venerdì 24 luglio 2015

ISTANTANEE DA LISBONA

Quanti di noi durante l'anno si vanno a fare il classico weekend lungo in giro per qualche città europea? Tanti, magari anche due/tre volte l'anno.
Ovviamente si va a conoscere una cultura diversa, a visitarne i monumenti, a cogliere l'essenza di ciò che ci offre il posto. La curiosità, almeno per quel che mi riguarda, è sempre tanta.
Personalmente poi ritengo che un qualsiasi appassionato di calcio non possa andarsene senza aver guardato almeno uno stadio, semplicemente da fuori o partecipando ad uno dei tour che vengono organizzati dalle società.
Tour che quasi

martedì 21 luglio 2015

EROE DI TRE NAZIONI

L'Argentina è storicamente una nazione che ha dato i natali ad alcuni tra i più grandi talenti della storia del calcio, con specifico riferimento al ruolo del centravanti.
A tal proposito sembra incredibile come in ogni epoca calcistica sia presente un grande attaccante argentino, partendo dalla fase pioneristica fino ad arrivare ai nostri giorni.
Si può propriamente parlare di una vera e propria scuola argentina, atta a creare attaccanti dal gol facile dotati di ottima tecnica e di grande grinta.
L'elenco dei nomi sarebbe lunghissimo ed ognuno di loro rappresenta quanto di meglio si possa trovare a livello mondiale nel periodo considerato.
Nel 1938 a Mendoza viene al mondo quello che può essere considerato uno dei simboli della sua generazione, caratterizzando la sua carriera con un numero altissimo di gol.
Luis Artime è ricordato come un centravanti in grado di segnare e vincere in ben tre nazioni diverse, oltre per quanto da lui fatto con la maglia dell'Albiceleste.


A livello giovanile cresce dapprima nell'El Ciclon, prima di passare all'Independiente de Junin dove viene notato da alcuni osservatori dell'Atlanta, che lo tesserano nel 1959.
Con la squadra di Buenos Aires scende in campo 67 volte in Primera Division, segnando ben 50 reti . In particolare nel campionato del 1961 realizza 25 reti in 30 partite, attirando su di sé le attenzione del River Plate, che al termine della stagione lo acquista a titolo definitivo.
Con i Los Milionarios gioca tra stagioni condite da 70 reti nelle 80 partite disputate, che gli valgono due titoli di capocannoniere e due secondi posti nella massima serie argentina.
Proprio la Seleccion inizia a convocarlo con costanza a partire dal 1961, credendo fortemente nelle sue eccelse doti di realizzatore.
Artime è un tipico attaccante d'area di rigore, nella quale dimostra un tempismo perfetto per deviare alle spalle del portiere qualsiasi tipo si suggerimento.
Pur non essendo alto è valido nel gioco areo ed il baricentro basso gli permette di proteggere al meglio il pallone, sfruttando tale dote per liberarsi al tiro con facilità.
In campo sembra non temere nessun tipo di contatto e sembra maggiormente esaltarsi quando il gioco si fa duro, mostrando una notevole malizia nel trarre profitto da ogni contrasto.
Un simile talento diviene ben presto appetibile anche per il contesto europeo e nel 1965 il forte attaccante passa a sorpresa al Real Jaen, squadra spagnola militante in terza serie.
La mai chiarita scelta non si rivela azzeccata ed il giocatore torna ben presto in patria, per militare con reciproca soddisfazione nell'Independiente a partire dal 1966.
Sempre in tale annata ha la possibilità di disputate il suo primo Mondiale, volando con l'Argentina in Inghilterra.


Artime dimostra il suo proverbiale fiuto del gol segnando una doppietta nel match d'esordio con la Spagna, vinto dall'Argentina per 2-1.
Nella terza partita contro la Svizzera va nuovamente in rete al 52° aprendo le marcature, prima che Onega chiuda i conti sul definitivo 2-0.


