mercoledì 30 aprile 2014

ARTUR FRIEDENREICH

Per tutti gli amanti del calcio è sempre bello andare alla scoperta delle origini del nostro amato sport, ricercando personaggi o squadre che abbiano dato per primi lustro a questo mondo che tanto ci appassiona.
In assoluto è davvero appassionante andare a ritroso nel tempo e curiosare tra le vicende calcistiche dei primi del 1900, consapevoli di andare a parare in un'epoca particolare, dove il lato sportivo è in stretta attinenza con quello politico e sociale.
Tante volte si ha a che fare con foto ingiallite e racconti dal sapore romanzesco, che denotano un'epoca ed un clima ormai molto lontano dal nostro presente tecnologico.
Proprio lo stile unico e ridondante dei giornalisti dell'epoca aiuta a rendere mitici giocatori che in tale periodo hanno giocato ed iniziato a scrivere la leggenda del calcio.
Focalizzando l'attenzione nel primo decennio del suddetto secolo sembra impossibile non celebrare uno degli attaccanti più prolifici della storia, che tanto ha fatto discutere sotto molti aspetti.
Con l'articolo in questione proviamo a tracciare un profilo di uno degli attaccanti più forti di sempre, il cui stile di vita merita davvero di essere descritto in parallelo con la sua strepitosa carriera. Tra gol, errori e varie vicissitudini, Artur Friedenreich si impone davvero come uno dei personaggi calcistici principali a cavallo tra gli anni'10 e gli anni'20.


La storia di questo straordinario calciatore può essere sviluppata tracciando un resoconto che parte dal contesto sociale per estendersi a quello calcistico, anche se i due contesti sono molte volte connessi l'uno all'altro.
L'analisi non può che iniziare dalla sua infanzia, vissuta per le strade di San Paolo, dove impara a giocare ed a muoversi velocemente, tra polvere e sporcizia. 
Voci non confermate raccontano che non era in grado di permettersi un vero e proprio pallone, dovendo accontentarsi di una vescica di mucca per tirare i primi calci.
Già dalla tenera età è visibile in lui la combinazione genetica ereditata dai genitori: la madre è brasiliana e di colore, mentre il padre è un commerciante tedesco, dal quale eredita gli occhi chiari.
Dopo i primi anni vissuti in estrema povertà, mantenuto dal lavoro come lavandaia della madre, Friedenreich passa sotto l'ala protettiva del ricco padre che gli impone di frequentare le migliori scuole brasiliane, entrando in contatto con la borghesia brasiliana di inizio '900.
Quest'ultima non vede di buon occhio la comunità di colore e tale fatto mette in difficoltà il piccolo Artur, che resta segnato da tale esperienza, vivendo il suo essere mulatto quasi come una colpa da nascondere.
La possibilità di entrare nei più importanti collegi gli apre le porte anche del mondo del calcio, dove eccelle fin dall'inizio. In questo frangente, il giovane finge di essere cresciuto in Germania, per dare un sapore internazionale alla sua discendenza e per distaccarsi dall'infanzia misera appena terminata.
Tra leggenda e realtà il suo tentativo di integrarsi con la comunità "dei bianchi" lo porta a fare diverse scelte di emulazione, tra le quali quella di lisciarsi i capelli con la brillantina per farli sembrare meno crespi. 
La società brasiliana del tempo si presenta davvero come ostile verso i neri, vietando, in certi casi, la possibilità di praticare il calcio agli atleti di colore. Un esempio per tutti è quello del giocatore Carlos Alberto, che dal 1914 utilizza la crema di riso per rendere la sua pelle più chiara ed evitate problemi.
Friedenreich tenta di integrarsi al meglio nella comunità al quale non appartiene, facendo suoi i vezzi di tale contesto: si dimostra amante della bella vita, frequentando locali notturni, bevendo alcol e fumando anche qualche sigaro.
Anche in campo il suo atteggiamento è talvolta particolare, soprattutto al momento di entrare in campo. Friedenreich entra in campo sempre per ultimo, volendo per questo sentirsi normale agli occhi selettivi di chi lo guardava dagli spalti.
Nonostante la situazione sociale non facile, siamo davvero di fronte ad un grandissimo attaccante, dotato di grande rapidità, tecnica e di uno strepitoso senso del gol, che lo rende quasi infallibile nelle conclusioni in area. La cronaca del tempo narra che in oltre 20 anni di carriera non abbia mai sbagliato un calcio di rigore.


Inoltre è fortissimo in acrobazia, cosa che lo porta a lanciarsi senza problemi su palloni impossibili, senza paura dei relativi contrasti. Le fonti riportano di una partita del 1914 dove il coraggioso centravanti esce dal campo stremato e con due denti rotti.
Da buon brasiliano non disdegna anche giocate di classe e colpi di tacco, muovendosi con grande grazia per il campo e non dando mai riferimenti ai malcapitati difensori avversari.
Leggendo queste righe sorge sicuramente una considerazione: è sicuramente un grandissimo attaccante, ma quanti gol ha segnato?
Lo scontato ritorno alla quantificazione delle marcature è sicuramente pertinente, ma la risposta non è così facile da dare, svelando un'altra particolarità delle storia del giocatore in questione.
In merito al numero delle sue reti esisterebbero due tipi di statistiche, una legata ai ricordi di compagni ed appassionati ed una elaborata sulle statistiche presenti sui due principali giornali paulisti e minuziosamente costruita nel corso degli anni.
La prima, ritenuta davvero improbabile, parla di 1239 gol in 1329 partite, con problemi nel reperire informazioni sui singoli incontri e sull'ufficialità o meno dei medesimi. In merito a questo conteggio sono stati commessi, anche diversi errori di annotazione, che la rendono ulteriormente poco attendibile.
La seconda appare sicuramente più veritiera e parla di 547 marcature in 572 apparizioni, anche se sembra evidente come un buon numero di entrambe possa essere sfuggito al tentativo di conteggio. Con il Paulistano (ora San Paolo), sua squadra per buona parte della carriera, le fonti parlano, addirittura, di 220 realizzazioni in 177 presenze.
Al di là della difficoltà nel dare un numero preciso alle sue reti, la media realizzativa è strabiliante, come strabilianti sono due importanti momenti della sua prolifica carriera. 
Nel 1919 con il Brasile partecipa al Campionato Sudamericano (l'attuale Coppa America), diventando il capocannoniere del torneo. Realizza tre reti nella partita inaugurale contro il Cile e segna quella più importante nel decisivo spareggio contro l'Uruguay.
Terminato il girone a pari punti le due squadre si affrontano il 29 maggio a Rio de Janeiro in un'epica sfida che trova il suo epilogo dopo ben 4 tempi supplementari, non essendo ancora previsti i calci di rigore. Friedenreich realizza il gol decisivo al 122° in quella che risulta la più lunga partita della storia della competizione.


