mercoledì 28 ottobre 2015

ALBERTO TERRY

In qualunque parte del mondo non è difficile imbattersi in calciatori che per varie ragioni hanno speso la loro intera carriera nel proprio paese di origine.
Come tutti sappiamo tale situazione sembra normale per quelli provenienti dalle nazioni di riferimento nel panorama calcistico, ma appare particolare per chi proviene da paesi dove il calcio è meno diffuso o meno ricco.
Questi ultimi si ritrovano a giocare in contesti molte volte al di sotto del loro valore, privilegiando la sensazione di essere idolatrati dal proprio pubblico alla fama ed al denaro.
La completa identificazione ad una squadra di club o ad una nazionale rende tali giocatori autentiche leggende nel proprio paese, restando però poco conosciuti agli occhi del pubblico internazionale.
Un esempio tipico di tale fenomeno lo si può riscontrare analizzando la carriera di Alberto Terry, uno dei migliori giocatori della storia calcistica peruviana.


Soprannominato "Toto", nasce a Lima nel 1929 e sin da bambino inizia la trafila nelle giovanili del Club Universitario de Deportes, con il quale fa il suo esordio nella massima serie a soli 18 anni.

mercoledì 21 ottobre 2015

ASPETTANDO COLAUSSI

Nel 1938 la nazionale italiana si presenta in Francia con la ferma intenzione di riconfermarsi campione del mondo, dopo il successo di quattro anni prima.
La squadra allenata da Vittorio Pozzo parte come una delle favorite, potendo contare sulla classe di giocatori quali Meazza e Piola, ancora oggi celebrati come tra i più forti attaccanti italiani di tutti i tempi.
La squadra azzurra viene accolta molto male dal pubblico transalpino, sia per questioni di carattere politico, sia per le ancora vive polemiche del Mondiale precedente dove, a detta di molti, la rappresentativa italiana ha fruito di alcuni macroscopici errori arbitrali.
In un clima sufficientemente teso, il commissario tecnico sembra apparentemente sicuro di tutte le scelte tecniche, potendo contare su di una rosa di eccelsa qualità.
Nel ruolo di ala sinistra decide di aspettare fino all'ultimo il recupero di uno dei migliori interpreti di detto ruolo, scatenando anche qualche polemica tra i giornalisti e gli addetti ai lavori.
Questi ultimi contestano la precarietà delle condizioni dell'ala in questione, per via di alcuni acciacchi evidenziati nel finale di campionato: Pozzo non avvalora tali pareri ed addirittura chiede al contestato giocatore di rimandare il proprio matrimonio per poter partecipare al torneo.
Visto il fortunato epilogo ed il contributo dato da Gino Colaussi, pare evidente come la scelta di convocarlo sia stata a tutti gli effetti vincente.


Nato a Gradisca d'Isonzo nel 1914, cresce calcisticamente nell'Italica Gradisca, prima di passare, alla Triestina nel 1930.

mercoledì 14 ottobre 2015

TUTTO BENE

Come tutti sappiamo la grande Ungheria negli anni '50 ha segnato un'epoca, consegnando agli annali una delle più grandi squadre di sempre, per molti ancora oggi la migliore di tutti i tempi.
In quel periodo il calcio magi è il massimo riferimento in Europa e non solo, grazie anche alla presenza di formidabili e leggendari fuoriclasse.
Alla luce del basso livello odierno di tale contesto calcistico, si è soliti dare per finito il calcio ungherese all'indomani del 1956, quando la rivoluzione ha portato alla morte di migliaia di persone e spezzato per sempre la celebre Aranycsapat.
Tuttavia l'Ungheria ha continuato a produrre eccellenti giocatori ed a praticare la più pura versione del calcio danubiano, raggiungendo anche ottimi e sottovalutati risultati.
Non sembra un'eresia affermare come negli anni '60 la nazionale ungherese sia comunque una delle migliori del contesto europeo, formata da calciatori forzatamente trattenuti nel campionato nazionale dalle disposizioni governative in vigore.
Proprio in quegli anni la squadra dell'Ujpesti Dozsa e la rappresentativa dei Magyarok beneficiano dei gol di uno dei principali attaccanti del periodo per qualità e media realizzativa.
In patria Ferenc Bene è considerato un'icona, ma anche all'estero le sue gesta andrebbero ricordate e celebrate.