L'avventura per la compagine Albiceleste termina ai quarti di finale per mano dell'Inghilterra, in una partita passata alla storia per la il cartellino rosso a Rattin, il quale espulso senza un giustificato motivo impiega ben 11 minuti per lasciare il terreno di gioco.
Il gol di Hurst, peraltro in fuorigioco, costringe l'Argentina a lasciare il torneo, pur senza alcun demerito.
Artime tramuta la delusione in grande determinazione e riesce finalmente a vincere il titolo nel 1967 anno dove conquista anche il titolo di miglior realizzatore, bissando il successo dell'anno precedente in tale classifica.
Le sue realizzazioni in maglia El Rojo gli valgono il ruolo di centravanti titolare anche durante la Copa America da disputarsi in Uruguay, dove la nazionale argentina parte come una delle favorite.
Artime va subito a segno nella prima gara contro il Paraguay nel 4-1 finale, per poi superarsi realizzando una bella tripletta nel match contro il Venezuela.
L'ispirato attaccante segna anche nel 2-0 contro il Cile nella penultima partita, permettendo all'Argentina di presentarsi all'ultima gara contro l'Uruguay con un punto di vantaggio sugli stessi padroni di casa.
Spinta dal pubblico amico, la Celeste ha la meglio grazie ad un gol Rocha e per Artime rimane solo la parziale soddisfazione di essere il miglior marcatore del torneo.
La delusione è per lui grandissima e nello stesso anno mette fine alla sua esperienza con la nazionale, chiudendo con il significativo bilancio di 24 reti in 25 apparizioni.
Nel 1969 decide, anche in questo caso clamorosamente, di lasciare l'Independiente dopo 45 reti in 72 di partite di campionato. In tale frangente sceglie di tentare l'avventura nel campionato brasiliano, accettando l'offerta del Palmeiras.
La nuova esperienza viene vissuta in modo particolare, tanto da scendere in campo solo 8 volte, riuscendo comunque a vincere il campionato nazionale dove segna 2 reti.
Al termine della stagione cambia nuovamente casacca e nazione, trasferendosi in Uruguay per giocare con il Nacional.
Nella nazione storicamente "nemica" per gli argentini Artime fa incetta di gol e trofei, diventando un vero e proprio idolo per i tifosi dei Tricolores.
La squadra vince per tre volte consecutive il titolo nazionale (dal 1969 al 1971) grazie soprattutto ai gol del centravanti argentino, che si laurea capocannoniere in tutti e tre i campionati, realizzando complessivamente la bellezza di 61 reti.
Nel 1971 il Nacional vince per la prima volta la Copa Libertadores e grande merito va proprio ad Artime, che con i suoi gol trascina letteralmente la squadra fino alla finale contro l’Estudiantes.
Per avere la meglio dei rivali argentini serve addirittura uno spareggio, dopo che le gare di andata e ritorno si sono chiuse con la vittoria per 1-0 della squadra di casa: nella sfida decisiva giocata a Lima il Nacional vince per 2-0 ed Artime realizza la seconda rete che chiude i conti.
Tale successo apre le porte per la disputa della Coppa Interamericana (vinta contro il Cruz Azul) e della prestigiosa Coppa Intercontinentale, da disputarsi contro il Panathinaikos, vista la rinuncia dell’Ajax campione d’Europa in carica.
Artime è l’assoluto protagonista della doppia sfida, realizzando il gol del pareggio nella partita di andata in Grecia e segnando una doppietta in quella di ritorno, regalando la coppa alla squadra di Montevideo.
Dopo aver vinto tutto con la compagine uruguagia decide di ritentare l’avventura in terra brasiliana, accettando nel 1972 l’offerta della Fluminense. Tale scelta è dettata dalla sua ferma volontà di essere decisivo anche in Brasile e di vincere davvero da protagonista dopo il precedente successo con la maglia del Palmeiras.
Ancora una volta, però, in Brasile non riesce a rendere al meglio, collezionando solamente 9 presenze in stagione, ma mantenendo una notevole media realizzativa segnando 4 gol.
Nel 1973 decide di ritornare al Nacional per rinverdire i fasti delle precedenti vittorie; tuttavia il suo stato di forma non è più ottimale e le solo 10 presenze (con 4 reti) raccolte lo inducono a mettere fine alla sua carriera l'anno successivo.


