mercoledì 25 novembre 2015

IL FIGLIO DI DIO

Agli albori del 900 il calcio italiano inizia a darsi una parvenza di tattica ed a stabilire in termini molto semplici le funzioni dei vari ruoli sul rettangolo di gioco.
L'interpretazione di questi ultimi è ovviamente un tantino grossolana, specialmente per quanto riguarda i compiti dei difensori, chiamati esclusivamente a spazzare l'area ed a marcare il diretto opponente, interpretando i primi rudimentali concetti di fuorigioco.
Dal 1909 però nelle giovanili del Milan inizia a brillare un giovane talento che, dopo aver fatto sue tali mansioni, le rivoluziona attraverso una nuova interpretazione del ruolo di terzino.
Il modo nel quale gioca Renzo De Vecchi è a dir poco "moderno", tanto da renderlo un vero e proprio precursore dei grandi difensori italiani che il mondo del calcio conoscerà negli anni a venire.
 
 
Inizialmente viene schierato coma ala sinistra, ma ben presto arretra il suo baricentro per giocare definitivamente come terzino di fascia sinistra.
Il concetto di "presto" nella carriera di De Vecchi è molto importante, tenuto conto che il suo esordio in prima squadra avviene a soli 15 anni, mettendo subito in mostra le sue innate qualità.
Il giovane esterno è implacabile nella marcatura dell'ala avversaria, alla luce di una rapidità e di un senso della posizione davvero notevoli.
La leggenda narra che in tutta la carriera nessun avversario sia mai riuscito a superarlo in dribbling. A conferma di tale primato vi sono proprio le parole dei diretti avversari, unanimi nel considerarlo il difensore più forte che abbiano mai affrontato.
Ma De Vecchi è molto di più di un solido esterno: in campo si muove con una classe straordinaria ed ogni suo intervento è preciso ed effettuato con una naturalezza impressionante.
In campo sembra un gigante per la sicurezza con la quale si disimpegna in ogni situazione, nonostante raggiunge in altezza solamente 164 centimetri.
Sopperisce a tale piccola mancanza con un senso dell'anticipo notevole, che lo vede avere la meglio anche contro avversari maggiormente strutturati fisicamente.
I tifosi del club rossonero restano impressionati dal suo smisurato talento, sviluppando la particolare consapevolezza che un giocatore del genere non sia mai stato ammirato in precedenza.
Il suo stile di gioco ed il suo modo di muoversi sul campo lo rendono un giocatore avanti anni luce rispetto al livello medio del calcio nel quale si trova a giocare.
A tal proposito coniano per lui il soprannome di Figlio di Dio, quasi per attribuirgli doti divine.
La sua peculiarità è quella di non limitarsi alla sola fase difensiva, ma altresì di partecipare attivamente anche all'azione offensiva, in virtù di un piede sinistro estremamente preciso e potente.
Proprio tale dote lo rende efficace in fase di conclusione, tanto che in pochi anni diventa il rigorista della squadra, particolare inedito per un difensore dell'epoca in questione.
Ovviamente tutte queste doti tecnico-atletiche sono supportate da una spiccata personalità, che lo porta da subito ad affrontare senza remore opponenti più esperti e che lo rende un punto fermo della squadra nonostante sia solo un ragazzino.
Legato al suo solido ed indomito carattere c'è un particolare quanto divertente episodio: durante una partitella di allenamento De Vecchi ruba la palla al leggendario fondatore Herbert Kilpin, il quale reagisce rincorrendolo affibbiandogli poi un sonoro calcio nel sedere.
Il Milan in quegli anni vive un momento di transizione, lontano dalla possibilità di ottenere successi nel panorama nazionale.
Il Genoa, la squadra più forte dell'epoca, tenta più volte di convincere de Vecchi a trasferirsi nel capoluogo ligure, ricevendo costantemente risposte di diniego.
Ma nel 1913 a fronte di una vantaggioso offerta economica e della possibilità di avere un buon impiego in una nota azienda del posto, il giovane terzino accetta l'offerta del Grifone ed abbandona (a malincuore) l'amato Milan.
 
 
La società rossonera promuove come titolare il quasi omonimo Carlo De Vecchi, soprannominato da subito il Nipote di Dio, quasi ad esorcizzare l'assenza dell'impareggiabile Renzo.
A Genova iniziano subito ad apprezzare le straordinaria qualità del mancino milanese, che si conferma subito uno degli idoli della tifoseria rossoblù ed un punto di riferimento per tutti i compagni.
Anche nel nuovo contesto emerge il suo grande carisma che gli permette di diventare ben presto capitano della squadra e baluardo di un reparto difensivo difficilmente perforabile ai tempi.
Nella stagione 1914-1915 vince il suo primo scudetto, nonostante l'entrata in guerra dell'Italia impedisca la completa conclusione del torneo.
Terminato il conflitto bellico, De Vecchi ritorna a dare il suo fondamentale contributo alle fortune del Genoa, riuscendo a vincere altri due scudetti nelle stagioni 1922-1923 e 1923-1924.
Questi due successi sono impreziositi dalla grande stabilità da lui garantita con i compagni, quali il portiere Giovanni De Pra', Luigi Burlando ed Ottavio Barbieri.
Il Genova nel 1923 resta imbattuto per 33 partite consecutive, realizzando un record che durerà per ben 70 anni a livello di campionato italiano.
Durante tali successi è solito interpretare il ruolo di terzino con la solita vocazione offensiva: addirittura in caso di necessità si colloca come ala sinistra aggiunta, in modo da sfruttare al meglio la sua proverbiale facilità di calcio.
In tale periodo affina al meglio proprio la sua tecnica di tiro, tanto da raggiungere la notevole cifra di 7 reti realizzate per due stagioni consecutive. Tale numero, di per se notevole per un difensore, è addirittura clamoroso se rapportato ai severi e poco flessibili dettami tattici dell'epoca.
Diventa inevitabilmente uno dei simboli del calcio italiano, venendo riconosciuto ed ammirato da ogni appassionato di calcio, grazie alle sue foto sempre presenti su quotidiani e rotocalchi sportivi.
Durante la sua carriera si impone ovviamente anche come punto di forza della nazionale italiana, con la quale ha la possibilità di giocare ben tre olimpiadi, giocandovi in tutto 43 partite.
Stranamente non riesce mai ad andare a segno durante la sua militanza in nazionale, principalmente perché gli viene impedito di calciare in prima persona i calci piazzati.
Il suo esordio, avvenuto il 26 maggio del 1910 a soli 16 anni 3 mesi e 26 giorni rappresenterebbe un record per il nostro calcio.
Il condizionale è d'obbligo per la presenza negli annali di Rodolfo Gavinelli, al quale le statistiche attribuiscono un non confermato esordio in maglia azzurra ad un'età inferiore di De Vecchi
Alla sua prima partita con l'Italia è connesso anche un buffo ed insolito contrattempo: al momento di entrare in campo De Vecchi si accorge di aver momentaneamente smarrito gli scarpini da gioco. Non potendo optare per una soluzione alternativa, decide di scendere in campo con le scarpe da passeggio.
Nel 1930 a 36 anni e dopo 18 stagioni con la maglia del Genoa, decide di appendere le scarpe al chiodo per iniziare una discreta carriera da allenatore.
Lascia la seria A dopo 353 partite e 47 gol complessivi, confermandosi sempre come uno dei giocatori più completi del calcio italiano.
Renzo De Vecchi è quindi una leggenda per tutto il calcio nazionale ed in assoluto uno dei primi fuoriclasse scaturiti dall'era pioneristica.
 
 
Giovanni Fasani

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