In patria la vittoria viene accolta con grande entusiasmo, essendo la prima affermazione del Brasile in tale importante torneo. In particolare al neo capocannoniere viene assegnato il soprannome di "El Tigre", in virtù del grande agonismo e dalla proverbiale "fame di gol" da lui posseduta.
Friedenreich ha la possibilità di fregiarsi anche del titolo del 1922, non realizzando reti e non potendo partecipare alla finale, per una presunta decisione dell'allora presidente Pessoa di vietare ai giocatori di colore di scendere in campo.
Nel contesto internazionale il formidabile attaccante scrive una pagina importante durante una partita giocata in Europa dalla sua squadra di club, il Paulistano. Tale incontro vede la squadra paulista battere la nazionale francese per 7-2, con 3 reti di Friedenreich.


I francesi rimangono colpiti dalle qualità del forte centravanti, tanto da attribuirgli il soprannome di "re del calcio".
Forte del grande prestigio guadagnato in tali importanti contesti, per l'attaccante paulista si potrebbe aprire la possibilità di partecipare al primo campionato del mondo della storia nel 1930.
Nonostante i 38 anni Friedenreich è ancora in gran forma e sembra potersi imporre come uno dei centravanti su cui puntare.
Ancora una volta, però, una decisione extra calcistica ha la meglio sui meriti sportivi: un'infinta polemica tra la federazione carioca e quella paulista porta all'infelice decisione di escludere gli atleti paulisti, privando uno dei più forti attaccanti brasiliani della possibilità di partecipare ad un Mondiale.
Chiude il rapporto con la nazionale con 8 reti in 17 presenze, considerate le sole partite ufficiali delle quali si abbiano a disposizione statistiche.
Friedenreich continua a segnare con regolarità, avendo l'onore di realizzare il primo gol del calcio professionistico in Brasile, sempre con la maglia dell'attuale San Paolo, all' epoca conosciuto come San Paolo da Florestia.
Chiude la carriera nel 1935, lasciando più di un dubbio sull'effettivo numero dei suoi gol, ma lasciando inalterata la memoria di uno degli attaccanti più forti e completi mai esistiti.
Per gli amanti delle statistiche sarà sempre un tormento trovare cifre reali delle sue imprese, per gli amanti del calcio, invece, resterà uno degli emblemi di un'epoca calcistica molto lontana e forse un po' rimpianta.


Giovanni Fasani

venerdì 25 aprile 2014

THOMAS N'KONO

Milano, 8 giugno 1990. Inizia il mondiale italiano, il primo vero mondiale per chi, come noi, è nato negli anni 80 e ricorda poco del precedente giocato in Messico.
Una bella cerimonia in una giornata soleggiata fa da cornice all'inizio della manifestazione. 24 squadre si giocano il titolo e, come da vecchia consuetudine, a giocare la prima partita sarà la squadra campione del mondo in carica; in quel caso l'Argentina di Maradona, Burruchaga, Balbo e tanti altri, compreso qualche giocatore della precedente edizione. L'avversario è il Camerun di... Boh non conoscevo nessun giocatore. Davide contro Golia. Partita senza storia e grazie agli africani per la partecipazione; non so per quale motivo, forse per l'emozione di poter vedere una sconosciuta nazionale poter battere il colosso argentino, quella nazionale la volevo tifare, consapevole che sarebbe finita con una goleada della Seleccion.
Ricordo che ero coi miei compagni di classe della prima elementare a festeggiare la pizzata di fine anno, televisore acceso sulla partita ma purtroppo eravamo in un'altra saletta. Noi maschietti eravamo tutti uniti per tifare il Camerun, questa nazione che un tempo manco sapevo fosse in Africa. Al minuto 67 un boato arriva dalla sala tv, il Camerun è in vantaggio! Incredibile, in 2 secondi tutti in piedi a correre verso la televisione. Gol di Francois Omam-Biyik; chi??? Nessuno ci credeva, imperioso colpo di testa, Pumpido si lascia sfuggire il pallone e gol. 1-0 per il Camerun, gioco, partita, incontro.
Il giorno dopo volevo assolutamente conoscere di più, qualcosina avevo visto per via dell'album delle figurine ma dovevo sapere di più. Fu così che lessi il primo nome della lista, Thomas N'Kono, il portiere. Colui che probabilmente era arrivato in Italia per prendere una caterva di gol. Ne prese 5 nel girone, di cui 4 nell'ultima partita contro l'Unione Sovietica che però non contava nulla ai fini della qualificazione.
Camerun al primo posto e tanti saluti a tutti.
 

N'Kono all'epoca difendeva i pali dell'Espanyol, era arrivato nella squadra biancoblu 8 anni prima dal Canon Yaoundé, sua squadra per diversi anni dal 1974 e dove era cresciuto.
L'Espanyol è la seconda squadra di Barcellona per titoli vinti e nella sua militanza nella città catalana, il portiere africano non riuscirà a portare a casa nessun titolo.
Titoli invece che aveva vinto in patria, 5 campionati nazionali e 4 coppe più le due Coppe Campioni d'Africa nel 1978 e nel 1980.
N'Kono nasce il 20 luglio 1956 a Dizangue, città a sudest dello stato africano. Tanti all'inizio i sacrifici, come ad esempio le lunghe camminate per andare a vedere lo zio e poi il fratello.
La sua carriera al Canon Yaoundé inizia appunto nel 1974, anno in cui la squadra camerunense porterà a casa campionato e coppa. Successo che poi culminerà nel 1978 quando il Canon porterà a casa l'ambitissima Coppa Campioni continentale.
Il suo mentore era Vladimir Beara, ex portiere e tecnico jugoslavo da cui, a detta di N'Kono stesso, ha imparato tutto.
Nel 1982 arriva quindi la chiamata dell'Espanyol che decide di ingaggiarlo nella propria rosa a seguito anche della partecipazione al mondiale spagnolo in cui N'Kono è il titolare della propria nazionale. La squadra catalana avrà la meglio soffiandolo a Flamengo e Fluminense.
Chi c'era, ricorderà di sicuro il particolare gol di Graziani in Italia-Camerun in cui il portiere africano arrancò rincorrendo il pallone. Tuttavia, in quella partita, N'Kono si segnalò anche per qualche ottimo intervento.
 

