe il menisco e gli lesiona il legamento.
Nonostante la lunga degenza si presenta a Roma in ottime condizioni e nel primo campionato realizza 16 reti.
L'anno dopo si migliora, portando le sue segnature a 20, realizzando addirittura quattro triplette nelle prime otto giornate.
Tuttavia è nella Coppa delle Fiere 1960/1961 dove il centravanti argentino risulta maggiormente decisivo per la propria compagine.
La Roma vince il torneo dopo la doppia finale contro il Birmingham, trascinata dai gol di Manfredini, che vince la classifica cannonieri con 12 reti. Molto importanti risultano le due segnate in Inghilterra nell'atto finale, che permettono alla squadra italiana di impattare per 2-2.
Le sue prestazioni continuano ad essere molto positive e nella stagione 1962/1963 vince per la prima ed unica volta la classifica dei marcatori della serie A con 19 reti.
Nelle stesso anno risulta essere il miglior realizzatore della Coppa delle Fiere in coabitazione con il brasiliano Waldo del Valencia, anche se la Roma abbandona la competizione in semifinale.
La stagione successiva arriva la prima Coppa Italia, conquistata a seguito di un'equilibrata finale contro il Torino. Manfredini è decisivo nei vari turni eliminatori e con 4 reti risulta il miglior marcatore del suddetto torneo.


E' proprio a questo punto che i descritti problemi fisici iniziano maggiormente a farsi sentire e nelle successive due stagioni gioca in pratica la metà delle partite in calendario.
Nel 1965 decide di abbandonare la Roma, con un bottino complessivo di 104 reti in 164 partite, la maggior parte delle quali realizzate nelle prime quattro stagioni.
Si trasferisce così al Brescia, dove ancora una volta viene limitato dai problemi fisici, che gli consentono di scendere in campo solo 8 volte in campionato, dove segna una rete.
L'anno successivo accetta l'offerta del Venezia neopromosso in A, per il quale gioca solamente 14 partite segnando 3 gol.
La squadra lagunare retrocede al termine della stagione e Manfredini accetta di scendere nella seria cadetta per aiutare la squadra in difficoltà.
Il ginocchio però non gli dà tregua e riesce a scendere in campo solo 8 volte, non riuscendo ad impedire la retrocessione della squadra in serie C.
A questo punto a 33 anni decide di interrompere la carriera, limitata solo nella parte finale dai già citati acciacchi.
Ancora oggi i più attempati tifosi della Roma non hanno dubbi: Manfredini è il più forte centravanti della storia giallorossa.
Ovviamente nel tempo la squadra capitolina ha avuto la fortuna di avere autentici fenomeni nel ruolo, ma il ricordo e le gesta di Piedone lo rendono immortale, anche perché alle sue segnature sono legati i primi successi.
Il suo legame con la Roma lo porta a restare in Italia al termine dell'attività, decidendo di aprire un bar che porta il suo storico e fortunato soprannome: Piedone.


Giovanni Fasani

venerdì 28 agosto 2015

FOOTBALL, FRIENDSHIP AND BEER

Mentre l'attenzione è tutta concentrata sull'inizio dei principali campionati europei, c'è n'è uno che sta per terminare. Si tratta di quello irlandese, composto da 12 squadre e giunto all'ultima parte di stagione.
Se di Inghilterra, Germania, Spagna eccetera eccetera sappiamo quasi ogni cosa, nulla sappiamo dell'affascinante torneo a strisce bianco-verdi-arancio.
Abbiamo quindi incontrato Jacopo Ghirardon, appassionato di tale campionato avendo seguito numerose partite sul posto, diventandone un vero e proprio esperto.
Ne è uscito un viaggio tra gli aspetti più interessanti; rivalità, impianti fatiscenti e quell'atmosfera che solo un paese come l'Irlanda sa regalare.
Non vi resta quindi che mettervi comodi con una bella pinta e leggere ciò che Jacopo ci ha raccontato. 
 
Come ti sei avvicinato al campionato irlandese?
Il mio primo approccio al calcio Irlandese risale al 2008, quando mi trovavo nell’isola di smeraldo per un viaggio di potenziamento del mio inglese. La mia prima partita fu tra il Bray Wanderers e il Galway United, sfida di bassa classifica vinta per 0-1 dalla squadra ospite. Da li mi sono avvicinato sempre più a questo campionato,  arrivando a seguirlo in maniera sempre più capillare fino a farlo diventare il mio campionato, visto anche un mio disamoramento verso il campionato Italiano e anche quello Inglese che comunque continuo a seguire con spirito critico.

