sabato 27 aprile 2019

LO ZICO DEL GHANA

Il biennio 1982/1983 rappresenta per il calcio ghanese un lasso di tempo colmo di soddisfazioni e vittorie, come dimostrano i successi della nazionale in Coppa d'Africa e la vittoria  dell'Asante Kotoko nell'African Cup of Champions Clubs .
Protagonista assoluto del periodo è indiscutibilmente Samuel Opoku Nti, attaccante decisivo per i suddetti successi, talmente bravo da essere chiamato Zico.


Prendere come riferimento il Galinho è sempre ardito ed irrispettoso, ma va detto che dalle parti di Kumasi, poche volte si sono imbattuti in un talento come il suo; doti fisiche, tecnica ed efficacia nel tiro ne fanno un profilo ideale per le squadre giovanile dell'Asante Kotoko, squadra principale della sua città natale.

mercoledì 24 aprile 2019

LA PUNIZIONE DI PIPPO

Molto difficile in tempi moderni trovare un attaccante che dia concretezza al concetto di fiuto del gol più di Filippo Inzaghi: tempismo, capacità di farsi trovare al posto giusto al momento giusto ed istinto innato hanno fatto di Pippo un eccelso goleador, nonché un autentico incubo per le difese avversarie.
Negli anni l'attaccante classe 1973 ha attratto anche diversi detrattori, tutto concordi nel considerarlo poco dotato tecnicamente e limitato nei fondamentali; uno su tutti, Jorge Valdano, lo ha anche schernito affermando che Inzaghi non sarebbe in grado di saltare "neanche una sedia".
Quest'ultimo ha più volte opposto i suoi straordinari numeri realizzativi a certe negative insinuazioni, facendo altresì leva sui tanti giudizi positivi che compagni, avversari ed allenatori gli hanno più volte dedicato.
Senza entrare nel merito di diatribe o mere discussioni da bar, può essere utile ricordare come tra i 316 gol ufficiali segnati dal centravanti piacentino ce n'è uno realizzato direttamente su calcio di punizione.


Tale prodezza viene realizzata nella stagione 1996/1997, quando un giovane Inzaghi si afferma nel grande calcio con la maglia dell'Atalanta, risultando il capocannoniere con 24 reti al termine del campionato.
Alla decima giornata la squadra affidata ad Emiliano Mondonico è di scena a Bologna, dopo un prima parte di stagione mediocre, nella quale è comunque sbocciata la vena realizzativa di Inzaghi, ispirato dal talento e dalle magie di Gianluigi Lentini e Domenico Morfeo.
La sfida contro la compagnie felsinea si mette subito male nel primo tempo, quando un autorete di Daniele Fortunato apre marcature, seguita nella seconda frazione dalle reti di Igor Kolyvanov e Pier Paolo Bresciani.
Al 73° minuto l'Atalanta si guadagna un calcio di punizione qualche metro fuori dall'area di rigore, leggermente sposata sulla sinistra, in quella che a tutti gli effetti è una conclusione ideale per un destro.
Un po' a sorpresa sulla palla di presenta Inzaghi il quale, dopo una lunga e particolare rincorsa, lascia partite un tiro potente e leggermente arcuato che supera la barriera e si insacca sotto la traversa .


Inutile risulta il volo del portiere bolognese Francesco Antonioli, abile a toccare il pallone, ma non a riuscire a mandarlo sopra il montante a causa della forza impressa dal numero 9 atalantino.
La partita si conclude con la vittoria della squadra di Renzo Ulivieri per 3-1 ed il gol di Inzaghi si rileverà utile solamente in termini statistici, nel contesto di una stagione magica per il giovane attaccante, che gli varrà la chiamata in nazionale ed il trasferimento alla Juventus in estate.
Nel proseguimento della carriera Pippo non si cimenterà più in tale dote balistica, avendo in squadra alcuni tra i miglior specialisti a livello mondiale sui calci piazzati: con uno di essi, Andrea Pirlo, affinerà un particolare movimento che lo vede deviare la sua conclusione sbucando fulmineamente a lato della barriera. A tal proposito chiedere ad Inter e soprattutto al Liverpool, punito da tale schema nella finale di Champions League 2006/2007.
E' invece il Bologna la "vittima" del suo unico e storico gol su punizione diretta, non sicuramente un tipico gol "alla Inzaghi" nella sua più pura accezione.


