venerdì 28 agosto 2015

FOOTBALL, FRIENDSHIP AND BEER

Mentre l'attenzione è tutta concentrata sull'inizio dei principali campionati europei, c'è n'è uno che sta per terminare. Si tratta di quello irlandese, composto da 12 squadre e giunto all'ultima parte di stagione.
Se di Inghilterra, Germania, Spagna eccetera eccetera sappiamo quasi ogni cosa, nulla sappiamo dell'affascinante torneo a strisce bianco-verdi-arancio.
Abbiamo quindi incontrato Jacopo Ghirardon, appassionato di tale campionato avendo seguito numerose partite sul posto, diventandone un vero e proprio esperto.
Ne è uscito un viaggio tra gli aspetti più interessanti; rivalità, impianti fatiscenti e quell'atmosfera che solo un paese come l'Irlanda sa regalare.
Non vi resta quindi che mettervi comodi con una bella pinta e leggere ciò che Jacopo ci ha raccontato. 
 
Come ti sei avvicinato al campionato irlandese?
Il mio primo approccio al calcio Irlandese risale al 2008, quando mi trovavo nell’isola di smeraldo per un viaggio di potenziamento del mio inglese. La mia prima partita fu tra il Bray Wanderers e il Galway United, sfida di bassa classifica vinta per 0-1 dalla squadra ospite. Da li mi sono avvicinato sempre più a questo campionato,  arrivando a seguirlo in maniera sempre più capillare fino a farlo diventare il mio campionato, visto anche un mio disamoramento verso il campionato Italiano e anche quello Inglese che comunque continuo a seguire con spirito critico.

Dai social network ho visto che diverse volte sei stato in Irlanda per seguire alcune partite. Come si svolge il tuo viaggio tipo?
Dal 2013 sono tornato in Irlanda 4 volte, seguendo principalmente il Dundalk, la mia squadra preferita nel campionato.  Nel 2013 ho assistito all’ultima giornata tra il Dundalk e il Cork ad Oriel Park (foto sotto), partita finita 4-0. Due giorni dopo sono stato a Richmond Park, stadio del St.Patricks Athletic, per la finalissima della Leinster Senior Cup, la coppa regionale, vinta dallo Shamrock Rovers per 0-1. Nel 2014 penultima giornata a Bray sempre contro il Dundalk (1-1), mentre recentemente sono tornato ad Oriel Park per il preliminare di Champions tra il Dundalk e il Bate Borisov, finito 0-0, risultato che ha sancito l’eliminazione dei Lilywhites dopo l’1-2 subito in Bielorussia.
Le partite in Irlanda in campionato si disputano prevalentemente di Venerdi sera, evitando così la sovrapposizione con i campionati Inglesi e Scozzesi che giocano di sabato.  Dunque il weekend raggiunge subito il culmine con la partita il venerdì sera, mentre il sabato di solito lo dedico al divertimento che mai manca in Irlanda e la domenica a visitare nuovi posti (sostanzialmente da Nord a Sud l’Irlanda l’ho potuta vedere tutta). Avere molte amicizie con locali mi aiuta moltissimo, mi fa vivere al massimo sia l’esperienza della partita sia di avere uno spiccato piuttosto reale di come sia la Vita comune in Irlanda.
 
 
A tal proposito: si respira il famoso ambiente anglosassone fatto di birra al pub a prescindere dal colore della sciarpa? 
Assolutamente si, con una differenza sostanziale: che in molti stadi la clubhouse è inglobata nella tribuna centrale, il che permette di gustarsi una bella pinta assieme agli altri tifosi nel pre e post gara direttamente a bordo campo: un’esperienza decisamente piacevole. Un qualcosa che rende unica l’esperienza di una gara vissuta dal vivo in Irlanda. Per altro le relazioni tra tifosi sono molto forti, dal momento che la maggior parte dei club sono direttamente gestiti dagli stessi tifosi, creando un clima di collaborazione e amicizia che va oltre la pura rivalità sportiva.
In Italia siamo ormai abituati a lunghe trafile per ottenere un biglietto per lo stadio. Come funziona invece in Irlanda?
Nei match normali di campionato, basta presentarsi in biglietteria prima della partita (possibilmente con i soldi giusti!) per comprare velocemente il biglietto ed entrare in campo: non servono ne documenti, ne tessere ne altro. Nei match di cartello è prevista una prevendita, ma anche la non serve alcun tipo di documento: mi è successo questo per la sfida di Champions del Dundalk. Il prezzo dei biglietti è molto contenuto, circa 15€ per una tribuna centrale e 10 per i biglietti Stand , ossia tribuna laterale o in terrace in piedi (principalmente dietro la porta).
 
La maggior parte dei campionati europei è già iniziata o sta per iniziare. In Irlanda siamo a poche partite dal termine. Come si svolge la stagione?
Dal 2003 ormai in Irlanda si gioca nell’anno solare, seguendo in linea di massima il calendario scandinavo. La stagione tradizionalmente inizia a febbraio con la Setanta Sports Cup, ossia la supercoppa tra le squadre della Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord, competizione (annullata in questa stagione) usata come prezioso precampionato per le squadre della League of Ireland. A Metà marzo inizia la stagione, che dura 33 giornate e finisce a fine ottobre: nel mezzo a giugno una pausa per permettere alle squadre impegnate in Europa di prepararsi al meglio. La stagione si conclude tradizionalmente con la finale di Coppa nazionale all’Aviva Stadium la prima domenica di Novembre.  Al momento a 9 giornate dalla fine il Dundalk sta dominando il campionato, con un vantaggio di 10 punti sul Cork e 12 punti sullo Shamrock e St. Pat’s.
 