La sua carriera è indissolubilmente legata alla maglia dell'Ujpesti, per la quale gioca per 17 anni e con la quale vince ben 8 titoli nazionali e 3 coppe d'Ungheria.

venerdì 9 ottobre 2015

FORTEZZA GRECA

“Olympiakos, Pana, AEK, Pana, Olympiakos, Olympiakos, AEK, Olympiakos, Pana ed ancora Olympiakos”. No, non sono impazzito. E’ semplicemente una rappresentazione più o meno veritiera degli ultimi trionfi nel campionato greco.
Siamo ormai abituati da anni a veder trionfare quasi sempre l’Olympiakos, complice un ridimensionamento su più fronti di coloro che sono i rivali cittadini, il Panathinaikos. Se si aggiunge il recente tracollo dell’AEK, retrocesso nelle serie minori per poi farvi ritorno lo scorso anno, siamo veramente di fronte ad un campionato che ogni anno si colora di biancorosso.
Tuttavia nella storia calcistica greca ci si accorge come le

martedì 6 ottobre 2015

IL PERUVIANO DI FUOCO

Nel 1962 i tifosi del Milan vedono approdare nel capoluogo lombardo un giocatore proveniente dal Perù, appena acquistato dalla squadra argentina del Boca Juniors.
Il pubblico italiano è ormai avvezzo all'arrivo di calciatori sudamericani, essendo diffusa la tendenza di acquistare, da detto ambito, prolifici attaccanti o raffinati giocolieri.
Tuttavia la dirigenza rossonera decide di tesserare un calciatore dalle caratteristiche completamenti differenti, un centrocampista difensivo tignoso, versatile e dalla grande intelligenza tattica.
Tra lo stupore ed un iniziale scetticismo la squadra allenata da Nereo Rocco accoglie tra le proprie fila Victor Benitez, destinato ad intraprendere una fulgida carriera nel campionato italiano.


Nell'estate del suddetto anno la dirigenza rossonera è alle prese con il caso di Josè Germano, attaccante brasiliano molto più noto per le sue vicende sentimentali che per il rendimento in campo.

giovedì 1 ottobre 2015

PER SEMPRE IN ROMANIA

Il contesto politico nel quale una persona cresce è indubbiamente fondamentale per la sua futura crescita, determinando in maniera netta le scelte che tale individuo può o non può fare.
La storia è colma di regimi più o meno autoritari che hanno cambiato per sempre la vita di più persone e, inevitabilmente, anche quella di molti calciatori.
Se focalizziamo l'attenzione sul contesto europeo, appare evidente come gli apparati politici di molti paesi dell'est abbiano fortemente limitato la carriera di potenziali campioni, impedendo loro quel salto di qualità che le loro potenzialità avrebbe permesso.
Tale triste situazione vale anche per un paese come la Romania, per più di vent'anni assoggettata alla dittatura della famiglia Ceausescu, arrivata a controllare anche l'ambito calcistico ed a considerare i singoli calciatori come "risorse" indispensabili per il paese.
Forzatamente connessa a tale situazione è senz'altro la carriera di Nicolae Dobrin, considerato negli anni 60/70 come uno dei massimi talenti del vecchio continente.