Giovanni Fasani


mercoledì 17 aprile 2019

LA FUGA DI LAJOS KU

Ci sono paesi che in determinati momenti storici hanno conosciuto regimi o orientamenti politici fortemente limitativi della libertà personale: l'oppressione può essere talmente forte da creare un forte clima di sospetto, dove tutte le persone possono essere incolpate di tramare contro la coercitiva guida governativa anche senza fondamento.
A maggior ragione le persone più in vista rischiano di venire coinvolti in veri e propri scandali, qualora il loro nome venga solamente avvicinato a qualsiasi tipo di fenomeno sovversivo: basta, in concreto, fare qualche sgarro alla persona sbagliata o commettere qualche leggerezza per essere accusati e magari subito incarcerati, senza che la notorietà o l'influenza di altri possa intromettersi.
A seguito dell'invasione sovietica del 1956 l'Ungheria rientra in fretta e tragicamente nel Patto di Varsavia, finendo per essere assoggettata all'influenza politica dell'URSS, intensamente influente sulla vita di tutta la popolazione magiara.
Sono note le "fughe" di gran parte dell'Aranycsapat proprio negli anni'50, con i giocatori che trovano rifugio in altri stati anche in maniera rocambolesca,pur di allontanarsi dalla pericolosa situazione.
Negli anni fino al 1989, anno dell'uscita dal Patto di Varsavia, il clima politico sociale è meno cruento ma ugualmente teso, con il contesto calcistico che vive un momento interlocutorio, con la relativa nazionale che fallisce per due volte la qualificazione al Mondiale, salvo gli exploit della partecipazione all'Europeo del 1972 e l'argento olimpico ottenuto nel medesimo anno.
In quel periodo uno dei grandi protagonisti è senza dubbio Lajos Kű valido attaccante, costretto, nel 1977, ad una precipitosa fuga dalla natia Ungheria per motivi molto lontani dal calcio.


Il calcio è sin da piccolo la sua grande passione, visto come unico svago da un'epoca di grandi privazioni come gli anni'50 nel contesto magiaro; a rendere ancora più complicata la sua esistenza arriva la morte del padre quando ha solo tre anni, costringendo la madre a trascurarlo per guadagnare quanto necessita per lui e per il fratello maggiore.

sabato 13 aprile 2019

ANDREAS KUPFER, PRIMA E DOPO LA GUERRA

L'indimenticabile Gianni Brera aveva un soggettivo quanto sensibile gusto nella valutazione dei giocatori, tenendo sotto la sua ideale alla protettrice un numero limitato degli stessi, i quali meglio rappresentavano i suoi principi teorici e pratici dell'arte pedatoria.
In pochi forse sanno che uno dei suoi giocatori preferiti era il teutonico Andreas Kupfer, uno dei centrocampisti più forti a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, nonché unico giocatore ad aver giocato l'ultima partita della Germania nazista e la prima della nuova nazionale in tempi di pace.