L'aver vinto in tre paesi diversi lo rende un'autentica leggenda, anche se sicuramente le sue gesta in patria e, specialmente col Nacional, sono in assoluto l'apice della sua prolifica carriera.
A completare un percorso quasi perfetto ci sarebbe potuta essere l'affermazione con la maglia dell'Argentina, da lui fortemente voluta e probabilmente meritata, ma di fatto sfuggita anche per questioni "ambientali".
Resta il ricordo di uno dei più grandi centravanti del calcio sudamericano, così come ricordano anche le statistiche più o meno ufficiose: parte di esse gli attribuiscono grosso modo 1000 gol tra partite ufficiali e non.
Senza dilungarci in inutili quantificazioni, sembra palese che siamo di fronte ad un straordinario realizzatore, abile a rendere al meglio in contesti altamente competitivi.
Per chi ne ha apprezzato da vicino le gesta, il nome di Artime farà sempre rima con gol e vittorie.

Giovanni Fasani

venerdì 17 luglio 2015

PASSIONE BOLIVIANA

La Copa America appena conclusasi ci ha lasciato con la prima storica affermazione del Cile che nella finale dell'Estadio Nacional di Santiago ha battuto ai calci di rigore l'Argentina.
Oltre alla squadra di Sampaoli, si sono messe in luce anche altre compagini quali Paraguay e soprattutto Perù.
Nei quarti di finale è uscita dalla manifestazione la Bolivia autrice di un più che discreto girone eliminatorio nonostante la sonora cinquina subita nell'ultima gara contro i futuri campioni.
La squadra di Soria ha messo in mostra un calcio generoso ma non ancora sufficiente per competere a grandi livelli.
In attesa che tutto ciò avvenga con i dovuti tempi, vi portiamo oggi alla conoscenza del movimento calcistico boliviano tra curiosità ed aneddoti; per fare tutto ciò abbiamo chiesto ad Andrea Bracco, esperto di calcio boliviano e caporedattore di www.calciosudamericano.it, di farci una panoramica su come si vive il calcio nello stato pre-andino.

martedì 14 luglio 2015

EZIO LOIK

Alle 17.03 del 4 maggio 1949 l'areo che riporta a casa il Grande Torino da un'amichevole giocata a Lisbona si schianta contro il muraglione della Basilica di Superga, causando la morte di tutti i trasportati.
La notizia della tragedia fa il giro della penisola, lasciando una profonda ed insanabile tristezza unita ad un unanime cordoglio per una delle squadre più forti di tutta la storia calcistica italiana e non solo.
Di quella quasi imbattibile compagine si è detto di tutto, esaltando al massimo un leggendario collettivo di unici e formidabili campioni.
Alla lacerante disperazione si unisce lo sportivo rammarico per quanto tale squadra avrebbe potuto fare ai successivi campionati del mondo in Brasile, rappresentando di fatto l'ossatura base della nazionale italiana.
Simbolo assoluto di tale gruppo è indubbiamente il capitano Valentino Mazzola, complessivamente uno dei più forti giocatori italiani di tutti i tempi ed uno dei fuoriclasse dell'epoca.
Chi ha avuto la fortuna di vederlo giocare lo paragona ai "mostri sacri" del football mondiale, accostandolo senza nessuna remora a fenomeni come Pelè o Maradona.
Come sempre accade, la fortuna di giocatori di tale livello è quello di avere intorno a se compagni in grado di metterne in risalto le innate qualità; da questo punto di vista Mazzola è decisamente fortunato, avendo vicino a se il partner ideale in tal senso.
Definire Ezio Loik una semplice spalla sarebbe riduttivo ed altamente offensivo, in quanto la mezzala nata a Fiume è a tutti gli effetti un grandissimo campione, degno di essere annoverato tra i massimi interpreti del ruolo.