Con l'Espanyol disputerà 241 partite, ottenendo come maggior soddisfazione il 3° posto nella stagione 1986-1987. Posizione che vale alla squadra catalana l'accesso alla successiva Coppa UEFA che si rivelerà però una beffa. Dopo aver subito appena 4 gol in 10 partite (eliminando Milan ed Inter) e dopo aver vinto la finale di andata 3-0, N'Kono e l'Espanyol subiranno 3 reti nella gara di Leverkusen ed arriverà ai rigori la sconfitta. Una brutta mazzata per il portiere camurenense.
Nel 1990 arriverà anche la retrocessione dell'Espanyol e , nel campionato successivo, accadde un fatto abbastanza curioso: durante la partita Eibar-Espanyol alla squadra di casa vengono concessi due rigori. Vengono entrambi calciati da Josè Manuel Luluaga, autentico rigorista; due tiri, due parate di N'Kono. Una partita che passò alla storia del calcio spagnolo.
Nel 1990 arriva la grande chance: il mondiale italiano. Come detto ad inizio articolo, il Camerun ci arriva da perfetto sconosciuto, i giocatori più conosciuti sono appunto N'Kono e l'attaccante Roger Milla.
Il Camerun arriverà fino ai quarti di finale dove verrà estromesso dall'Inghilterra dopo i tempi supplementari.
Finito il mondiale, l'atleticità di N'Kono non è più quella dei tempi dell'Espanyol, nonostante i tanti gol subiti nelle diverse stagioni, il portiere africano si è sempre contraddistinto per la sua elasticità e per il buon tempo nelle uscite, dando alla difesa una sicurezza in più e talvolta comandando da vero e proprio leader di reparto.
Decide, nel 1991 di accettare l'offerta del Sabadell con il quale disputerà due campionati di Segunda Division spagnola per poi migrare il Bolivia per vestire la maglia azzurra del Bolivar, squadra con cui rimarrà per 3 anni collezionando 92 presenze.
Il suo cammino in Bolivia fu abbastanza particolare: si recò nello stato sudamericano per accompagnare un suo allievo e per farlo assumere dalla formazione di La Paz. I dirigenti scelsero però il 42enne portiere camerunense e la mossa si rivelò un affare: la squadra boliviana vinse due campionati.
 
In maglia Espanyol a metà degli anni 80

Con la nazionale dei leoni indomabili disputa 112 partite e diventa vero e proprio idolo in patria e nel continente; viene nominato giocatore africano dell'anno due volte (1979 e 1982).
Viene chiamato, nel 1998, ad allenare i portieri della nazionale del proprio paese, incarico che lo vedrà impegnato fino al 2003 e successivamente dal 2009, anno in cui guidò anche da head-coach la stessa nazionale per poche partite.
Episodio curioso è quello del 26 marzo 2002: stadio "26 mars" di Bamako (Mali), alle ore 19 scendono in campo Camerun e Mali, la gara vale l'accesso alla finale della Coppa d'Africa. Poco prima della partita, N'Kono posa un oggetto magico vicino alla porta del Mali, viene visto dalla polizia e viene arrestato sul campo in quanto i riti voodoo sono vietati. Sta di fatto che la partita viene vinta dal Camerun 3-0, finale contro il Senegal e vittoria finale 3-2 dopo i calci di rigore. Per lo meno il gesto è valso a qualcosa.
 
 
Disse di lui Jean Vincent, tecnico del Camerun ai mondiali del 1982: "aveva un carisma incredibile, un effetto ipnotico sulla squadra" ed ancora: "mi feci regalare la sua calzamaglia che poi ho usato spesso nella partite tra amici: era il mio portafortuna".
Fu uno dei primi portieri a sbarcare in Europa, seguito poi negli anni successivi da tanti altri, alcuni segnalati proprio da lui. Il carisma di cui parlava Vincent fu fondamentale anche per sconfiggere gli episodi di razzismo che si verificarono nei confronti di N'Kono in giro per l'Europa.
Addirittura Gianluigi Buffon chiamò suo figlio Thomas in onore del portiere camerunense; Buffon aveva in N'Kono uno degli idoli d'infanzia, un autentico esempio da seguire (e l'ha seguito bene).
Quello che a 7 anni vedevo come un simpatico portiere pronto a subire valanghe di gol al mondiale italiano, lo vidi con occhi diversi parecchi anni dopo, quando capii che oltre ad essere un grande portiere, era, pur con i suoi difetti caratteriali, anche un grande uomo.



Matteo Maggio

martedì 22 aprile 2014

LENNART SKOGLUND

Uno sport come il calcio si basa indiscutibilmente su elementi tattici e su dati statistici, che ne fanno uno degli sport più complessi del mondo. Con il passare del tempo anche i non addetti ai lavori sono diventati avvezzi a moduli, schemi, termini specifici e via dicendo. Inoltre, è prassi comune dare giudizi sui giocatori andando a consultare i cosidetti "tabellini", per verificarne le presenze, i gol e persino gli assist.
Grazie alle televisioni ed ai vari commentatori siamo in grado di leggere con precisione una partita ed anche ad anticiparne le varianti tattiche, conoscendo in pieno le singole caratteristiche dei giocatori.
Tuttavia per tattico che sia, il calcio mantiene inalterata quella componente umana e romantica, fondamentale per attirare l'interesse e la passione degli spettatori.
Visto da questa ottica, il mondo del pallone ci ha regalato un serie di personaggi che non si sono mai adattati a particolari dettami, attirandosi i consensi degli appassionati, desiderosi di vedere, in campo, qualcosa che esulasse dallo scontato o dal preparato in allenamento.
Con l'articolo in questione si vuole descrivere uno di questi giocatori, baciato da un talento fuori dal normale, associato ad una vita privata altrettanto particolare.
Lennart Skoglund ha indubbiamente vissuto una carriera sempre fuori da ogni schema, con una storia che vede coniugarsi l'abilità in campo ad una realtà sregolata al di fuori di esso.