Dai social network ho visto che diverse volte sei stato in Irlanda per seguire alcune partite. Come si svolge il tuo viaggio tipo?
Dal 2013 sono tornato in Irlanda 4 volte, seguendo principalmente il Dundalk, la mia squadra preferita nel campionato.  Nel 2013 ho assistito all’ultima giornata tra il Dundalk e il Cork ad Oriel Park (foto sotto), partita finita 4-0. Due giorni dopo sono stato a Richmond Park, stadio del St.Patricks Athletic, per la finalissima della Leinster Senior Cup, la coppa regionale, vinta dallo Shamrock Rovers per 0-1. Nel 2014 penultima giornata a Bray sempre contro il Dundalk (1-1), mentre recentemente sono tornato ad Oriel Park per il preliminare di Champions tra il Dundalk e il Bate Borisov, finito 0-0, risultato che ha sancito l’eliminazione dei Lilywhites dopo l’1-2 subito in Bielorussia.
Le partite in Irlanda in campionato si disputano prevalentemente di Venerdi sera, evitando così la sovrapposizione con i campionati Inglesi e Scozzesi che giocano di sabato.  Dunque il weekend raggiunge subito il culmine con la partita il venerdì sera, mentre il sabato di solito lo dedico al divertimento che mai manca in Irlanda e la domenica a visitare nuovi posti (sostanzialmente da Nord a Sud l’Irlanda l’ho potuta vedere tutta). Avere molte amicizie con locali mi aiuta moltissimo, mi fa vivere al massimo sia l’esperienza della partita sia di avere uno spiccato piuttosto reale di come sia la Vita comune in Irlanda.
 
 
A tal proposito: si respira il famoso ambiente anglosassone fatto di birra al pub a prescindere dal colore della sciarpa? 
Assolutamente si, con una differenza sostanziale: che in molti stadi la clubhouse è inglobata nella tribuna centrale, il che permette di gustarsi una bella pinta assieme agli altri tifosi nel pre e post gara direttamente a bordo campo: un’esperienza decisamente piacevole. Un qualcosa che rende unica l’esperienza di una gara vissuta dal vivo in Irlanda. Per altro le relazioni tra tifosi sono molto forti, dal momento che la maggior parte dei club sono direttamente gestiti dagli stessi tifosi, creando un clima di collaborazione e amicizia che va oltre la pura rivalità sportiva.
In Italia siamo ormai abituati a lunghe trafile per ottenere un biglietto per lo stadio. Come funziona invece in Irlanda?
Nei match normali di campionato, basta presentarsi in biglietteria prima della partita (possibilmente con i soldi giusti!) per comprare velocemente il biglietto ed entrare in campo: non servono ne documenti, ne tessere ne altro. Nei match di cartello è prevista una prevendita, ma anche la non serve alcun tipo di documento: mi è successo questo per la sfida di Champions del Dundalk. Il prezzo dei biglietti è molto contenuto, circa 15€ per una tribuna centrale e 10 per i biglietti Stand , ossia tribuna laterale o in terrace in piedi (principalmente dietro la porta).
 
La maggior parte dei campionati europei è già iniziata o sta per iniziare. In Irlanda siamo a poche partite dal termine. Come si svolge la stagione?
Dal 2003 ormai in Irlanda si gioca nell’anno solare, seguendo in linea di massima il calendario scandinavo. La stagione tradizionalmente inizia a febbraio con la Setanta Sports Cup, ossia la supercoppa tra le squadre della Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord, competizione (annullata in questa stagione) usata come prezioso precampionato per le squadre della League of Ireland. A Metà marzo inizia la stagione, che dura 33 giornate e finisce a fine ottobre: nel mezzo a giugno una pausa per permettere alle squadre impegnate in Europa di prepararsi al meglio. La stagione si conclude tradizionalmente con la finale di Coppa nazionale all’Aviva Stadium la prima domenica di Novembre.  Al momento a 9 giornate dalla fine il Dundalk sta dominando il campionato, con un vantaggio di 10 punti sul Cork e 12 punti sullo Shamrock e St. Pat’s.
 
 
Stadi molto piccoli ed ambiente quasi famigliare. E' questo a fare la differenza con altri campionati?
Gli stadi sono molto piccoli, per rendere l’idea nessuno stadio supera i 10 mila spettatori, ma spesso sono molto pieni e trasudano storia e passione da ogni poro: questo rende l’atmosfera particolarmente calda ed avvolgente.  I tifosi per altro preferiscono tifare in una maniera molto più “europea” con bandiere, striscioni e anche fumogeni, che seguendo uno stile più “britannico”, a testimoniare il fatto di come in Irlanda ormai da 100 anni non si veda più verso l’altra isola, tanto quanto nel calcio tanto in altri aspetti della vita comune.
 
Quali sono le squadre più forti e chi ha vinto più campionati?
La squadra principale del calcio Irlandese è lo Shamrock Rovers, che ha vinto 17 titoli e 24 coppe nazionali (anche se l’ultima risale al 1986). Dietro di loro, come titoli vinti, altre squadre di Dublino come il Shelbourne (13 titoli, attualmente gli Shels si trovano addirittura in First Division) e i Bohemians a 11. Al momento il campionato è una questione a due, con il Dundalk (10 titoli, l’ultimo conquistato proprio nella scorsa stagione), e il Cork City che sta cercando invano di tenere il passo del Dundalk. Segnalo un fatto molto particolare che raramente si vede nei vari campionati Europei: negli ultimi 10 anni sono stati 8 i campioni diversi, a testimoniare il grande equilibrio che c’è ogni anno in questo campionato.
 