Perfettamente impiegabile come mediano esterno, indifferentemente a destra o a sinistra del centrocampista centrale,  abbina gradi doti difensive abbinate a notevoli doti tecniche in fase di costruzione della manovra, grazie all'estrema sensibilità con la quale gioca la palla. Le cronache dell'epoca asseriscono che Kupfer "accarezza la palla con dolcezza e la stessa estasiata le ubbidisce".

martedì 9 aprile 2019

NON SONO IL NUOVO DESCHAMPS

Il legame della Juventus con la Francia a partire dagli anni'80 è straordinariamente felice e redditizio, a partire dall'acquisto di Michel Platini fino ad arrivare a Didier Deschamps e Zinedine Zidane  campioni del mondo con la Francia nel 1998.
In virtù dell'ottimo rendimento che i due hanno offerto in maglia bianconera, Madama ha sempre un occhio di riguardo per il campionato transalpino, cercando di bruciare sul tempo altre squadre per accaparrarsi i migliori talenti di un calcio in grande evoluzione.
Nell'estate del Mondiale giocato appunto in Francia, il Metz arriva sorprendentemente secondo alle spalle del Lens, solamente per la miglior differenza reti che premia i Les Sang et Or. A trascinare la matricola della Mosella ci pensano sì i gol di Bruno Rodgriguez, ma anche un centrocampo di alto livello, nel quale tra Danny Boffin, Frederic Meyrieu e Robert Pires si destreggia Jocelyn Blanchard, ventiseienne completo e duttile sul quale Luciano Moggi scommette per la nuova Juventus 1998/1999.



L'etichetta di "nuovo Deschamps" ed i sei miliardi spesi per il suo acquisto alimentano le aspettativa sul suo conto, considerando che insieme a Zoran Mirkovic risulta essere l'unico acquisto di una campagna trasferimenti in sordina per la compagnie bianconera.

venerdì 5 aprile 2019

PANENKA, IL RAPID VIENNA ED UNA COPPA SFUMATA

Il nome di Antonín Panenka viene immediatamente associato ad un parola, cucchiaio, in virtù del modo nel quale ha realizzato il rigore decisivo nella finale dell'Europeo del 1976.
Il forte centrocampista nativo di Praga è anche un uomo simbolo del Bohemians Praga, squadra con la quale ha giocato dal 1967 al 1981 e della quale è attualmente presidente, dopo il cambio di denominazione in Bohemians 1905.
"Toni", come viene amichevolmente chiamato, ha anche nobilitato la maglia del Rapid Vienna, con il quale ha giocato dal 1981 al 1985, regalando gol e grandi giocate e contribuendo alla vittoria di due campionati e tra coppe nazionali.


La sua esperienza con i Grün-Weißen è anche legata alla magnifica cavalcata nella Coppa della Coppe 194/1985, culminata con l'approdo in finale, poi persa contro il forte Everton di Howard Kendall.



Indipendentemente dallo sfortunato epilogo, la squadra a disposizione del tecnico Otto Barić è ancora oggi ricordata da molti a Vienna, probabilmente in quanto la più forte mai ammirata dal pubblico del Gerhard-Hanappi-Stadion.
Siamo in effetti di fronte ad un undici composta dal meglio del calcio austriaco del periodo e da giocatori stranieri in grado di fare la differenza anche a livello internazionale.



Tra i pali il titolare è l'esperto Herbert Feurer, dal 1976 a difesa dei pali del Rapid Vienna, dall'alto della grande sicurezza con il quale comanda la difesa e con la quale rende semplice ogni intervento.
Tuttavia un giovane Michael Konsel si sta rapidamente mettendo in mostra: considerato in assoluto uno dei migliori portieri mai prodotti dalla scuola austriaca, lo ricordiamo nella parte finale della carriera in Italia con le maglie di Roma e Venezia. Soprannominato la Pantera per la straordinaria agilità, è un punto di forza assoluto della squadra di Barić. Notevole per l'epoca in questione la sua tendenza a giocare "alto", in quella funzione di portiere-libero che diventerà da lì a poco un must per le difese a zona.
Come terzino destro troviamo un altro giovane e futuribile elemento, Leopold "Leo" Lainer, davvero ottimale nel combinare ottime doti difensive ano spiccato senso per il gol, concretizzato più volte in perentori quanto vincenti colpi di testa ed in ficcanti incursioni.
Suo alter ego sulla corsia di sinistra è Kurt Garger, esterno navigato e solido che conferisce fisicità e discreto dinamismo prevalentemente a copertura della zona di riferimento.
Al centro della difesa spicca la figura di Heribert Weber, trentenne dotato di grande senso tattico e di elevata esperienza internazionale, maturata anche in nazionale della quale fa parte dal 1976.