Nato in Svezia nel 1929, si dedica da subito al calcio con diverse difficoltà, essendo uno sport ancora dilettantistico nella nazione scandinava.
Dopo essere cresciuto nell'IK Starnjan passa all'Hammarby, dividendosi tra gli allenamenti e la giornata lavorativa come elettricista.
Dotato di un dribbling secco e tecnica sopprafina, sfrutta la sua grande rapidità nel portarsi la palla sul sinistro per concludere a rete o per fornire deliziosi assist ai compagni.
Difficile attribuirgli un ruolo, data la sua capacità di svariare su tutta la zona offensiva, disimpegnandosi alla grande sia sulla fascia che a ridosso della punta, con quella funzione, non più utlizzata, di "mezzala".
Alla vigilia del Mondiale del 1950 ed appena diciannovenne, viene ceduto all'AIK, ottenendo un appartemento in centro ed un ulteriore assunzione come venditore di persiane.
Sia il pubblico che la stampa spingono per la sua convocazione in Nazionale, apprezzandone la grande tecnica e la genialità delle soluzioni da lui proposte.
Inizialmente non viene condiderato dal commissario tecnico svedese, che non vede di buon occhio il suo scarso adattamento agli schemi.
In questo caso avviene il classico colpo di scena, possibile solo in un calcio come quello degli anni'50.
Viene organizzata una partita tra la nazionale delle federazione e quella voluta dai giornalisti, con Skoglund impegnato nella seconda compagine. La squadra della stampa vince l'incontro per 3-1 ed il biondo fantasista realizza 2 reti, incantando tutti con giocate da autentico fuoriclasse.
L'allenatore non può fare altro che portarlo in Brasile, dandogli la possibilità di mettersi in mostra davanti al mondo intero.
La Svezia termina il Mondiale al terzo posto e Skoglund gioca alla grande, attirando l'interesse di vari osservatori, tra i quali quelli del San Paolo, che lo ritengono degno di giocare nel campionato brasiliano.
L'offerta non viene accettata dall'AIK, che però non può trattenere il giocatore, essendo sommersa da cospique offerte da parte di squadre di grande livello.
Dopo solo 5 partite da lui giocate con la squadra di Stoccolma, la dirigenza svedese accetta la proposta dell'Inter e per Skoglund inizia la parte più bella e vincente della sua carriera.


A Milano l'avventura parte nel migliore dei modi, con prestazioni di grandissimo livello e la conquista di due scudetti consecutivi, dal 1951 al 1953.
L'allenatore, Alfredo Fondi, lascia ampia libertà al biondo svedese, che si muove su tutto il fronte d'attacco, creando una serie infinita di suggerimenti per i compagni di reparto, Isvan Nyers e Benito "Veleno" Lorenzi.
La squadra milanese gioca un calcio pratico basato sulle ripartenze, specialità che rende le caratteristiche di Skoglund essenziali, tanto da trovare la via della rete con buona continuità, mettendo a segno 33 reti nelle prime tre stagioni.
A San Siro diventa un beniamino, con la folla che impazzisce per le sue giocate al limite dell'impossibile: tra gli spettatori dell'epoca è opinione comune quella di considerare Skoglund come uno dei giocatori più forti che abbiano mai calcato il campo milanese.
Sembra di essere di fronte ad un prestigiatore, abile a nascondere la palla all'avversario e ad irriderlo con dribbling strepitosi, oltretutto incurante delle inevitabili botte che i difensori gli riservano per fermarlo. 
Nel 1958 ha la grande occasione di giocare il Mondiale in Svezia, a fianco del famoso trio milansita formato da Gren, Nordahl e Liedholm.
La rappresentativa svedese viene battuta solo dal formidabile Brasile in finale, dopo un ottimo torneo, dove Skoglund si mette in mostra alla grande. Mette anche a segno una rete nella semifinale contro la Germania, vinta dalla Svezia per 3-1. 
Quello che sembra lo slancio per una nuova parte di carriera si trasforma invece in un semplice "canto del cigno", lasciando il posto ad un lento ed inesorabile oblio sportivo.
L'avventura con la maglia neroazzurra continua fino al 1959, con prestazioni che tendono a calare, nonostante mantenga una media rete apprezzabile, segnando in tutto 55 reti nelle 9 stagioni a Milano.


La progressiva decadenza delle sue prove va ricercata nella sua vita privata ed in particolare in un suo vizio, quello dell'alcol.
Già quando era in Svezia, il centrocampista svedese era solito concedersi qualche bevuta di troppo, che con il tempo si sono intesificate, influendo sul rendimento in campo.
Su tale sua inclinazione si sono costruite varie voci, creando un sorta di mito in tal senso. La più divertente riguarderebbe una sorta di scommessa che era solito fare con il gestore del bar o con gli altri avventori per guadagnarsi la bevuta: Skoglund scommetteva di riuscire a lanciare in alto una monetina e di colpirla con il  tacco per poi farla cadere con precisione nel taschino della sua giacca. La leggenda narra che da tale gioco sia sempre uscito vincitore.
Altre voci, meno credibili, parlano di borracce colme di whisky in luogo dell'acqua o di bottiglie nascoste dietro la bandierina del corner; al di là della satira, il giocatore ha un vero e proprio problema sin dalle prime stagioni, che si trascina progressivamente per tutta la sua permanenza in Italia.
La stampa dell'epoca conferma che la dirigenza interista abbia provato a contattare il padre del giocatore per cercare di allontanarlo dalla bottiglia, ma abbia scoperto che il padre aveva lo stesso problema di dipendenza. I critici gli affibbiano il nomignolo di Wandissima, sia per il colore dei capelli alla Wanda Osiris, sia per la sua passione per la "bella vita"
Dopo un'incolore stagione 1958/1959, l'Inter decide di privarsi delle sue prestazioni, avendo l'impressione di avere a che fare con un giocatore ormai finito e con l'aggravante di un problema ad un ginocchio. Anche l'imminente esplosione di Mario Corso convince lo staff tecnico a puntare su quest'ultima soluzione. Scommette su di lui la Sampdoria, che lo ingaggia nella stagione 1959/1960.


A Genova alterna prestazioni altamente positive con altre deludenti, nonostante riesca a giocare con continuità ed a guadagnarsi i favori del pubblico blucerchiato.
Quando è in giornata Skoglund è incontenibile e vale da solo il prezzo del biglietto, contribuendo al 4° posto della stagione 1960/1961
Resta in Liguria tre anni, realizzando 15 reti, ma portandosi dietro il solito vizio di bere, che lo limita fortemente anche in questa esperienza.
Nel 1962 sembra davvero un giocatore finito e non più affidabile, anche se ottiene un ingaggio con il Palermo. In Sicilia gioca solo 6 partite, prima di fuggire in Svezia, con l'aneddoto di un conto per un festa di Capodanno mai saldato.
Ritenta nuove esperienze in patria, dove la sua tecnica riesce ancora a fare la differenza, tanto da guadagnarsi nuovamente la convocazione in nazionale.
Terminata la carriera nel 1966 con l'Hammarby, ha inizio per lui un difficile post carriera, segnato da gravi problemi di salute, che lo portano alla morte nel 1975.
A suo ricordo è stata messa una statua proprio di fronte all'abitazione natale, raffigurante una sua rete realizzata direttamente da calcio d'angolo.