 
Stadi molto piccoli ed ambiente quasi famigliare. E' questo a fare la differenza con altri campionati?
Gli stadi sono molto piccoli, per rendere l’idea nessuno stadio supera i 10 mila spettatori, ma spesso sono molto pieni e trasudano storia e passione da ogni poro: questo rende l’atmosfera particolarmente calda ed avvolgente.  I tifosi per altro preferiscono tifare in una maniera molto più “europea” con bandiere, striscioni e anche fumogeni, che seguendo uno stile più “britannico”, a testimoniare il fatto di come in Irlanda ormai da 100 anni non si veda più verso l’altra isola, tanto quanto nel calcio tanto in altri aspetti della vita comune.
 
Quali sono le squadre più forti e chi ha vinto più campionati?
La squadra principale del calcio Irlandese è lo Shamrock Rovers, che ha vinto 17 titoli e 24 coppe nazionali (anche se l’ultima risale al 1986). Dietro di loro, come titoli vinti, altre squadre di Dublino come il Shelbourne (13 titoli, attualmente gli Shels si trovano addirittura in First Division) e i Bohemians a 11. Al momento il campionato è una questione a due, con il Dundalk (10 titoli, l’ultimo conquistato proprio nella scorsa stagione), e il Cork City che sta cercando invano di tenere il passo del Dundalk. Segnalo un fatto molto particolare che raramente si vede nei vari campionati Europei: negli ultimi 10 anni sono stati 8 i campioni diversi, a testimoniare il grande equilibrio che c’è ogni anno in questo campionato.
 
Quali sono le rivalità più accese?
Il derby di Dublino, tra lo Shamrock Rovers e i Bohemians, è nettamente la rivalità più famosa e accesa del campionato. La rivalità tra i club è totale, e nasce dal fatto che i Bohemians sono il grande club del Nord di Dublino, mentre i Rovers tradizionalmente sono la squadra del Sud, anche se adesso è emigrata a Tallaght, città dell’estrema periferia di Dublino. Tra il nord e il sud delle due città scorre il Liffey, in una rivalità extra calcistica raccontata in parte da Dubliners di James Joyce. A Dublino ci sono però altri due club, St.Patrick’s e appunto Shelbourne, e le rivalità tra i 4 club principali della capitale è molto sentita. Il derby del Louth tra Drogheda e Dundalk è quello “provinciale” più acceso, vista la vicinanza e la rivalità tra le due cittadine. Altre rivalità sono quelle tra il Derry City e il Finn Harps (anche se Derry, squadra geograficamente appartenente all’Irlanda del Nord ma ormai da 30 anni presenza fissa nella LOI ha i principali rivali nel Linfield e nel Coleraine, squadre Lealiste appartenenti al campionato Nordirlandese), e tra Cork e Limerick nel derby del Munster.
 
 
Hai qualche episodio particolare da raccontarci legato a queste sfide?
Il derby tra Shamrock Rovers e Bohemians è quello che nettamente regala più spunti. La rivalità è fortissima e ogni volta che si gioca a Dalymount (storico stadio del calcio Irlandese, là dove la nazionale ha mosso i primi passi) o al Tallaght Stadium la tensione è alle stelle e la fibrillazione è molto elevata. Negli anni 2000 Tony Grant, passato dallo Shamrock ai Bohemians, venne accolto nel primo derby con una bella testa di maiale scagliata addosso dai tifosi dei Rovers che non hanno digerito il suo tradimento. Per 20 anni lo Shamrock Rovers non ha potuto disporre di uno stadio, emigrando nei vari stadi di Dublino, dopo la distruzione dello storico Glenmalure Park, fino alla costruzione del Tallaght Stadium nel 2009. I tifosi dei Bohs dunque chiamano Homeless quelli dei Rovers, mentre rifacendosi alle origini del club, quelli dei Rovers chiamano i Bohs Gypsies, ossia zingari, per altro uno dei nickname ufficiali del club rossonero. L’episodio però più grave nella storia del calcio Irlandese risale al 1979, quando in una sfida di coppa dei Campioni Dundalk e Linfield si sfidarono in pieno periodo di troubles. La sfida di Oriel Park fu un vero macello, con centinaia di feriti e con la consapevolezza che anche il calcio ormai era parte fondamentale del conflitto tra Cattolici e Protestanti, in un clima ben più pesante di un Old Firm, visto anche la particolare posizione di Dundalk esattamente al confine con il Nord.
 
Nella storia qual è stato il miglior risultato europeo di una squadra irlandese?
Nel 2010 per la prima e finora unica volta una squadra Irlandese è riuscita a qualificarsi per una fase a gironi di una competizione UEFA: Lo Shamrock Rovers infatti è stata protagonista di una strepitosa cavalcata, cominciata con il secondo turno preliminare di Champions con l’affermazione (1-0 e 0-0) contro il Flora Tallinn. Al turno successivo il Copenaghen si dimostrò troppo forte (0-1 e 0-2), costringendo i Rovers a retrocedere al playoff di Europa League, dove eliminarono clamorosamente il Partizan di Belgrado con un doppio 1-1 e il goal decisivo ai supplementari di Stephen O’Donnell (foto sotto). Nei gironi i Rovers trovarono un gruppo di ferro con Tottenham, Rubin e PAOK, totalizzando 0 punti, ma segnando un clamoroso goal a White Hart Lane che mandò in delirio gli oltre 5mila tifosi dei Rovers a Londra. Un’altra grande cavalcata fu quella dello Shelbourne nei preliminari di Champions del 2004: eliminati KR Reykjavik e Hajduk Spalato, nell’ultimo turno tennero testa al mitico Deportivo di quegli anni fino al 60’ della ripresa, quando il Depor sfondò la resistenza dei Shels vincendo poi per 3-0.
 
 
In chiusura. Quanto abbiamo da imparare noi da un campionato come quello irlandese?
Il modo in cui si vive una partita: ci si può lo stesso sfogare, tifare etc sempre però nel rispetto dell’avversario che viene visto più come un compagno di bevute che un rivale. Ne giova l’atmosfera che è sempre molto brillante. Il campionato Irlandese viene definito il campionato di Non League più bello del mondo e in un certo verso questa denominazione non è sbagliata. Le strutture magari sono fatiscenti e ci sono da apportare diverse migliorie, ma la strada percorsa è quella giusta e negli ultimi anni si stanno raccogliendo buoni frutti. Certo il campionato Irlandese non si può paragonare ad uno dei top in Europa, ma ha sicuramente la sua storia, tradizione e diversi spunti molto interessanti.
 