Dopo essersi messo in mostra con la maglia della Fiumana, nel 1937 ha la grande opportunità di passare al Milan , molto interessato alle straordinarie qualità da lui esibite nell'allora terza divisione italiana.
Loik dispone di un fisico eccezionale e sembra non conoscere la fatica, tanto da poter correre per tutti i 90 minuti senza sosta.
La sua andatura è possente ed autoritaria, pur non essendo particolarmente veloce nello spunto; tali caratteristiche gli valgono da subito il soprannome di Elefante.
Dal punto di vista tattico sembra avanti anni luce rispetto al livello medio del tempo ed è in grado di anticipare con grande intelligenza qualsiasi situazione sul rettangolo di gioco.
Tecnicamente è un giocatore eccelso, capace di ottime giocate personali, anche se la sua peculiarità resta la costruzione del gioco, alla quale partecipa attivamente in perfetta simbiosi con i compagni di reparto.
Difficilmente sbaglia un passaggio o un'apertura e sovente riesce ad imbeccare i compagni con pregevoli quanto geniali suggerimenti.
Sia come mezzala o come interno destro non disdegna il sacrificio difensivo, mettendo al servizio dalla squadra tutta la sua generosità e le sue inesauribili riserve di energia.
Tale notevole sforzo non gli fa perdere la lucidità nei pressi della porta e per tutta la carriera riesce ad andare a segno con ottima continuità.
A Milano passa tre stagioni discrete e nulla più, lontane da quelli che saranno gli apici da lui toccati nelle stagioni a venire.
Senza tanti rimpianti lascia il capoluogo lombardo per trasferirsi a Venezia, certo che l'aria di provincia e l'entusiasmo di una squadra emergente possano consentirgli l'atteso salto di qualità.
In Laguna incontra proprio Valentino Mazzola, creando le basi per un'intesa che fa le fortune di entrambi e che per due anni manda in visibilio i tifosi Arancioneroverdi.
Questi ultimi non credono ai loro occhi quando il 15 giugno 1941 la squadra vince la sua prima e finora unica Coppa Italia, battendo allo stadio Penzo la Roma grazie ad un gol di Loik al 72° minuto.
Anche alla luce di tale decisiva realizzazione, il giocatore fiumano viene soprannominato L'uomo dei gol impossibili.
La stagione successiva arriva un prestigioso terzo posto, così come la vantaggiosa offerta del presidente del Torino Ferruccio Novo, che nell'estate del 1942 acquista sia Loik che Mazzola, dando inizio ad un periodo leggendario.


Dal 1942 al 1949 il Grande Torino vince 5 campionati ed una Coppa Italia, dominando anche in termini di coralità e qualità del gioco.
Ironia della sorte la coppa nazionale viene ottenuta battendo in finale per 4-0 il Venezia.
Loik completa la sua maturazione, imponendosi come giocatore in grado di rendere al meglio in qualunque frangente, aumentando anche considerevolmente il numero dei gol segnati.
Nelle sue prime quattro stagioni in riva al Po segna addirittura 51 reti nel solo campionato, fruendo dei precisi passaggi del compagno Mazzola e dei movimenti dell'attaccante Guglielmo Gabetto.
In merito alla sua vena realizzativa è legato un simpatico quanto esemplificativo episodio: alla vigilia di una gara interna promette alla fidanzata di segnare un gol da dedicarle per l'imminente matrimonio, impiegando poi solo un minuto per realizzare la suddetta rete.
Un'altra simpatico aneddoto è invece legato alla sua fobia di perdere il denaro; pare infatti che fosse solito utilizzare portafogli molto grossi per contenere lo stesso e che tutte le sere disponesse le banconote sul letto per accertarsi che non mancasse nulla. Ovviamente il gruzzolo viene poi custodito sotto il materasso come prassi ai tempi.
Purtroppo la tragedia di Superga priva il calcio italiano di una grandissimo calciatore, che vede tragicamente conclusa la sua esperienza con il Torino dopo 176 presenze e 70 reti nella massima serie italiana.
Il suo rapporto con la nazionale maggiore è inizialmente interrotto dalla seconda guerra mondiale, prima di venire convocato con continuità al termine della stessa.
L'improvvisa morte limita le sue presenze in maglia azzurra a 9 gettoni, impreziositi però da 4 gol, uno dei quali decisivi in un'importante vittoria contro l'Ungheria per 3-2.


Nel calcio del dopoguerra Ezio Loik va ricordato come uno dei simboli del periodo e come uno dei calciatori che più hanno influenzato le generazioni successive per il modo di stare in campo.
L'essere stato una colonna di una squadra ancora adesso ricordata gli dona quell'immortalità che merita, conquistata mettendo al servizio di tutti la sua classe e la sua corsa infinita.