Quali sono le rivalità più accese?
Il derby di Dublino, tra lo Shamrock Rovers e i Bohemians, è nettamente la rivalità più famosa e accesa del campionato. La rivalità tra i club è totale, e nasce dal fatto che i Bohemians sono il grande club del Nord di Dublino, mentre i Rovers tradizionalmente sono la squadra del Sud, anche se adesso è emigrata a Tallaght, città dell’estrema periferia di Dublino. Tra il nord e il sud delle due città scorre il Liffey, in una rivalità extra calcistica raccontata in parte da Dubliners di James Joyce. A Dublino ci sono però altri due club, St.Patrick’s e appunto Shelbourne, e le rivalità tra i 4 club principali della capitale è molto sentita. Il derby del Louth tra Drogheda e Dundalk è quello “provinciale” più acceso, vista la vicinanza e la rivalità tra le due cittadine. Altre rivalità sono quelle tra il Derry City e il Finn Harps (anche se Derry, squadra geograficamente appartenente all’Irlanda del Nord ma ormai da 30 anni presenza fissa nella LOI ha i principali rivali nel Linfield e nel Coleraine, squadre Lealiste appartenenti al campionato Nordirlandese), e tra Cork e Limerick nel derby del Munster.
 
 
Hai qualche episodio particolare da raccontarci legato a queste sfide?
Il derby tra Shamrock Rovers e Bohemians è quello che nettamente regala più spunti. La rivalità è fortissima e ogni volta che si gioca a Dalymount (storico stadio del calcio Irlandese, là dove la nazionale ha mosso i primi passi) o al Tallaght Stadium la tensione è alle stelle e la fibrillazione è molto elevata. Negli anni 2000 Tony Grant, passato dallo Shamrock ai Bohemians, venne accolto nel primo derby con una bella testa di maiale scagliata addosso dai tifosi dei Rovers che non hanno digerito il suo tradimento. Per 20 anni lo Shamrock Rovers non ha potuto disporre di uno stadio, emigrando nei vari stadi di Dublino, dopo la distruzione dello storico Glenmalure Park, fino alla costruzione del Tallaght Stadium nel 2009. I tifosi dei Bohs dunque chiamano Homeless quelli dei Rovers, mentre rifacendosi alle origini del club, quelli dei Rovers chiamano i Bohs Gypsies, ossia zingari, per altro uno dei nickname ufficiali del club rossonero. L’episodio però più grave nella storia del calcio Irlandese risale al 1979, quando in una sfida di coppa dei Campioni Dundalk e Linfield si sfidarono in pieno periodo di troubles. La sfida di Oriel Park fu un vero macello, con centinaia di feriti e con la consapevolezza che anche il calcio ormai era parte fondamentale del conflitto tra Cattolici e Protestanti, in un clima ben più pesante di un Old Firm, visto anche la particolare posizione di Dundalk esattamente al confine con il Nord.
 
Nella storia qual è stato il miglior risultato europeo di una squadra irlandese?
Nel 2010 per la prima e finora unica volta una squadra Irlandese è riuscita a qualificarsi per una fase a gironi di una competizione UEFA: Lo Shamrock Rovers infatti è stata protagonista di una strepitosa cavalcata, cominciata con il secondo turno preliminare di Champions con l’affermazione (1-0 e 0-0) contro il Flora Tallinn. Al turno successivo il Copenaghen si dimostrò troppo forte (0-1 e 0-2), costringendo i Rovers a retrocedere al playoff di Europa League, dove eliminarono clamorosamente il Partizan di Belgrado con un doppio 1-1 e il goal decisivo ai supplementari di Stephen O’Donnell (foto sotto). Nei gironi i Rovers trovarono un gruppo di ferro con Tottenham, Rubin e PAOK, totalizzando 0 punti, ma segnando un clamoroso goal a White Hart Lane che mandò in delirio gli oltre 5mila tifosi dei Rovers a Londra. Un’altra grande cavalcata fu quella dello Shelbourne nei preliminari di Champions del 2004: eliminati KR Reykjavik e Hajduk Spalato, nell’ultimo turno tennero testa al mitico Deportivo di quegli anni fino al 60’ della ripresa, quando il Depor sfondò la resistenza dei Shels vincendo poi per 3-0.
 
 
In chiusura. Quanto abbiamo da imparare noi da un campionato come quello irlandese?
Il modo in cui si vive una partita: ci si può lo stesso sfogare, tifare etc sempre però nel rispetto dell’avversario che viene visto più come un compagno di bevute che un rivale. Ne giova l’atmosfera che è sempre molto brillante. Il campionato Irlandese viene definito il campionato di Non League più bello del mondo e in un certo verso questa denominazione non è sbagliata. Le strutture magari sono fatiscenti e ci sono da apportare diverse migliorie, ma la strada percorsa è quella giusta e negli ultimi anni si stanno raccogliendo buoni frutti. Certo il campionato Irlandese non si può paragonare ad uno dei top in Europa, ma ha sicuramente la sua storia, tradizione e diversi spunti molto interessanti.
 
 
Matteo Maggio