 
Matteo Maggio

martedì 25 agosto 2015

PARARE COME UN TURCO

Solo negli anni recenti il calcio turco ha raggiunto stabilmente un apprezzabile livello medio, grazie alle prestazioni della relativa nazionale e di qualche squadra di club.
Prima del 2002 la nazionale turca era riuscita a partecipare alla fase finale di un Mondiale solo nel 1954, venendo per giunta eliminata al primo turno.
Per noi italiani la Turchia calcistica significava solo lunghe e difficili trasferte in stadi caldi, dove l'atmosfera creata dal pubblico rappresentava l'avversario più arduo da battere.
Il nostro campionato ha difficilmente attinto dal bacino turco e solo qualche tifoso avrà memoria di Can Bartu, giocatore turco che ebbe discrete esperienze con Fiorentina, Venezia e Lazio negli anni '60. Più recente è il ricordo di Hakan Sukur, che, in anni diversi, non riesce ad ambientarsi con le maglie di Torino ed Inter.
Con la qualificazione agli Europei del 1996 la Turchia dimostra la grande evoluzione del suo movimento sportivo e si pone come uno dei nuovi punti di riferimento continentale.
Proprio in quel periodo troviamo tra i pali un eccentrico quanto eccelso giocatore, in assoluto uno dei migliori portieri del periodo ed un autentico mito in patria.
Con le sue 120 presenze con la maglia della Stella Crescente, Rustu Reçber merita una menzione quando si parla di grandi estremi difensori, in una carriera ricca di prodezze, ma non priva di qualche singolare intoppo.


Nato nel 1973 ad Adalia muove i suoi primi passi calcistici nella locale compagine dell'Antalyaspor con la quale esordisce in prima squadra, mettendosi da subito in mostra per le eccezionali doti atletiche e tecniche.
Pare che le sue notevoli prestazioni colpiscano una delle leggende del calcio turco, Fatih Terim, il quale non perde tempo a incensarne le lodi, indicandolo come il portiere del futuro.
Dello stesso avviso è il Galatasaray che nel 1993 lo acquista ufficialmente, lasciandogli però la possibilità di concludere la stagione nella squadra d'origine.
Il trasferimento però salta a causa di un incidente automobilistico patito dalla stesso Rustu, che induce i dirigenti giallorossi a rescindere l'accordo stipulato.
Il portiere non si perde d'animo e convince un'altra storica formazione a dargli fiducia, il Fenerbahce.
La scelta di rivela vincente per entrambi, dal momento che per i Canarini Gialli inizia un notevole periodo molto positivo e Rustu completa la sua maturazione, imponendosi come punto di forza della squadra.
Nello stesso modo viene considerato in nazionale, dove gioca dal 1994 e per la quale risulta decisivo più volte.
Nella stagione 1995/1996 vince il suo primo titolo nazionale e nella successiva estate difende i pali della Turchia agli Europei.
La squadra allenata da Terim subisce tre sconfitte nel girone, ma l'impressione è quella di una squadra futuribile e ricca di talento, dove spiccano le qualità proprio del portiere.
Dotato di un fisico eccezionale, sorprende per la grande agilità e l'istinto che lo porta a compiere parate al limite dell'impossibile.
Nelle uscite è molto sicuro e coraggioso ed in quella alte è ben supportato dai 186 centimetri di altezza.
Inoltre è dotato di un carattere molto forte e di un grande carisma, che riesce a trasmettere a tutti compagni, che lo eleggono a proprio rappresentante in campo ed all'interno dello spogliatoio.
Nel frattempo in nazionale viene nominato commissario tecnico Mustafa Denizli che guida la rappresentativa ai campionati europei del 2000: la squadra di disimpegna al meglio, passando il girone di qualificazione e venendo eliminata ai quarti dal Portogallo.
La sensazione è quella di trovarsi di fronte ad un gruppo di giocatori in ascesa, sicuri protagonisti nei tornei successivi.
Nel 2001 vince il suo secondo titolo con il Fenerbahce, nella stagione che precede il Mondiale del 2002, dove la Turchia si qualifica dopo 48 anni.
La squadra è perfettamente plasmata dal nuovo allenatore Senol Gunes, che può contare su di una generazione di calciatori al momento irripetibile: Ozalan Alpay, Emre Belozoglu, Hakan Sukur, Yildiray Basturk,Hasan Sas e molti altri.
Il vero protagonista di questo Mondiale è però proprio Rustu, inizialmente per via dell'insolito look caratterizzato da due righe nere disegnate sotto gli occhi.


Tale accorgimento gli conferisce un tono decisamente aggressivo, anche se sarebbe esclusivamente un suo espediente per lenire gli effetti delle luci dei riflettori.
Durante il torneo si dimostra in grandissima forma, trascinando i compagni fino alla semifinale, compiendo interventi decisivi per le sorti della Turchia.
Le porte della finale vengono precluse dal Brasile, grazie ad un gol di Ronaldo, che, ironia della sorte, va a segno sfruttando un non perfetto intervento di Rustu: il portiere turco viene sorpreso da un tocco di punta del Fenomeno non riuscendo a deviare perfettamente il pallone.
Gli uomini di Gunes ottengono il terzo posto finale a spese della Corea del Sud e vengono riconosciuti come una delle realtà più positive uscite dal torneo.
Rustu, nonostante l'incertezza in semifinale, viene inserito nella Top 11 del Mondiale e viene premiato, a fine stagione, come miglior portiere dell'anno.
Tali riconoscimenti lo rendono molto appetibile sul mercato, tanto che nel 2003 trova un accordo con l'Arsenal, saltato a causa di un suo litigio con l'allenatore Wenger e successivamente giustificato da presunti problemi di natura fisica.
La delusione viene dissipata però dall'opportunità di passare al Barcellona, con la concreta possibilità di essere il portiere titolare dei Blaugrana.