Giovanni Fasani

sabato 11 luglio 2015

LA PRIMA VITTORIA AFRICANA

Solo negli ultimi anni siamo riusciti ad assistere ad un lento ed agonico progresso del calcio africano.
Circa 5 anni fa abbiamo salutato con estrema sorpresa la semifinale mondiale sfiorata dal Ghana dove, uno sciagurato rigore sbagliato da Asamoah Gyan al 122' minuto, ha poi spianato la strada all'Uruguay vittorioso alla lotteria dagli 11 metri.
Sempre rimanendo in tema Mondiale e balzando indietro al 2002, ricordiamo l'impresa del Senegal che, alla prima partecipazione, si spinse fino ai quarti di finale eliminato poi dal Golden-gol del turco Ilhan Mansiz.
Tuttavia tali imprese sono state supportate da alcune brillanti vittorie (il Senegal per esempio ebbe la meglio di Francia e Svezia).
Fino al 1978 le uniche apparizioni delle squadre africane ai mondiali si limitavano all'Egitto (2-4 dall'Ungheria nel 1934) ed al Marocco (un pareggio e due sconfitte nel 1970).
Dopo la sciagura dello Zaire alla kermesse tedesca del 1974, finalmente il continente africano riuscì ad ottenere la prima vittoria ad un mondiale, arrivata per opera della Tunisia, vittoriosa 3-1 sul Messico al torneo argentino del 1978.


Arrivata in Argentina tra la curiosità generale, la nazionale tunisina era tutt'altro che sprovveduta; certo, nulla a che vedere con le più quotate nazionali, ma di sicuro con un'organizzazione degna di una squadra inserita nella fase finale di un Mondiale.
Per di più il Commissario Tecnico, Abdelmajid Chetali, ha studiato i metodi di allenamento in Germania ed infatti, nell'ultima partita del girone, impattò 0-0 proprio contro i tedeschi campioni in carica. Purtroppo però non bastò a passare il turno complice la contemporanea vittoria della Polonia sul Messico.
Quella del 2 giugno 1978 è una data storica per tutto il movimento tunisino ed africano in generale. Al Gigante de Arroyito di Rosario, Tunisia e Messico fecero il loro debutto al Mondiale davanti a circa 17.000 spettatori.
Il tecnico messicano Josè Antonio Roca si affidava ad una squadra formata da tantissimi giovani, in primis Hugo Sanchez, appena ventenne e non ancora il letale attaccante che abbiamo imparato a conoscere negli anni '80. Veterani della squadra erano il difensore centrale Arturo Vazquez Ayala ed il centrocampista Leonardo Cuellar (facilmente riconoscibile in campo per la folta chioma), entrambi in forza ai campioni in carica messicani dell'UNAM Pumas.


Dal canto suo la Tunisia era imperniata su una serie di discreti giocatori su cui spiccava la fantasia di Dhiab Tarak, nominato pallone d'oro africano per l'anno 1977 e dotato di un piede raffinatissimo in grado di mettere davanti alla porta i propri compagni di squadra.
E' stato 6 volte campione di Tunisia con la maglia dell'Esperance Tunisi ed al Mondiale argentino era considerato uno dei maggiori talenti da scoprire tolti i soliti nomi.
Tra i pali delle Aquile di Cartagine Mokhtar Naili, una vita spesa nel Club Africain. Il suo stile rubava spesso scatti gratuiti ai fotografi, un vero e proprio "saltimbanco" in grado di arrivare su qualsiasi pallone che transitava nell'area di rigore (non sempre con positivi risultati).


La gara fu frizzante sin dalle prime battute e dopo una serie di occasioni sprecate dalla Tunisia, la fece da padrone il Messico; la pressione dei centroamericani diede i suoi frutti sul finire del primo tempo. L'arbitro scozzese Gordon concesse un calcio di rigore dopo un tocco di mano in area di Jebali.
A trasformare dagli 11 metri è proprio Vazquez Ayala con Naili che si prodiga in un tuffo poco sensato nonostante si butti dalla stessa parte del pallone.
Nella ripresa il Messico sprecò una marea di occasioni. Dopo una prima opportunità su cui Naili fu tutt'altro che impeccabile, è Ali Kaabi a pareggiare i conti con un tiro a fil di palo su cui Pilar Reyes dorme sonni profondi.
Mano a mano che il tempo passò i messicani intensificarono la propria manovra, ma al momento di concludere risultarono sempre imprecisi.
La legge del calcio decise di punire anche loro ed a  11 minuti dal termine, il centrocampista Nejib Gommidh portò avanti i suoi splendidamente imbeccato da Tarak.
A questo punto il Messico scomparì dal campo e la partita venne chiusa da una conclusione ravvicinata del terzino destro Mokhtar Dhoueib al minuto 87.