Su di essa è visibile la parola Nacka, suo soprannome da sempre e derivato dal nome del quartiere nel quale è cresciuto.
Non vogliamo certo entrare nel merito dei problemi personali e le citazioni fornite servono solo ad aggiungere un po' di colore alla sua lunga carriera e per far rivivere un po' il clima che aleggiava ai tempi intorno all'asso svedese.
Per gli amanti di questo sport resta il ricordo di una grande campione, che ha fatto parlare di se per anni il pubblico italiano, mettendo in mostra una classe straordinaria e tale da renderlo al livello dei più grandi.
Lennart Skoglund è stato un bene per il gioco del calcio, lasciando agli altri gli schemi e il problema di contenerne lo smisurato talento.


Giovanni Fasani

venerdì 18 aprile 2014

BRASILERAO AL VIA: UNO SGUARDO ALLE 20 PARTECIPANTI

Il 20 aprile ripartirà il campionato brasiliano. Conosciamo meglio le partecipanti attraverso curiosità ed aneddoti.


ATLETICO MINEIRO


Soprannomi: Galo, Alvinegro 
Città: Belo Horizonte
Stadio: Mineirao
Piazzamento 2013: 8°
Principali trofei: 42 Campionati Mineiro, 1 Brasilerao, 1 Libertadores

Campione Sudamericano in carica, dovrà migliorare l'ottavo posto dello scorso anno. E' rimasto Ronaldinho. In rosa è presente anche Jesus Datolo, meteora del Napoli e l'ex Porto Otamendi.


ATLETICO PARANAENSE


Soprannome: Furacao
Città: Curitiba
Stadio: Arena da Baixada
Piazzamento 2013: 3°
Principali trofei: 22 Campionati Paranaense, 1 Brasilerao

Difficile ripetere la stagione 2013 con la qualificazione alla Libertadores, c'è il giovane spagnolo Fran Merida, ex Arsenal. I rossoneri provano anche a dare un'ultima chance ad Adriano, senza pretese di partire titolare.
BAHIA
Soprannome: Tricolor
Città: Salvador de Bahia
Stadio: Pituaçu
Piazzamento 2013: 12°
Principali trofei: 44 Campionati Bahiano, 2 Campionati Nordest, 2 Brasilerao
Mantenere una classifica tranquilla è il primo obiettivo dei biancorossoazzurri. Il nome più conosciuto è quello di Freddy Adu, vecchia promessa mai mantenuta in prestito dal Philadelphia Union.
BOTAFOGO
Soprannomi: Glorioso, Fogao
Città: Rio de Janeiro
Stadio: Engenhao
Piazzamento 2013: 4°
Principali trofei: 20 Campionati Carioca, 2 Brasilerao, 1 Copa CONMEBOL
Ottimo il 2013 che è valso i preliminari di Libertadores. E' andato via Seedorf e la squadra sembra risentirne. Lodeiro dovrà dar prova di essere "grande". E' rimasto Doria, promettente difensore.
CHAPECOENSE
Soprannome: Verdao, Furacao do Oeste
Città: Chapecò
Stadio: Arena Condà
Piazzamento 2013: in serie B 2°
Principali trofei: 4 Campionati Catarinense
Obiettivo è di sicuro la salvezza. Nel 2009 militava nella Serie D, in 5 anni arriva tra i grandi dopo 2 promozioni consecutive. Non spicca nessun nome famoso, vedremo se i verdi stupiranno.
CORINTHIANS
Soprannome: Timao
Città: San Paolo
Stadio: Pacaembu
Piazzamento 2013: 10°
Principali trofei: 27 Campionati Paulista, 5 Brasilerao, 2 Mondiali per Club, 1 Libertadores
Dopo la splendida stagione 2012, c'è stato un netto calo lo scorso anno, culminato da una furente contestazione dei tifosi. Via Pato, Guerrero & C. devono resuscitare.
CORITIBA
Soprannome: Coxa
Città: Curitiba
Stadio: Major Antonio Couto Pereira
Piazzamento 2013: 11°
Principiali trofei: 37 Campionati Paranaense, 1 Brasilerao
Mantenere la massima serie è obiettivo alla portata dei biancoverdi, si attende sempre l'esplosione di Keirrison, in prestito dal Barcellona dopo varie esperienze tra Benfica, Fiorentina, Santos e Cruzeiro.
CRICIUMA
Soprannome: Tigre, Tricolor
Città: Criciuma
Stadio: Heriberto Hulse
Piazzamento 2013: 14°
Principali Trofei: 10 Campionati Catarinense, 1 Coppa del Brasile
Obiettivo salvezza anche per i biancogialloneri, è arrivato il centrocampista 40enne Paulo Baier che garantirà tanta esperienza allo spogliatoio del Tigre.
CRUZEIRO
Soprannome: Raposa
Città: Belo Horizonte
Stadio: Mineirao
Piazzamento 2013: 1°
Principali trofei: 36 Campionati Mineiro, 3 Brasilerao, 2 Libertadores
Dopo 10 anni la Raposa è tornata sul tetto del Brasile. Attacco atomico (77 gol) e seconda miglior difesa (37 gol subiti). Ripetersi non sarà semplice. Occhio a Dagoberto e Goulart.
FIGUEIRENSE
Soprannome: Figueira, Furacao do Estreito
Città: Florianopolis
Stadio: Orlando Scarpelli
Piazzamento 2013: in Serie B 4°
Principali trofei: 15 Campionati Catarinense
La salvezza è il primario obiettivo dei bianconeroverdi, da sottolineare i due 7° posti nella A 2006 e 2011. Da registrare la difesa, 52 gol subiti lo scorso anno. Qui nel 2005 giocò Edmundo.
FLAMENGO
Soprannomi: Rubro-Negro, Mais querido do Brasil
Città: Rio de Janeiro
Stadio: Maracanà
Piazzamento 2013: 16°
Principali trofei: 32 Campionati Carioca, 5 Brasilerao, 1 Libertadores, 1 Intercontinentale
Stagione 2013 salvata dalla vittoria in Copa Brasil e dai due FlaFlu vinti. Sono arrivati Elano ed il giovane Lucas Mugni. Tassativo fare meglio in campionato.
FLUMINENSE
Soprannomi: Tricolor Carioca, Fluzao
Città: Rio de Janeiro
Stadio: Laranjeiras e Maracanà
Piazzamento 2013: 15°
Principali trofei: 31 Campionati Carioca, 4 Brasilerao, 1 Copa Rio
Salvo per 1 punto e già fuori dalla Copa Brasil. Serve un forte riscatto. A rafforzare l'attacco è arrivato Dario Conca (24 gol in 50 partite nel Guangzhou Evergrande).
GOIAS
Soprannomi: Verdao, Esmeraldino
Città: Goiania
Stadio: Serra Dourada
Piazzamento 2013: 6°
Principali Trofei: 24 Campionati Goiano
Non c'è più Walter che è passato al Fluminense, è rimasto Araujo che ha realizzato già 8 gol nel campionato statale. Il nuovo allenatore è l'ex Santos Claudinei Oliveira. Ottimo il 2013 terminato a 2 punti dal 4° posto.
GREMIO
Soprannomi: Imortal Tricolor, Tricolor dos Pampas
Città: Porto Alegre
Stadio: Arena do Gremio
Piazzamento 2013: 2°
Principali Trofei: 36 Campionati Gaucho, 2 Brasilerao, 2 Libertadores, 1 Intercontinentale
Via Telles, ci sono ancora Ze Roberto e l'ex Liverpool Fabio Aurelio. Ripetersi partecipando alla Libertadores sarà arduo. Obiettivo: prime quattro posizioni.
INTERNACIONAL
Soprannome: Colorado
Città: Porto Alegre
Stadio: Gigante da Beira-Rio
Piazzamento 2013: 13°
Principali Trofei: 42 Campionati Gaucho, 3 Brasilerao, 2 Libertadores, 1 Mondiale per Club
Stagione da dimenticare quella 2013 per i rossi di Porto Alegre. Interessante l'arrivo del 25enne cileno Aranguiz. In rosa anche l'ex Roma Juan.
PALMEIRAS
Soprannomi: Verdao, Campeao do Século
Città: San Paolo
Stadio: Palestra Italia
Piazzamento 2013: in Serie B 1°
Principali Trofei: 22 Campionati Paulista, 8 Brasilerao, 1 Libertadores
Dopo la chocante retrocessione bisogna mantenere a tutti i costi la A. Si attende l'esplosione del giovane attaccante Alan Kardec.