Tale possibilità si realizza però poche volte, a causa delle regole sugli extracomunitari schierabili e delle sue difficoltà nell'apprendere lo spagnolo, che gli causa inevitabili problemi di adattamento.
Dopo solo una stagione decide di ritornare al Fenerbahce, soprattutto per non perdere il ruolo di titolare in nazionale a scapito di Omer Cakic, con il quale si alterna nella Confederations Cup del 2003, chiusa la terzo posto.
Il ritorno in patria gli conferisce nuove motivazioni e le sue prestazioni contribuiscono alla vittoria di altri tre campionati.
Nel 2007 il suo burrascoso carattere lo manda in rotta di collisione con la dirigenza, tanto da decide di trasferirsi al Besiktas, suscitando dispiacere e rancore nei tifosi gialloblù.
Nonostante l'età, anche con le Aquile Nere si dimostra decisivo, ottenendo la convocazione per l'Europeo 2008 come riserva di Volkan.
Proprio l'infortunio di quest'ultimo nel corso del torneo gli consente di essere schierato nel quarto di finale  contro la Croazia, in un match terminato 1-1 e vinto dai turchi ai calci di rigore. Rustu è responsabile sul gol croato, ma nella serie dagli undici metri respinge il rigore di Petric ed induce all'errore Modric e Rakitic.
In semifinale la Germania ha la meglio sulla Turchia per 3-2 ed il portiere turco non è immune da responsabilità, specie sul gol tedesco di Klose.
Nonostante la sua carriera sia in fase discendente riesce a vincere un altro campionato turco con il Besiktas e le prime due coppe di Turchia della sua carriera.
Quest'ultima si conclude nel 2012 alla soglia dei 40 anni, quando gioca anche la sua ultima partita contro la Finlandia, chiudendo con il record di 120 presenze ed entrando nella storia del calcio del suo paese.
Potenzialmente stiamo parlando di un campione, in grado come pochi altri nel suo ruolo di fare la differenza in campo.
Il particolare carattere lo ha aiutato nei momenti bui, ma l'ha probabilmente limitato in certe scelte ed in certe reazioni, che hanno caratterizzato negativamente la sua carriera.
Se in Turchia è una leggenda, a livello internazionale deve restare il ricordo di un grande estremo difensore, soprattutto per essere stato il grande numero 1 della più grande generazione di calciatori turchi finora espressa.


Giovanni Fasani

venerdì 21 agosto 2015

ANEDDOTI CALCISTICI

La bellezza del calcio è spesso e volentieri caratterizzata da quegli episodi che rimangono dietro le telecamere.
In un mondo in cui ormai tutto è alla luce del giorno sui social network, risulta davvero difficile non conoscere una notizia o una semplice frase detta da qualche addetto ai lavori.
Con l'articolo di oggi siamo a proporvi qualche piccolo aneddoto legato al passato; ci avvaliamo della gentile collaborazione del giornale "Nduma Insà", un periodico della provincia pavese che si occupa principalmente di quanto accade nei paesi presi in considerazione.
Tuttavia si possono trovare questi piccoli aneddoti o articoli affini grazie alla pazienza di Adriano Meazza, autore di questo ed altri articoli che vi proporremo.
Oltre alla gratitudine per aver trovato queste curiosità, ci preme ringraziare anche chi ci ha portato alla conoscenza del giornale e dei relativi articoli, l'amico Claudio Coscia.
 
Risposta fulminea - ad Antonio Bordon, centravanti genoano per alcune stagioni (inizio anni '70) e da non confondersi con l'altro Bordon a nome Ivano, portiere dell'Inter che giocò anch'egli in quegli anni, il presidente rossoblu dopo il suo acquisto gli sottopose un ingaggio contrattuale alquanto stiracchiato. Senza scomporsi e forte delle reti messe a segno in precedenza, anche se nelle divisioni inferiori, il calciatore gli rispose: “D'accordo, provengo da squadre di rango inferiore e con la massima divisione non mi sono ancora cimentato, ma parlano i goals che ho realizzato”. E a completamento della sua tesi aggiunse: “ D'altronde, l'ampiezza delle porte è uguale sia in Serie A che nella Serie B o C, ergo, non è che in Serie A le porte siano più strette per avere maggiori difficoltà a segnare che nelle altre divisioni e se tanto mi da tanto...”.
 
 
Manlio Scopigno che vinse lo scudetto con il Cagliari nella stagione 1969-70 fu tra gli allenatori, prendendo in considerazione l'ultimo sessantennio calcistico, insieme a Radice (Torino 1975-76) Bagnoli (Verona 1984-85), Boskov (Sampdoria 1990-91), a spezzare l'egemonia delle grandi (Juve, Milan, Inter e con il dovuto inserimento di Roma, Lazio e Fiorentina). Lo scudetto rossoblu, che ebbe in Gigi Riva l'alfiere più prestigioso, fu vinto con l'apporto determinante degli scarti ceduti forse un po' troppo frettolosamente dalle altre big del torneo (Albertosi – Fiorentina, Domenghini e Gori – Inter, Nenè – Juventus). Soprannominato l'allenatore filosofo (era laureato in questa materia) sapeva stemperare come pochi le tensioni di spogliatoio con battute argute e divertenti, tali da riportare subito la serenità in seno alla squadra. A Boninsegna, fresco reduce dal Carnevale di Viareggio, arrivato all'ultimo istante per sostenere l'allenamento mattutino e con i capelli abbondantemente ricoperti di coriandoli, osservando il corpo del reato, con la massima pacatezza gli disse: “Almeno quelli avresti potuto toglierli!”.