Nonostante la Tunisia venga eliminata (così come il Messico), la partita di Rosario passerà per sempre alla storia come la prima vittoria di una nazionale africana ad un Mondiale.
Nella conferenza stampa che precedette la partita contro la Germania, Chetali riassunse in breve ciò che la Tunisia aveva fatto durante il torneo: "Oggi la Germania giocherà per un paese, noi per un continente. Il calcio mondiale ha riso fin troppo dell'Africa, adesso quel divertimento è finito".


Matteo Maggio

martedì 7 luglio 2015

MI CHIAMO ZORC

Negli ultimi anni tutto quello che riguarda da vicino il mondo del calcio sembra essere interessato da un'insana voglia di cambiamento, come se per stare al passo con i tempi sia necessario cambiare qualcosa o fare salti mortali per snaturare equilibri precostruiti.
Un classico esempio di tale tendenza è il calcio mercato, arrivato ai nostri giorni a situazioni quasi paradossali: non è più una novità vedere giocatori cambiare maglia un paio di volte all'anno, inseguendo la giusta collocazione tecnica o creando la sospirata plusvalenza allo scaltro dirigente.
Di fronte a tale situazione viene spontaneo rimpiangere i tempi passati, quando un giocatore restava in una squadra per tutta la carriera e quando, soprattutto, aveva un senso parlare di bandiere.
In un nostro precedente articolo abbiamo già trattato tale nostalgico argomento, andando notevolmente indietro nel tempo alla ricerca di un vero e proprio "fedelissimo alla maglia".
Restando in epoca più o meno moderna vale la pena narrare anche le gesta di un altro notevole calciatore, entrato nella storia di un club per avervi giocato ben 553 partite.
Il rapporto che lega Michael Zorc al Borussia Dortmund è davvero speciale in quanto si articola in un considerevole numero di vittorie e di gol.


La sua può essere descritta come una vera e propria identificazione con tale maglia, essendo la unica e sola da lui indossata in 17 anni di carriera.
A tal proposito vale la pena precisare che il giocatore nativo proprio di Dortmund è a tutti gli effetti un campione, avendo legato il suo nome al periodo finora più vincente dei Schwarzgelben. 
Nel club esordisce giovanissimo e diventa subito un elemento di prospettiva, nonostante la squadra sia ancora lontana dal potersi giocare le prime posizioni in campionato, galleggiando costantemente a centroclassifica.
Zorc viene impostato generalmente come mediano, grazie alla sua duttilità ed al suo completo profilo tecnico, che ne fa un giocatore utile in ogni fase di gioco.
In possesso di un piede destro preciso e potente, è in grado di impostare l'azione, così come di concludere con profitto nei pressi della porta avversaria.
In assoluto è un giocatore che segna con sorprendente continuità, anche alla luce di un innato senso di inserimento in area di rigore.
Dalla media distanza è in grado di dare grande potenza al pallone, trovando con buona facilità la stoccata decisiva.
Sin da giovanissimo sembra non aver paura di niente e tale personalità lo rende un leader nato, che non mostra remore nel prendersi pesanti responsabilità: ad esempio per tutta la carriera dimostra grande abilità nel calciare i rigori, specialità che gli consente altresì di incrementare costantemente il personale numero di reti segnate.
Non è quindi raro trovarlo nel tabellino dei marcatori, così come vederlo raggiungere la doppia cifra di gol segnati al termine del campionato.
Questo suo deciso carattere stona un po' con il soprannome Susi che gli viene affibbiato ad inizio carriera per via dei capelli lunghi da lui meticolosamente curati.
Le sue buone prestazioni lo rendono un elemento importante per le rappresentative nazionali tedesche ed in tal senso ha l'onore di partecipare alle vittorie nel Campionato Europeo Under 18 e nel Campionato del Mondo riservato allo stesso limite di età.
Come anticipato il Borussia Dortmund trova difficoltà ad imporsi ad alti livelli, ma a partire dalla stagione 1988/1989 le cose sembrano cambiare, in quanto arriva l'affermazione in Coppa di Germania dopo il 4-1 in finale contro il Werder Brema.
Per il forte centrocampista vi è anche la soddisfazione di vincere tale trofeo da capitano, potendo alzare al cielo di Berlino la tanto ambita DFB Cup.
Il 1988 è un anno che lo vede protagonista di un'incredibile prestazione, che fa ben riflettere sulle sue straordinarie capacità realizzative: in una partita di campionato vinta per 4-2 contro il Bayer Uerdingen, Zorc realizza tutte e quattro le reti del Borussia, grazie anche all'ausilio di due rigori.
L'anno successivo la squadra vince la Supercoppa di Germania dopo una pirotecnica partita vinta per 4-3 contro il Bayer Monaco, prestigioso viatico per quello che avviene a partire dagli anni 90.
La squadra al momento allenata da Ottmar Hitzfeld si fa valere soprattutto in campo europeo, tanto da raggiungere la finale di Coppa Uefa nella stagiona 1992/1993, trascinata anche dalle prestazioni e dai gol (4 in tutta la competizione) di Zorc.
La squadra tedesca si arrende nella doppia finale alla Juventus, trascinata dal futuro Pallone d'Oro Roberto Baggio, ma l'impressione è quella di trovarsi di fronte alla fase iniziale di un ciclo vincente.
L'anno successivo è ancora una squadra italiana ad eliminare il Borussia: in semifinale l'Inter di Giampiero Marini si impone 3-1 a Dortmund, prima di essere sconfitta 2-1 a San Siro, con Zorc che apre le marcature nello sfortunato tentativo di rimonta.
Nella stagione 1994/1995 finalmente arriva la gioia della prima Bundesliga, arrivata dopo un appassionante duello con il Werder Brema.