Nato a Pitesti nel 1947, approda ben presto alla locale squadra dell'Arges Pitesti, dove  mette subito in mostra qualità eccezionali e diventa un idolo della locale tifoseria.
Con la compagine della sua città sviluppa un inossidabile legame, che lo porta a rifiutare nel tempo le offerte da parte delle più blasonate ed influenti squadre rumene.
Dobrin è in possesso di grande tecnica e di un dribbling efficacissimo, che lo rendono un trequartista imprevedibile ed in grado di compiere qualsiasi giocata.
In breve diventa celebre per le sue serpentine e per la sua capacità di saltare l'uomo, divenendo un vero incubo per gli avversari ed un valore aggiunto per l'Arges.
Consapevole del proprio talento, in campo ama muoversi libero senza nessuna impostazione tattica, trovando con continuità la giocata personale o l'assist per i compagni, abilità della quale diventa un vero e proprio esperto.
Sin da giovanissimo mostra un forte e talvolta altezzoso carattere, che lo porta il più delle volte ad avere atteggiamenti da sbruffone nei confronti degli avversari, ai quali non risparmia dichiarazioni di scherno.
Diventa ben presto un elemento importante anche per la nazionale rumena, in un momento nel quale detta rappresentativa attraversa un non positivo momento.
Alla vigilia del Mondiale del 1970 Dobrin trascina i compagni durante le qualificazioni, permettendo ai Tricolori di volare in Messico per la fase finale.
Ovviamente convocato dall'allenatore Niculescu non viene mai schierato durante le tre partite disputate dalla sua nazionale, eliminata al termine del girone.
La sua esclusione, motivata come scelta tecnica, non pare poter essere connessa alla troppa visibilità che il giocatore riscuote a livello internazionale, sostanzialmente mal vista dal regime di Bucarest.
Altre voci parlano di una sorta di vendetta messa in atto ai suoi danni per punirlo del suo rifiuto di trasferirsi alle storiche società calcistiche più vicine al sistema politico rumeno.
A livello personale non risente più di tanto della delusione, continuando a fare la differenza con la maglia dell'Arges, tanto da portarlo alla vittoria del primo e storico titolo nazionale nella stagione 1971/1972.
Nello stesso periodo torna protagonista con la maglia della sua nazionale, che grazie anche alle sue giocate vince il girone di qualificazione all'Europeo del 1972, per poi giocarsi lo spareggio contro l'Ungheria.
La sfida trova il suo epilogo nella sfida finale di Belgrado vinta dagli ungheresi, dopo i pareggi delle precedenti due partita giocate sui rispettivi campi.
Il calciatore dell'Arges segna anche un gol nella sfida di Bucarest terminata 2-2 e nell'arco delle tre sfide mette in mostra tutto il suo valore, attirando il forte interesse dei più blasonati club europei.
Per lui si muove anche il Real Madrid, che nella persona del presidentissimo Santiago Bernabeu è disposto a spendere la notevole cifra di 2 milioni di dollari per assicurarsi le sue prestazioni.
La proposta è ovviamente molto allettante, sia per il giocatore che per l'Arges, ma il mondo politico rumeno sembra pensarla in maniera contraria.
Pare che il presidente madrileno incontri direttamente il leader Ceausescu per convincerlo a lasciar partire il giocatore, ricevendo però il diniego da parte del dittatore, in quanto Dobrin sarebbe un patrimonio della nazione rumena ed essendo fatto divieto ai proprio cittadini di lavorare per società straniere.
La dirigenza madrilena tenta un ultimo assalto quando Dobrin viene invitato a Madrid per partecipare alla partita di addio del grande Francisco Gento; nonostante le insistenze ed i vantaggi economici promessi la situazione non si sblocca neanche in tale contesto.
Il calciatore vive così in una sorta di "prigione dorata", continuando a giocare a Pitesti fino al 1981 disputando 390 partite e segnando 106 gol.
La più famosa di tali realizzazioni la segna nel 1979 in una pirotecnica vittoria per 4-3 sul campo della Dinamo Bucarest, che consegna all'Arges il suo secondo ed ultimo titolo nazionale.
Il contesto internazionale sembra quasi dimenticarsi di lui, non trovando visibilità nelle poche partite giocare con l'Arges nelle coppe europee e non riuscendo più ad essere decisivo per le sorti della nazionale.
A tal proposito dopo 49 partite decide nel 1980 di dire addio alla maglia della nazionale, mettendo fine ad un rapporto abbastanza tribolato, il più delle volte a causa delle già citate influenze esterne.
Nel 1981 decide di tentare l'esperienza al Targoviste, dove però gioca solamente 13 partite, nobilitate comunque da 5 reti.
L'anno successivo non resiste al richiamo dell'amata Pitesti e decide di giocare un ultimo campionato nell'Arges, sapendo di avere la sua personale passerella di fronte al pubblico amico, che mai in futuro avrà modo di applaudire un simile talento.
A prima vista sembrerebbe la triste storia di un calciatore al quale è stato impedito di spiccare il volo verso lidi migliori, dove il suo talento gli avrebbe garantito fama ed anche un cospicuo ritorno economico.
Seppur il suo sfumato passaggio al Real Madrid resti una forte delusione, Dobrin si è sempre detto orgoglioso di quanto fatto con l'Arges, tanto da ritornarvi più volte nelle vesti di allenatore.
Quello che resta è la figura di un grande giocatore al quale è stato sistematicamente impedito di rivelare al mondo tutta la propria abilità e di essere ricordato come una leggenda anche al di fuori dell'amata Pitesti.


Giovanni Fasani