SAN PAOLO

Soprannome: Tricolor Paulista
Città: San Paolo
Stadio: Morumbì
Piazzamento 2013: 9°
Principali Trofei: 21 Campionati Paulista, 6 Brasilerao, 3 Libertadores, 2 Intercontinentali, 1 Mondiale per Club

Pato, Pabon e Ganso dietro Luis Fabiano. Sognare è possibile. E' arrivato anche Alvaro Pereira che dovrà dimostrare di essere all'altezza. 25° stagione per Rogerio Ceni.


SANTOS

Soprannome: Peixe
Città: Santos
Stadio: Vila Belmiro
Piazzamento 2013: 7°
Principali Trofei: 20 Campionati Paulista, 8 Brasilerao, 3 Libertadores, 2 Intercontinentali

Nel parco attaccanti Leandro Damiao, accostato a più squadre europee e l'ex Cagliari Thiago Ribeiro. Il Brasilerao non è in bacheca da 10 anni. Tassativo migliorare il 7° posto.


SPORT RECIFE

Soprannome: Leao
Città: Recife
Stadio: Ilha do Retiro
Piazzamento 2013: in Serie B 3°
Principali Trofei: 39 Campionati Pernambucano, 1 Brasilerao, 1 Copa Brasil

Ultima neopromossa, anche per i rossoneri obiettivo salvezza. Si punterà ancora sui gol di Neto Baiano e sull'esperienza di capitan Durval.


VITORIA

Soprannome: Leao da Barra
Città: Salvador de Bahia
Stadio: Barradao
Piazzamento 2013: 5°
Principali Trofei: 27 Campionati Bahiano, 3 Campionati Nordeste

Cavalcata eccezionale quella del 2013 culminata con il 5° posto a 2 soli punti dal preliminare di Libertadores. E' arrivato l'attaccante Souza dai cugini del Bahia.
 Matteo Maggio 


martedì 15 aprile 2014

C'ERA DEL MARCIO IN DANIMARCA

Pochi sport come il calcio riescono a rendere reali imprese che siamo invece soliti ammirare in racconti fantasiosi oppure in appassionanti film.
Non sono poche le volte nelle quali il piccolo Davide ha avuto la meglio sul gigante Golia, regalando pagine appassionanti e sfociando in quel football romantico che ancora oggi ci appassiona tanto.
In queste situazioni si parla di vere e proprie "favole", dove il protagonista della vicenda, partendo da un inizio sfortunato e complesso, ottiene alla fine il tanto agognato premio. 
Tante volte le vicende sono davvero incredibili, sfociando tanto nell'assurdo, quanto nel drammtatico.
Analizzando come la Danimarca sia arrivata a vincere l'Europeo del 1992, ci si imbatte in una trama che sembra davvero studiata a tavolino, dove la "cenerentola" scandinava si è trasformata in una celebratissima regina.
Tutto ha inizio con il consueto girone di qualificazione europeo a cui è lasciato il compito di determinare quali squadre potranno competere per il titolo insieme alla Svezia, già qualificata in quanto paese ospitante.
La Danimarca, inserita nel Gruppo 4 conquista alla fine dello stesso 13 punti , non ottenendo però il visto per i campionati europei, essendo superata di un solo punto dalla talentuosa Jugoslavia. Ironia della sorte, nel doppio scontro diretto le due squadre ottengono una vittoria ciascuna, entrambe in trasferta; saranno queste le due uniche sconfitte riportate dalle due opponenti. A fare la differenza è il pareggio ottenuto dagli scandinavi in Irlanda del Nord, laddove la squadra balcanica aveva invece vinto.
Nonostante il dignitoso cammino c'è grande insoddisfazione nell'ambiente, con il tecnico Richard Moller Nielsen preso di mira da diverse critiche, incentrate sul pessimo rapporto da lui avuto con alcuni giocatori, principalmente Michael Laudrup.