Zorc si dimostra ancora una volta decisivo, ponendosi come trascinatore dei compagni e come apprezzabile attaccante aggiunto: a fine campionato sono ben 15 i gol da lui realizzati, compresa una bella tripletta nella vittoria per 4-0 ad Amburgo.
In Coppa Uefa l'avventura si ferma in semifinale, dopo un combattuto doppio confronto con la Juventus, avversario storico sulla strada di Zorc in campo internazionale.
La stagione successiva sembra la fotocopia di quella precedente, con il Borussia che si laurea ancora campione di Germania e con il suo capitano ancora decisivo in fase realizzativa con altre 15 marcature.
La squadra partecipa alla Champions League, interrompendo la sua corsa nei quarti di finale per mano dell'Ajax.
Nella fase a gironi Zorc mette a segno un gol decisivo nella vittoria per 2-1 contro la Juventus che qualifica i tedeschi al pari della formazione italiana.


La consacrazione europea arriva finalmente l'anno successivo, quando a Monaco di Baviera viene battuta proprio la Juventus in finale di Champions Leauge, determinando l'apice calcistico del Borussia Dortmund.
Zorc entra solo ad un minuto dalla fine, giusto in tempo per mettere il suo nome sul tabellino e per partecipare ai festeggiamenti finali.
Tale storico successo viene nobilitato dalla successiva vittoria in Coppa Intercontinentale contro il Cruzeiro per 2-0, aperta dalla marcatura proprio del capitano Zorc.


Questa ultima prodezza annuncia i titoli di coda sulla brillante carriera dello storico capitano del Borussia, terminata con un sensazionale record di presenze e ben 156 reti ufficiali.
Arrivati a questo punto viene da chiedersi invece quali siano i suoi numeri con la nazionale maggiore tedesca, dopo i successi con l'Under 18 ed alla luce delle sue prestazioni con il club.
Probabilmente in questo caso tocchiamo un tasto dolente, in quanto le sue presenze con la Germania si fermano a 7, peraltro tutte ottenute dal 1992 al 1993.
Zorc non entra in sintonia con i commissari tecnici e la sua nomea di leader non si sposa bene con la possibilità per lui di non partire titolare, vista comunque la nutrita e qualitativamente alta concorrenza nel suo ruolo.
Resta comunque bizzarro come uno dei più forti centrocampisti della sua epoca non abbia mai preso parte ad un Mondiale o ad un Europeo, al di là di ogni scelta o giudizio tecnico tattico.
Tale preclusione rende il suo legame con il Borussia Dortmund ancora più forte ed intimo e forse i tifosi dei gialloneri si sentono privilegiati per aver potuto applaudire in modo esclusivo un simile giocatore.
Attualmente fa parte dello staff dirigenziale della sua squadra del cuore, a riprova che le bandiere nel calcio non vengono mai ammainate.