Alta professionalità - L'irlandese Liam Brady nel campionato 1981–82, nell'ultima partita disputata a Catanzaro, mise a segno il rigore decisivo che valse lo scudetto alla Juventus, pur sapendo della rinuncia, nei suoi confronti, da parte della società per la stagione successiva.
 
 
Gli allegri scozzesi. Gli allegri scozzesi si sa, sono eccellenti bevitori. Così, nell'eremo argentino, ai mondiali del '78 (i ritiri non sempre sono un periodo di quaresima) unici rappresentanti anglosassoni di quei mondiali, dopo corse ed allenamenti cercano di scacciare la noia facendo ricorso ad abbondanti bevute di birra e wisky. C'è qualcuno però che non smaltisce la sbornia e scende in campo piuttosto alticcio. Forse sono maldicenze, ma è un fatto che gli scozzesi vengono eliminati al primo turno. Ad avvalorare questa tesi c'è un precedente avvenuto durante una trasferta in Danimarca. Prima dell'incontro, cinque giocatori fuggono dal ritiro e si rifugiano in un bar di Copenaghen, dove fanno un colossale pieno di wisky e poi, ubriachi fradici, sfasciano il locale. L'accaduto è grave e costa il posto all'allenatore. Ma, alla luce di quanto successo in Argentina non si può dire che al suo successore sia andata meglio.

Abitudine al gol - Pascutti, ala sinistra del Bologna, nel campionato 1962-63 mise consecutivamente a segno 12 gol in 10 partite. Questo record verrà infranto da Gabriel Batistuta della Fiorentina poco più di trent'anni dopo. Presidente del sodalizio felsineo era Renato Dall'Ara al cui nome, dopo la sua morte, verrà dedicato lo stadio.

Gol si gol no - L'episodio sottoriportato è da attribuirsi alla scarsa o nulla attenzione nel controllo delle reti. Ad Arica, nei mondiali del '62 in Cile, si gioca U.R.S.S. - Uruguay e l'arbitro è l'italiano Jonni. I sovietici ce la mettono proprio tutta perchè solo vincendo sono sicuri della qualificazione avendo già superato la Jugoslavia. Per gli uruguagi è pura questione d'orgoglio. Con le squadre sull’1 a 1 avviene il fattaccio: c'è un'azione sulla destra dell'attacco uruguagio con il pallone che finisce in rete. L'arbitro Jonni si rivolge al guardalinee il quale sta rientrando verso il centrocampo e perciò convalida la segnatura. Ma i sovietici si ribellano all'ingiustizia: nella rete c'è un buco proprio dalla parte dove il pallone, già uscito sul fondo, si è infilato. A Jonni giungono inoltre le urla di tre italiani, tra i quali Annibale Frossi, che gli urlano: “Jonni, non è gol!” allora, questa volta, tra le protestre degli uruguagi, il gol viene giustamente annullato.
 
 
Alla prossima con altri aneddoti legati alla storia del calcio.
 
 
 
Matteo Maggio

martedì 18 agosto 2015

IN PRINCIPIO FU BALONCIERI

Quando si parla di fuoriclasse la normale attribuzione di un ruolo passa in secondo piano, data la classe e le straordinarie caratteristiche del soggetto analizzato.
La bravura di un campione ricade anche nel sapersi disimpegnare egregiamente in più situazioni di gioco, oppure nell'essere così eccelso da rendere limitativa la forzata attribuzione di una sola posizione nel rettangolo di gioco.
La storia del calcio ci mette di fronte più di un esempio in tal senso, tanto che per indicare i più grandi di sempre basta dire il nome, senza ricordarne il ruolo o le funzioni tattiche.
Agli albori del calcio, con l'introduzione dei primi schemi di gioco, non è così semplice evitare di essere etichettato con un ruolo, essendo tali impostazioni rigide e davvero poco flessibili.
Tuttavia c'è chi è talmente baciato dal talento che già dal 1919 si pone come iniziale punto di rottura di questa coercitiva visione del calcio, incantando tutti per una completezza tecnico-tattica mai vista prima.
Adolfo Baloncieri può essere visto come centravanti di manovra, mezzapunta, interno o regista, ma in assoluto è uno dei fuoriclasse della storia calcistica italiana e non solo.


Nato nella provincia alessandrina nel 1897 si avvicina al calcio in Argentina, luogo scelto dalla sua famiglia come destinazione pochi anni dopo la sua nascita.
Per molti è proprio nella nazione sudamericana che Baloncieri matura un particolare gusto per la giocata e la straordinaria visione di gioco che lo caratterizza per tutta la carriera.
A beneficiare di tali doti è l'Alessandria, nella quale completa tutto il percorso delle giovanili, salvo vedere rimandato l'esordio in prima squadra a causa delle guerra.
Terminato il conflitto la società piemontese mette in mostra un giocatore unico, in grado dalla metà campo in su di fare qualsiasi cosa.
Partendo come centrocampista riesce con incredibile abilità a servire i compagni, il più delle volte con passaggi geniali e perfetti in ogni dettaglio.
Nella medesima posizione è altresì bravo a cercare la giocata personale, denotando un notevole tempismo negli inserimenti, che gli permette di segnare con medie da vero e proprio attaccante.
Questa mancanza di riferimenti per gli avversari si tramuta in un autentico incubo tattico: il dilemma è se farlo marcare da un difensore o da un centrocampista, dato che Baloncieri gravita su tutto il fronte offensivo.
La sua imprevedibilità nasce anche dallo straordinario fisico del quale è dotato, che gli permette scatti brucianti e che lo rende anche immune da marcature ferree.
Gli spettatori sono ovviamente ammirati dalla sua tecnica sublime, particolarmente esemplificata dal modo in cui calcia il pallone; ogni suo tocco è naturale e spontaneo, tanto da far sembrare facile anche le soluzioni più complicate.
Con i Grigi gioca con regolarità dal 1919 al 1925, non riuscendo però mai a lottare per il successo finale in campionato, nonostante le sue 75 reti realizzate nelle 120 apparizioni in tale contesto. Le statistiche sono ufficiose, dato che per alcune fonti le segnature sarebbero 72, statistica che comunque non sminuisce la sua importanza all'interno della squadra piemontese.
Il desiderio di vittoria unito al sontuoso contratto propostogli dal conte Marone Cinzano lo inducono a trasferirsi al Torino, appena prima della stagione 1925/1926.