Allenatore esperto e pratico, ha legato i suoi successi con l'Odense in patria ed a livello di nazionale impone un atteggiamento a prima vista prudente, ma che sa trasformare rapidamente, anche alla luce dei talenti a disposizione.
Terminata la stagione 1991/1992 per i giocatori danesi arriva il "rompete le righe" da parte dei rispettivi club con la possibilità di gustarsi l'Europeo come spettatori. Anche il futuro del commissario tecnico sembra quindi incerto, con ogni decisione rimandata a settembre.
A questo punto gli avvenimenti sociopolitici entrano in gioco, con conseguenze destabilizzanti per il mondo del calcio e terribili dal punto di vista umano.
La regione balcanica è attraversata da un grande conflitto etnico sociale, che inizia ad insanuginare l'intero paese, mettendo in serio pericolo l'unità della nazione e la sicurezza stessa.
Non è ovviamente questo il contesto atto a parlare di tale tragica situazione, quindi è giusto limitarsi ad analizzare, in breve, cosa succede all'indomani della risoluzione ONU 757.
Con tale provvedimento, approvato il 30 maggio 1992, le Nazioni Unite impediscono a qualsiasi rappresentativa nazionale jugoslava di partecipare a manifestazioni sportive internazionali.
L'UEFA apprende la notizia solo 10 giorni prima dall'inizio dei campionati europei e reagisce nell'unico modo possibile: invita alla manifestazione la seconda qualificata del Gruppo 4, vale a dire la Danimarca, in luogo dell'ormai non più esistente Jugoslavia.
La federazione danese si ritrova ad organizzare la spedizione in pochi giorni richiamando i giocaroi praticamente già in vacanza.
L'allenatore Nielsen si trova a dover decidere la rosa dei candidati in poco tempo, dovendo comunque rinunciare al talento di Micahel Laudrup. Anche con il fratello più giovane, Brian, le cose non vanno meglio ed i rapporti con i due vengono ricuciti solo all'imminente vigilia del torneo.
Per capire il clima di confusione al momento, si può citare un divertente aneddoto:pare che il tecnico danese fosse impegnato in lavori di arredamento nella propria abitazione e che ricevuta la conferma di partecipazione all'Europeo, li abbia abbandonati in fretta e furia, lasciando ad altri il compito di portarli a termine.
Al di là delle baruffe interne, sulla squadra pende il dubbio dell'effettiva forma fisica dei giocatori, sulla carta scadente, non avendo, di fatto, svolto la necessaria preparazione preventiva.
In questa situazione il commisario tecnico fa le seguenti scelte, impostando la squadra con un versatile 5-3-2, pronto a trasformarsi a seconda dell'impostazione dei due esterni bassi o del ruolo affidato alla seconda punta.
Lo schema sotto riportato rappresenta quello che identifica al meglio lo stile di gioco danese e le principali scelte dello staff tecnico, alla luce anche di alcuni infortuni durante lo svolgimento dell'Europeo.

I
n porta Peter Schmeichel, uno dei portieri più forti in circolazione. 


Estremo difensore dal fisico possente e dai riflessi felini, è un autentico punto di forza della squadra e del suo club, il Manchester United. Dotato anche di grandissimo carisma, è il classico portiere sicurissimo nell'ordinaria amministrazione quanto spettacolare nel superarsi in autentici "miracoli".
La fase difensiva si basa sulla figura di un difensore arretrato, quasi un libero, che si stacca alle spalle dei compagni o si congiunge al momento di compattare la linea.
Tale ruolo viene svolto da Lars Olsen, esperto difensore del Trabzonspor e capitano della squadra. La sua duttilità gli permette di giocare anche da marcatore, sfruttandone la grande forza fisica e la sua abilità sulle palle alte. Come alternativa viene anche impostato Torben Piechnik, completo difensore del Boldklubben 1903.
Sulle fasce l'allenatore predilige giocatori di grande corsa, abili sia a spingere quanto a calarsi nel ruolo di veri e propri terzini, completando quello che viene impostato come un reparto a 5.
Sulla destra si disimpegna John Sivebaek, veloce e potente laterale del Monaco. Molto disciplinato e discretamente dotato tecnicamente, si presta al meglio ai dettami tattici della nazionale danese. Curiosamente, nella sua precedente esperienza nel Manchester United, ha segnato il primo gol della gestione di Alex Ferguson.
A sinistra gioca Kim Christofte, colonna del Brondby ed in grado di assicurare una spinta costante sul settore di riferimento.
Come difensori centrali vengono preferiti Kent Nielsen ed Henrik Andersen, con il secondo impiegabile anche come come esterno sinistro. Entrambi dotati di gran fisico, si dimostrano affidabili quanto rocciosi in marcatura. L'infortunio di Andersen durante la manifestazione comporta un piccolo stravoligimento tattico, con lo spostamento di Olsen come marcatore e l'inserimento di Piechnik.
La zona mediana viene coperta da due giocatori che,essendo compagni di squdra nel Brondby, portano collaudati automatismi oltre che un posivo equilibrio tecnico/tattico. John Jensen è un giocatore di grande corsa e temperamento, unitamente ad una buona tecnica di base. A tali doti di centrocampista unisce un preciso e potente tiro, che lo rende insidioso nei pressi dell'area avversaria.
A lui si affianca Kim Vilfort, giocatore completissimo ed autentico faro della squadra. Molto dotato tecnicamente, può essere impegnato sia come regista arretrato, sia come trequartista, sfruttandone la capacità di inserimento. Per tutta la carriera dimostra un grande feeling con il gol, tanto da superare le 100 reti a livello di club.


Durante la manifestazione riceve la notizia del ricovero della figlia per una grave malattia, ma decide di restare con i compagni per portare a termine l'impresa, saltando solamente un partita per stare vicino alla famiglia.
Richard Moller Nielsen punta molto su Henrik Larsen, polivalente centrocampista dalle caratteristiche offensive, impiegabile anche sulle corsie laterali. Di proprietà del Lyngby, vanta anche una non fortunata esperienza italiana nel Pisa, culminata con la retrocessione del club toscano. 
L'analisi del reparto offensivo parte dalla figura di Brian Laudrup, fratello di Michael e considerato un talento non ancora pienamente sbocciato.


Leggermente anarchico tatticamente, è in possesso di una tecnica di grande livello che gli consente giocate spettacolari quanto imprevedibli. Anche nella sua squadra di club, il Bayern Monaco, alterna prestazioni da fuoriclasse ad altre meno positive. Nella nazionale il suo ruolo di supporto alla punta ben si sposa con le sue caratteristiche, permettendogli di svariare a piacimento.
Se analizziamo lo schema tattico sopra riportato ci accorgiamo di un'assenza importante nel reparto offensivo, quella di Ben Christensen, attaccante dello Schalke 04 e grande protagonista in precedenza con il Brondby, dove ha segnato con grande continuità.. La ragione di tale mancanza ricade nel suo infortunio nelle prime fasi dell'europeo, che costringono il commissario tecnico a cambiare modulo, venendo meno il terminale offensivo principale. Alla vigilia del torneo si presenta come attaccante di ottimo livello, autore di ben 6 reti nelle qualifiazioni, 2 della quali segnate nella vittoria per 1-2 a Belgrado.
Flemming Povlsen rappresenta il terminale offensivo, interpretando il ruolo con grande versatilià. Molto potente fisicamente, si dimostra attaccante dal grande spunto ed abile a svariare su tutto il fronte di riferimento. In carriera non si dimostra mai molto prolifico, ma è assai intelligente dal punto di vista tattico, con una propensione a giocare per la squadra che lo rende apprezzato sia nel Borussia Dortmund quanto in nazionale.
Completa il reparto Lars Elstrup, attacante di buon livello in forza all' Odense. Risulta particolarmente indicato nel ricoprire più ruoli nel reparto d'attacco voluto da Nielsen e si propone come valida alternativa, anche a partita in corso.
Arrivata quindi in Svezia all'ultimo momento, la Danimarca è inserita nel girone A, con Svezia, Francia ed Inghilterra.