E' proprio la grande abilità nella lettura delle situazione a fare del difensore di Pöls il leader del pacchetto arretrato, dominando lo stesso grazie alla grande tenacia ed alla classe del quale dispone. Non disdegna neanche gli sganciamenti offensivi (notevole la sua media realizzativa), segnalandosi a livello continentale come uno dei difensori più completi.
Accanto a lui solitamente troviamo Karl Brauneder, elemento giovane e versatile da poco arrivato dal Wiener Sport Club, impiegabile anche come centrocampista in virtù della buona visione di gioco e dell'apprezzabile senso della posizione.
In alternativa il suo posto nel cuore della difesa può essere preso da Reinhard Kienast, jolly tattico a dir poco duttile, in grado di dare il suo contributo da centrale difensivo, da mediano ed addirittura da attaccante, anche grazie alla sua abilità nel gioco aereo favorita dai quasi 190 centimetri di altezza. Barić lo imposta prevalentemente come pilastro nella zona nevralgica del campo, nel quale Kienast giganteggia fisicamente, fungendo da solida diga.
Davanti a lui nell'ipotetico schema proposto troviamo una coppia di centrocampisti, tra i quali il citato Panenka, chiamato con la sua fantasia a nobilitare il gioco della squadra austriaca, nel quale trova anche con buona continuità la via della rete, anche grazie alla celebre abilità nella trasformazione dei calcio piazzati.
Completa il citato duo Petar Bručić ex giocatore della Dinamo che dispone di grande rapidità e facilità di inserimento tali da renderlo il classico elemento in grado di poter spaccare una partita. A dispetto del fisico minuto è un centrocampista  tutto campo, tignoso ed in possesso di quella tecnica comune a tutti giocatori di origine slava.
Non vanno dimenticati tra i centrocampisti a disposizione lo jugoslavo Peter Hrstic e Gerald Willfurth, considerabili molto più di riserve e costantemente proposti nell'undici titolari anche in virtù di una grande versatilità d'impiego.
Nel tridente indicato troviamo due giocatori a supporto della punta centrale, il primo dei quali è Zlatko "Cico" Kranjčar, talento croato giunto all'apice della carriera.




Gran realizzatore e componente con Snjezan "Snješko" Cerin e Stjepan Deverić del trio che nel 1982 ha riportato la Dinamo Zagabria a vincere la Prva Liga dopo 34 anni, rappresenta il fiore all'occhiello della campagna acquisti del Rapid dell'estate 1984. Con la nuova maglia ci mette davvero poco a diventare un idolo dei tifosi, grazie al gran numero di gol segnati (21 ufficiali nella prima stagione) ed un gran repertorio di gran giocate.
Il livello di eccellenza tecnica è confermato da Peter Pacult,altro nuovo acquisto prelevato dal Wiener SC ed anch'egli attaccante completo e tecnico, perfetto per il progetto di Barić .
Punta centrale di riferimento è il grande Hans Krankl per il quale davvero non sembrano necessarie presentazioni.