Come da pronostico le sue prestazioni in maglia granata sono da subito ottime ed il giocatore si cala alla perfezione nel ruolo di massimo punto di riferimento per i compagni.
Il campione alessandrino forma con Julio Libonatti e Gino Rossetti un terzetto offensivo strepitoso, dove il livello tecnico arriva a livelli fino ad allora impensabili.
Baloncieri gioca in posizione più arretrata e con le sue consuete giocate mette in porta con facilità i suddetti attaccanti, considerabili tra i migliori giocatori nel periodo tra le due guerre mondiali.
A loro volta le punte sono perfette nei movimenti e facilitano al massimo le famigerate incursioni di Baloncieri, da sempre suo marchio di fabbrica.
I suoi frequenti "colpi di genio" sono effettivamente quelli che fanno la differenza e qualsiasi azione offensiva non può che passare dai suoi piedi fatati.
Nella stagione 1926/1927 arriva lo scudetto, che viene però revocato a causa del famoso "caso Allemandi": alcuni dirigenti del Torino avrebbero tentato di corrompere il giocatore della Juventus Luigi Allemandi, offrendo denaro per indurlo a favorire la squadra granata nello scontro diretto.
Nonostante il tentato illecito non sembra avere luogo, la federazione decide di togliere lo scudetto al Torino per responsabilità oggettiva dei suoi tesserati.
Baloncieri, pur essendo totalmente estraneo alla vicenda, ammetterà in seguito che più di un giocatore sarebbe stato coinvolto nel tentativo di combine ordito dai suddetti dirigenti.
Tale triste pagina sportiva conferisce alla squadra un indomito spirito di rivincita, che si concretizza nella vittoria dello scudetto 1927/1928.
La squadra granata ha la meglio sul Genoa per solo un punto ed è letteralmente trascinata dal proprio tridente, che realizza 89 reti complessive nel solo campionato.
Mattatore assoluto è Libonatti, capocannoniere del torneo con 35 gol, ma anche Baloncieri si dimostra implacabile realizzatore, con ben 31 reti.
A tal proposito resta nella storia la sua strepitosa prestazione contro la Reggiana, dove segna ben 7 reti nella vittoria finale per 14-0.
Nello stesso periodo diventa un elemento fondamentale anche della nazionale italiana, nella quale si guadagna la stima del commissario tecnico Vittorio Pozzo, che lo vede come elemento di spicco per la Coppa Internazionale del triennio 1927/1930 e per i Giochi Olimpici del 1928.
L'Italia si aggiudica la Coppa Internazionale precedendo di un solo punto Austria e Cecoslovacchia, grazie soprattutto al formidabile trio del Torino, ispirato come sempre da un geniale Baloncieri.
Alle Olimpiadi la squadra di Pozzo si arrende in semifinale al formidabile Uruguay ed ottiene successivamente la medaglia di bronzo battendo l'Egitto con un pirotecnico 11-3.



Il campione granata è ancora una volta protagonista di un grande torneo, impreziosito da ben 6 reti, compresa quella di apertura nella sfortunata partita con i futuri campioni uruguaiani.
Al di là delle affermazioni collettive il famoso Balon si toglie con la maglia azzurra una soddisfazione che pochi calciatori possono vantare: nel 1927 in un'amichevole contro la Spagna riesce a fare un gol al leggendario portiere Zamora, ai tempi un'impresa davvero notevole. Baloncieri ricorderà per sempre tale prodezza, soprattutto perché nel tempo è venuta a crearsi con Zamora una sorta di sfida personale.
Dal 1928 le sue prestazioni subiscono un lieve calo, tanto da indurlo da agire maggiormente come centrocampista, riducendo di fatto il suo raggio di azione.
Nel 1930 dice addio alla nazionale dopo 47 partite e 25 reti, lasciando un'impronta indelebile nella storia azzurra.
Due anni più tardi lascia anche il Torino, per il quale ha giocato 197 partite di campionato impreziosite da 97 segnature.
Dopo una stagione a singhiozzo con la maglia delle Comense, decide di interrompere la carriera per dedicarsi con buoni risultati all'avventura come allenatore.
Il verbo interrompere non è fuori luogo, perché nel 1944, quando si trova sulla panchina dell'Alessandria, è costretto a giocare contro il Torino a causa dell'indisponibilità di parecchi giocatori alessandrini.
Molte volte si parla di Meazza e Valentino Mazzola come dei primi fuoriclasse del calcio italiano, dimenticandosi, però, che il primo in assoluto è probabilmente Adolfo Baloncieri.
In un calcio ancora in fase embrionale, dove la ferrea tattica cerca di farla da padrone, il campione alessandrino è riuscito a dimostrare come il talento sia sempre al di sopra di qualsiasi intendimento.


Giovanni Fasani

venerdì 7 agosto 2015

APODOS CHILENOS

Il recente passato ci ha regalato la prima storica vittoria in Copa America del Cile, capace finalmente di portare a casa l’ambito trofeo arrivato davanti al proprio pubblico dopo aver battuto l’Argentina ai calci di rigore.
Se della Roja sappiamo ormai tutto o quasi grazie anche allo scorso mondiale brasiliano, poco si sa del locale campionato che ha preso il via un paio di settimane fa.
Con l’articolo di oggi vi portiamo alla conoscenza delle squadre protagoniste attraverso i loro soprannomi (apodos), veri e propri simboli di appartenenza nel continente sudamericano.
Come la maggior parte delle squadre del continente calcisticamente più pazzo al mondo, i soprannomi sono diversi. Noi vi proponiamo quelli “principali”.
Al via 16 squadre (due in meno degli scorsi anni) che si daranno battaglia per conquistare prima il Torneo Apertura e poi quello Clausura; nell’ultimo semestre il titolo è stato vinto dal sorprendente Cobresal, alla prima affermazione della propria storia.