Giovanni Fasani

venerdì 3 luglio 2015

LA PARTITA DELLO SCEICCO

Sono passati esattamente 33 anni (nel momento in cui sto scrivendo) da uno dei fatti più curiosi, goliardici e strani dell'intera storia calcistica.
Era infatti il 21 giugno 1982 quando, allo stadio Josè Zorrilla di Valladolid, scendevano in campo Francia e Kuwait per disputare la seconda partita del gruppo D del Mondiale spagnolo.
Sulla carta un match senza storia; da una parte i transalpini che vantavano nelle loro file Platini, Rocheteau, Tresor, Lacombe e chi più ne ha più ne metta, dall'altra il piccolo Kuwait alla prima partecipazione mondiale e formato da ragazzi tutti militanti nel locale campionato.
A dispetto di tutto ciò il Kuwait era davanti ai francesi in classifica, forte del pareggio 1-1 contro la Cecoslovacchia nella prima partita e della sconfitta 3-1 della Francia contro l'Inghilterra.
 

Nonostante ciò la partita non tradì le attese e la Francia riuscì, abbastanza agevolmente, a portare a casa il risultato.
Sul finire del primo una gran punizione di Genghini ed un'incursione di Platini gelarono i bollenti spiriti kuwaitiani, mentre nella ripresa Six portò i suoi sul 3-0 prima che Abdullah Al-Boloushi accorciò le distanze per la squadra allenata da Carlos Alberto Parreira ad un quarto d'ora dal termine.
All'80' il fatto che consegnerà per sempre questa partita alla storia: lancio in profondità per Giresse, il centrocampista francese deposita alle spalle dell'incolpevole Al-Tarabulsi fermo come il resto dei suoi compagni di squadra. Già fermi, perché dagli spalti è partito un fischio che i ragazzi in maglia rossa credevano provenisse dall'arbitro russo Miroslav Stupar.
 

A questo punto l'attenzione di tutti si sposta verso la tribuna d'onore dove, tra gli altri, è seduto lo sceicco kuwaitiano (e presidente della federazione) Fahad Al Ahmed Al Sabah che dopo un veloce conciliabolo con i suoi collaboratori decise di scendere letteralmente sul terreno di gioco per fare quattro chiacchere con il signor Stupar; il tutto accompagnato da un misto di ilarità ed incredulità dei circa 30.000 presenti allo Zorrilla.
Nel frattempo tutti i giocatori kuwaitiani avevano abbondantemente protestato col direttore di gara, arrivando addirittura a strattonare lo stesso che aveva già convalidato il quarto gol francese.
Dopo qualche istante in cui tutta la Francia era più esterrefatta che altro, all'improvviso il CT Michel Hidalgo andò su tutte le furie quando vide che l'arbitro tentennava messo sotto dalle "minacce" dello sceicco che voleva a tutti i costi che il gol fosse annullato; nella concitazione il 49enne allenatore transalpino travolse addirittura un cameraman della TV francese facendolo volare insieme a tutto il materiale al seguito dello stesso.
Dopo 7 minuti di interruzione ed un solo cartellino giallo, quello a Fatih Kameel, l'arbitro Stupar decise di annullare il regolarissimo gol di Giresse mandando in bestia Hidalgo ed i suoi ragazzi, non tanto perché alla Francia sarebbe mancato un gol, quanto per il modo in cui è stata gestita la situazione dal direttore di gara.
 
 
La Francia riuscì comunque a portare a casa il 4-1 grazie ad un gol di Maxime Bossis ad un minuto dalla fine.
Al termine della manifestazione la FIFA radiò Stupar da qualsiasi manifestazione internazionale, mentre lo sceicco Al Sabah se la cavò con 5.000 sterline di multa.
Il pomeriggio di Valladolid passerà per sempre alla storia come "la partita dello Sceicco".


Matteo Maggio