Per lui potrebbero infatti bastare le 392 reti segnate in 518 partite di campionato a sancirne universalmente il valore, al quale andrebbero sommate le 34 realizzazioni in nazionale, che ne fanno ad oggi il secondo miglior realizzatore dopo Tony Polster.
Attaccante conosciuto anche per la sua militanza nel Barcellona dal 1979 al 1981, è un'autentica sentenza nell'area di rigore, dove può trovare il gol in ogni modo. Dotato di un piede sinistro sensibile e potente, è il classico attaccante che anche a partire dei sedici metri può in qualsiasi momento trovare la via della rete.
L'avventura in Coppa delle Coppe inizia nei sedicesimi contro il Besiktas, regolato all'andata da un perentorio 4-1, con Panenka mattatore con un tripletta ottenuto con la specialità della casa, i calci da fermo: due rigori perfetti (il portiere resta fermo quasi aspettandosi il famoso cucchiaio) ed una magnifica punizione, quasi irreale per la traiettoria creata.





Nel ritorno in Turchia gli uomini di Barić resistono all'onda d'urto dell'İnönü Stadium pareggiando per 1-1, grazie ad il gol in apertura di Kranjčar. Il doppio risultato permette all'undici austriaco di accedere agli ottavi dove ad attenderlo c'è il Celtic.
La gara di andata viene giocata al Weststadion di Vienna e vede ancora il Rapid imporsi per 3-1, dopo una prima frazione terminata a reti bianche.
Apre le marcature Pacult con una bella azione personale e dopo il momentaneo pareggio di Brian McClair arrivano le reti di Lainer con un bel colpo di testa e di Krankl a tre minuti dalla fine.
Al ritorno i Grün-Weißen perderebbero al Celtic Park per 3-0, ma ottengono la ripetizione della partita in campo neutro, dopo che Rudi" Weinhofer viene colpito da una bottiglietta scagliata da un tifoso di casa. Non senza polemiche la partita di rigioca più di un mese dopo all'Old Trafford di Manchester, dove un gol ancora di Pacult apre le porte dei quarti di finale.
L'avversario è la Dinamo Dresda, la quale tra le mura amiche si impone con un autoritario 3-0, che sembra precludere ogni speranza di passaggio del turno al Rapid Vienna.
Ogni negativa previsione viene letteralmente smentita dal ritorno dove la rappresentativa della DDR viene spazzata via con un roboante 5-0, aperto da un gol del solito Pacult al 4° minuto, lesto a riprendere un rigore di Panenka calciato sul palo.
Al 17° è un colpo di testa di Lainer a determinare il raddoppio, 20 minuti prima che  ancora lo scatenato Pacult riequilibri l'esito della qualificazione al termine di una tambureggiante azione.
Nel secondo tempo, nel contesto di una partita più equilibrata di quello che dica il risultato, saranno un rigore calciato ancora da Panenka e un rasoterra da fuori area di Krankl a completare il trionfo del Rapid.




In semifinale ad attendere la compagine viennese c'è la Dinamo Mosca, formazione favorita da sorteggi tutto sommato abbordabili, ma tra le cui file figurano validi elementi quali Mikhail Chesnokov, il bomber Valery Gazzaev, Aleksandr Khapsalis, ed il giovane Vasili Karatayev.
Nell'andata giocata a Vienna proprio un rigore di quest'ultimo a portare in vantaggio la formazione moscovita, prima che nel secondo tempo Krankl e compagni ribaltino completamente il risultato in soli 4 minuti dopo che Panenka aveva calciato sul palo un rigore: al 68° è un esterno destro del sempre propositivo Lainer a pareggiare il conto, al 70° è Krankl a realizzare con una botta centrale un altro rigore decretato dal signor Christov ed infine al 72° è Hristic a trovare la porta tra una selva di gambe con una conclusione da fuori area.




Il ritorno a Mosca è subito facilitato da un gran gol di Panenka dopo quattro minuti, ottenuto con un gran sinistro di prima intenzione che va a terminare sotto la traversa.