ANTOFAGASTA (los Pumas)
L’animale che campeggia sul logo è proprio un puma, introdotto con l’andare del tempo per dare maggior “tono” ai giocatori.
Da qualche anno è diventato anche il soprannome di una delle barras bravas principali.
 
 
AUDAX ITALIANO (los Italicos)
Per chiunque si voglia avvicinare al calcio cileno e sia di nazionalità italiana un po’ di simpatia la dovrà pur provare per questa squadra, fondata da alcuni sportivi (all’inizio ciclisti) nostri compatrioti nel 1910. Da subito è stato adottato questo soprannome che nello stemma comprende anche i colori italiani oltre ad una vecchia ruota da bicicletta.

COBRESAL (los Mineros)
Situata ad El Salvador, città ubicata nel nord del paese, deve il suo nomignolo ai numerosi giacimenti minerari che danno lavoro alla maggior parte delle persone residenti nella zona. Sullo stemma campeggia il classico casco da minatore.
 

COLO COLO (los Albos)
Una delle due squadre simbolo del calcio cileno deve il soprannome ai propri colori sociali. Storicamente la maglia è sempre stata bianca con inserti neri; è conosciuto anche come el Cacique, termine con cui si definiva il capo villaggio delle tribù sudamericane.

HUACHIPATO (los Siderurgicos)
Compagine ubicata a Talcahuano, nel centro del paese, deve il nomignolo al Bobio, regione infarcita di industrie siderurgiche tra cui la CAP che dal 2009 offre anche il nome allo stadio della squadra neroazzurra.
IQUIQUE (los Dragones Celestes)
Uno dei soprannomi più facili da intuire. Lo si deve al colore sociale che è l’azzurro chiaro ed al simbolo del club, appunto un dragone, che campeggia da 37 anni (la squadra fu fondata nel 1978) sullo stemma.

O’HIGGINS (el Capo de Provincia)
A farla da padrone sono sempre state altre squadre, ma da qualche anno anche l’O’Higgins si è ritagliato un posto nell’elite cilena. Se Colo Colo ed U De Chile insieme alle altre squadre di Santiago hanno sempre primeggiato, la squadra di Rancagua si definisce la più valorosa al di fuori del contesto capitolino.

PALESTINO (los Arabes)
Squadra che subisce molto spesso “attacchi politici” deve sia il nome che il soprannome ad un gruppo di immigrati palestinesi che nel lontano 1920 arrivarono a Santiago del Cile.
Molto orgogliosi delle proprie origini, da sempre adottano i colori della bandiera palestinese sul proprio logo.
 

SAN LUIS (los Canarios)
Il colore sociale è un giallo intenso che ricorda in toto quello dei canarini, vero e proprio emblema della squadra di Quillota. In città è possibile ammirare anche un’opera voluta dall’ex presidente del club Silva che ricorda una voliera.

SAN MARCOS (el Santo)
El Santo è riferito a San Marcos Evangelista, fondatore e primo sacerdote della Chiesa di Alessandria. La compagine di Arica ha cambiato spesso il colore della propria maglia ma la tradizione legata a questo santo è viva sin dalla nascita del club.

SANTIAGO WANDERERS (el Decano)
Società fondata nel lontano 1892, fu la prima a nascere nello stato andino. Da qui il soprannome di Decano che originariamente significa “presidente del collegio cardinalizio”.
I Wanderers furono inoltre una delle squadre che nel 1933 fondarono la Primera Division.

UNION ESPANOLA (los Hispanicos)
Terza squadra fondata da immigrati; dopo italia e palestinesi è il turno degli spagnoli che esattamente 118 anni fa diedero vita al Centro Espanol de Instruccion y Recreacion.
Rifondata in un secondo momento nel 1934 dopo la fusione di due società, tenne sempre alta la bandiera del paese iberico.

UNION LA CALERA (los Cementeros)
La regione di Valparaiso dove sorge la città di La Calera è ricca di rocce calcaree. Il nome della città deriva da Caliza che significa carbonato di calcio. Soprannome che quindi abbraccia sia squadra che città.

UNIVERSIDAD CATOLICA (los Cruzados)
L’equipo cruzado deve il suo apodo al nome stesso della squadra che nacque grazie ad alcuni ragazzi che facevano appunto parte dell’università nel 1937. Ogni tanto nelle barras bravas non è insolito trovare tifosi vestiti da templari.

UNIVERSIDAD DE CHILE (la U)
U non è che uno dei tanti soprannomi affibbiati alla squadra più vincente degli ultimi anni. Dall’alto del suo blasone è giusto ricordarla come l’Universidad più famosa; fu fondata da alcuni studenti dell’Università del Cile a cui la squadra rimase annessa fino al 1980; talvolta è facile ricordarla anche come los Azules o el Romantico Viajero.

UNIVERSIDAD DE CONCEPCION (el Campanil)
Altra squadra che abbonda di soprannomi. Nella città (e nello stemma della squadra) di Concepcion è presente un famoso campanile; sono conosciuti anche come los Auricielos o los Esudiantiles.
 

Questo era il giusto e doveroso omaggio al paese Campione del Sudamerica; abbiamo voluto farlo in un modo diverso e divertente portandovi alla conoscenza delle squadre che compongono il poco conosciuto campionato locale.
 
Il nostro blog si prenderà una settimana di pausa, auguriamo quindi ai nostri lettori buone vacanze ed arrivederci al 18 agosto.