L'esordio avviene proprio con la nazionale britannica e termina 0-0, con la squadra scandinava che si disimpegna alla grande, giocando la partita alla pari con i forti avversari e cogliendo una clamorosa traversa con Jensen.
La squadra riceve buoni consensi all'indomani del primo match e guarda con ottimismo al secondo impegno contro i padroni di casa svedesi.
L'esito dell'incontro non è però positivo e una rete di Brolin al 58° sancisce la sconfitta per 1-0. Oltre al negativo risultato avviene anche l'infortunio di Christensen, che mette fine alla sua partecipazione alla rassegna europea.
La situazione nel girone si fa quindi molto complicata, con la Danimarca che si vede costretta a battere la Francia e sperare che la Svezia, già qualificata, faccia altrettanto contro l'Inghilterra.
Come tante volte succede nel calcio, la combinazione di risultati meno prevedibile è quella che avviene poi nella realtà: la Svezia batte l'Inghilterra 2-1 mentre la compagine danese ha la meglio su quella transalpina con il medesimo risultato.
La partita si mette subito bene, con Henrik Larsen che è lesto ad approfittare di un traversone dalla destra ed ad infilare Martini. Nel secondo tempo arrivia il pareggio francesce, ad opera di Papin. A questo punto il commissario tecnico ha l'intuizione di inserire al 66° Lars Elstrup per tentare l'assalto nella seconda parte della partita. Sarà proprio il subentrato a sfruttare un cross di Povlsen ed a regalare un'inaspettata qualificazione.
La semifinale la vede opposta all'Olanda, squadra campione in carica e sulla quale pende fortemente il favore del pronostico.
Gli aranconi si presentano forti di una tasso tecnico notevole, nobilitato dalla classe di Rijkaard, Gullit e Van Basten alla quale si unisce l'astro nascente Dennis Bergkamp, già autore di 2 reti nel torneo.
I dubbi sulla condizione fisica danese vengono dissipati da un inizio veemente, con la rete di Henrik Larsen al 5°, abile a insaccare di testa un calibrato assist di Brian Laudrup. Il pareggio degli uomini di Michels arriva al 23° ad opera proprio di Bergkamp. Appena 10 minuti dopo ancora Larsen è lesto ad approfittare di una palla in uscita dall'area di rigore e ad insaccare con un preciso destro.
A questo punto la Danimarca si difende con ordine sotto la forte spinta dei tulipani, che a 4 minuti dalla fine riescono a trovare il pareggio in mischia con Rijkaard.
Questo gol appare come la classica mazzata, soprattutto per gli imminenti supplementari, visti come un vero calvario dalla squadra di Nielsen, chiaramente in debito di ossigeno. Nonostante le difficoltà la partita viene decisa ai rigori, con Schmeichel che evita la beffa nel finale con una parata eccezionale sul tentativo di Brian Roy.
Dagli 11 metri arriva l'avvenimento che non ti aspetti: il secondo rigore per gli olandesi è calciato da Marco Van Basten, rigorista praticamente infallibile. La sua conclusione viene sventata dall'abile portiere danese con un gran balzo sulla sua sinistra. Gli altri rigoristi sono impeccabili e l'ultima trasformazione di Christofte vale l'accesso alla finale.
L'ultimo avversario è la Germania, campione del mondo in carica. Anche in questo caso il blasone, l'esperienza ed il livello tecnico fanno pendere l'equilibrio del match dalla parte della compagine tedesca, desiderosa di centrare una storica accoppiata con il Mondiale.
La squadra di Vogts ha avuto alti e bassi durante il torneo, subendo, nel giorne, una cocente sconfitta contro l'Olanda. Viene dalla vittoriosa semifinale vinta contro la Svezia per 3-2 ed è trascinata da un ottimo Thomas Hassler.
Dopo un ottimo avvio tedesco, la squadra scandinava segna al 18° con Jensen, che raccoglie un invito di Povlsen e scaglia un gran destro che si insacca all'incrocio dei pali.
Per tutta la partita la Germania mette in difficoltà la Danimarca, che si salva con il cuore e con autentici miracoli di Schmeichel, autore di almeno 4 interventi da fuoriclasse.
Quando sembra vicino alla capitolazione, la compagine di Nielsen trova la rete del 2-0 con Vilfort, abilie nell'inserirsi tra due difensori ed a battere il portiere con un tiro che tocca il palo prima di entrare. Questa rete ha davvero il sapore della fiaba, visto il grave problema cha ha afflitto il centrocampista danese. 
Per la Danimarca è il trionfo ed il massimo risultato mai ottenuto dalla sua nazionale.


Grande merito di questa storica affermazione va la tecnico, che senza preavviso e tra mille difficoltà forgia una squadra grintosa ed equilibrata, dallo spirito battagliero e sorretta comunque da ottime individualità La sua recente scomparsa ha visto grande partecipazione nella nazione, unita al riconoscimento del mondo del calcio per le emozioni regalate dalla sua nazionale.
Tria protagonisti spicca sicuramente Peter Schmeichel, lanciato verso una carriera di successi e divenuto uno dei portieri più forti di sempre.
Tra gli altri merita una citazione Henrik Larsen, il quale vive un torneo da grande protagonista, con 3 reti realizzate e prestazioni importanti. Termina il torneo come capocannoniere, insieme a Brolin e Bergkamp.


Ottimo anche Brian Laudrup che si libera del nomignolo di "fratellino di Michael", giocando da leader e dimostrando il suo innato talento. Avrà in seguito esperienze italiane con Fiorentina e Milan, con prestazioni altalenanti.
Non sembra comunque giusto parlare di singoli in una squadra che, sempre contro pronostico, ha battuto le più forti squadre europee, in bilico tra abilità, cuore ed un pizzico di fortuna.
Seppur non fortissima ed, apparentemente, non a livello delle avversarie, la Danimarca ha scritto una delle pagine più belle della storia recente del calcio, dove davvero tutti gli elementi sono combaciati per dare vita ad un finale da favola.

Giovanni Fasani