Uno dei rari gol del difensore Boris Pozdnyakov è utile solo per le statistiche e per pareggiare l'esito dell'incontro, che proietta l'undici di Barić alla prestigiosa finale di Rotterdam da giocarsi contro il forte Everton.
Come già anticipato i Tofees si rivelano avversario più forte ed in momento di grazia, dominando la partita imponendosi per 3-1, con il gol di Krankl all'85° minuto che illude solo per un minuto il Rapid, prima che Kevin Sheedy metta fine definitivamente alle ostilità.
Superata la comprensibile delusione, resta la soddisfazione per una gran cavalcata, condita da prestazione casalinghe superbe, impreziosite dal tocco sapiente di Antonín Panenka, capocannoniere del torneo con 5 reti.
Oltre al celebre cucchiaio nella sua carriera c'è veramente molto di più....


Giovanni Fasani

martedì 2 aprile 2019

EL GOL DE AMERICA

Uno dei gol più famosi delle storica calcistica argentina viene realizzato il 25 febbraio 1945 all'Estadio Nacional di Santiago, durante l'ultima giornata del Campeonato Sudamericano del medesimo anno. La sfida è quanto di più ci possa essere in termini di rivalità e contenuti tecnico-agonistici: si tratta infatti di un Clásico del Río de la Plata, al termine del quale l'Argentina si aggiudica il torneo grazie proprio a questo storico gol, prevalendo di un punto sul Brasile.
M chi ha realizzato quello che oggi viene ancora ricordato come El Gol de America? La firma è davvero prestigiosa, essendo quella di Rinaldo Fioramonte Martino, fuoriclasse del San Lorenzo de Almagro e membro del Terceto de Oro (con Renè Pontoni e Armando Farro) che entusiasma il caldo pubblico del Gasometro.


La rete in questione vede Mamucho (soprannome attribuitogli da Bartolomè Colombo a causa della sua tendenza a dire "más mucho" in luogo di "mucho más) esibirsi in un pregevole assolo personale, durante il quale salta tre avversari, finge di passare il pallone per poi beffare il portiere uruguaiano Roque Gastón Máspoli con un tiro a giro imprevedibile. Siamo a tutti gli effetti di fronte al celebre Chanfle, portato in auge dal brasiliano Arthur Friedenreich: con tale termine si intende infatti la traiettoria data la pallone particolarmente arcuata e atta a "cadere" verso la porta, attribuita calciando con l'interno o l'esterno del piede a seconda della direzione che si vuole imprimere.


Non c'è da meravigliarsi che una simile prodezza sia eseguita propria dall'asso del San Lorenzo, essendo a tutti gli effetti un concentrato di classe, abilità realizzativa, visione di gioco ed autentiche meraviglie prodotte con il pallone tra i piedi.
Nel 1946 bisserà il successo nel torneo ospitato proprio dall'Argentina, in una selezione nei quali i 5 Caballeros de la angustia del River Plate, la celebre Maquina, iniziano ad egemonizzare il reparto offensivo.
I tifosi del Ciclón sono abituati a vederlo esibirsi nell'arte della Gambeta, prodigio tecnico con la quale attraverso finte e movimenti si confonde l'avversario fino a saltarlo con disinvoltura.
Tale arte pedatoria unita ad una tecnica fuori dal comune verrà ammirata anche in Italia 4 anni dopo quando sbarcherà in Italia per giocare con la Juventus.
Anche il pubblico resterà estasiato dalla sua abilità e gli dedicherà un particolare nomignolo, Zampa di Velluto, per la raffinatezza del tocco di palla e la precisione del passare il pallone.
L'avventura a Torino dura lo spazio di un anno, quando la nostalgia per l'Argentina ed i pesos promessi dal Boca Juniors lo inducono ad un rapido ritorno a Buenos Aires, salvo "pentirsene" per approdare successivamente in Uruguay e Brasile.
Anche alla luce del suddetto Gol de America è usanza dire che danzi con la palla al piede, talmente alta è la classe con la quale incede: quasi a voler confermare questa sua naturale vocazione al termine della carriera aprirà un celebre locale di tango, il Caño 14, ritrovo per tutti i tangueros della capitale.
Ma questa è decisamente un'altra storia....





Giovanni Fasani