Matteo Maggio

martedì 4 agosto 2015

SERENATA REP

Il famigerato Calcio Totale creato e sviluppato dall'Olanda negli anni '70 si basa sul principio che ogni giocatore è in grado di adempiere a qualsiasi compito sul terreno di gioco, rendendo secondario il concetto stesso di ruolo.
Il movimento continuo e la completa partecipazione di ogni elemento alle due fasi, sono due caratteristiche basilari per il successo di questo innovativo quanto vincente intendimento calcistico.
Sia l'Ajax che la nazionale olandese trovano in esso il viatico per incantare l'intero mondo del calcio, guidati in campo e fuori dal fenomenale talento di Johan Cruijff.
Indubbiamente l'influenza tecnica e morale del Profeta del gol ha un peso elevato in tutto questo, ma è indubbio che il talento in quegli anni venga attribuito anche ad altri eccelsi giocatori, tra i migliori dell'intera storia olandese ed europea.
Come tutti sappiamo l'Ajax nel periodo considerato vince per ben tre volte consecutive la Coppa dei Campioni (dal 1971 al 1973), permettendo al suo nome di essere ricordato in eterno nella storia del calcio.
L'ultima di tale affermazioni avviene grazie al gol di un'atipica ala destra, tecnicamente ineccepibile e dal fisico statuario, Johnny Rep.


Il suo esordio in prima squadra avviene proprio nella stagione 1972/1973 rivelandosi subito un elemento di grandissima qualità ed estremamente decisivo.
La sua interpretazione del ruolo di esterno è in perfetta simbiosi con il calcio praticato dai Lancieri: Rep non dà mai punti di riferimento agli avversari, grazie ad un continuo e preciso movimento, che lo rende particolarmente utile in più zone di gioco.
Estremamente veloce e possente, è in possesso di un dribbling efficace, con il quale può saltare in allungo o nel breve il diretto opponente.
Fisicamente sfiora i 190 centimetri e tale struttura fisica lo rende molto valido nel gioco aereo, qualità che esibisce con tempestivi quanto improvvisi inserimenti centrali.
Inoltre calcia molto bene con entrambi i piedi ed anche dalla lunga distanza si dimostra insidioso con conclusioni potenti e precise.
Anche grazie al suo contributo nella suddetta stagione arriva il 16° titolo per l'Ajax e, come anticipato, la possibilità di fregiarsi per la terza volta del titolo di campioni d'Europa.
Il titolo viene vinto nella finale di Belgrado contro la Juventus grazie ad un gran gol di testa di Rep, che sfrutta al meglio il cross di Blankenburg sovrastando Longobucco.
Ma il giocatore esterno si era già messo in mostra in precedenza nell'autunno del 1972 in concomitanza della Coppa Intercontinentale; l'Ajax sconfigge nel doppio incontro l'Independiente e nel match giocato ad Amsterdam Rep segna una doppietta.
La squadra di Amsterdam fa sua anche la Supercoppa Europea ai danni del Milan, nettamente battuto all'Olympisch Stadium di Amsterdam per 6-0, dopo la sconfitta per 1-0 patita a San Siro.
Ovviamente nel tabellino è presente anche il nome di Rep, autore del quarto gol.
La sua avventura in patria continua quindi per altre due stagioni intervallate dal Mondiale 1974, dove la nazionale olandese allenata da Rinus Michels, incanta il mondo fino alla sconfitta finale contro la Germania Ovest.
Rep è uno dei grandi protagonisti della rassegna, dove segna ben 4 gol, compresa la doppietta nella partita d'esordio contro l'Uruguay.
Prima e dopo il Mondiale si assiste ad una piccola "diaspora" dei giocatori dell'Ajax verso le grandi squadre europee, esemplificata dal trasferimento, in anni diversi, di Cruijff e Neeskens al Barcellona.
Nel 1975 anche Rep approda in Spagna, accettando la ricca offerta del Valencia, al tempo non propriamente una squadra di prima fascia.
Il suo rendimento è come sempre ottimo, tanto da andare a segno 22 volte nelle 55 apparizioni nella Liga in due stagioni
Tuttavia il Valencia ottiene solamente due piazzamenti a ridosso della zona Uefa, nonostante nel secondo anno arrivi anche un grande attaccante come l'argentino Mario Kempes.
Nel frattempo l'Olanda arriva terza nell'Europeo del 1976, perdendo la semifinale contro la Cecoslovacchia e soprattutto la possibilità di inserire il suo nome nell'albo d'oro di una competizione per nazionali.
Nel 1977 si trasferisce al Bastia in Francia, dove si impone come uno dei migliori giocatori dell'intero campionato, segnando 33 reti nelle sue due stagioni con i Leoni di Furiani.
La squadra ottiene nel 1978 l'accesso alla finale di Coppa Uefa dopo una strepitosa cavalcata fino all'atto conclusivo contro il PSV Eindhoven. La squadra olandese ha la meglio nel doppio incontro, ma grazie alle prestazione di Rep il Bastia ottiene quella visibilità internazionale mai appartenutagli.
Nello stesso anno l'Olanda vola in Argentina senza il mentore Cruijff per tentare nuovamente di vincere il titolo mondiale.
Rep appare in grandissima forma, dimostrandosi letale per le difese avversarie, che mal riescono a leggere le sue famigerate incursioni.
Durante questa manifestazione segna tre reti che sommate alle quattro del torneo precedente lo rendono il giocatore olandese con più gol segnati nella fase finale di un Mondiale.


Anche in questo caso l'Olanda raggiunge l'atto finale, salvo essere sconfitta dai padroni di casa argentini, in una partita dove le decisioni arbitrali e la pesante influenza politica hanno avuto un ruolo cruciale.
Nel 1979 si trasferisce al Saint Etienne dove continua senza cedimenti la sua straordinaria carriera, a suon di ottime prestazioni e gol.
L'anno successivo disputa il Campionato Europeo con la maglia dell'Olanda, ma anche stavolta l'avventura non è positiva e la squadra di Zwartkruis viene eliminata nel girone iniziale.
Rep va in gol su rigore nella sconfitta per 3-2 contro la Germania, dimostrandosi uno dei migliori giocatori della sua rappresentativa.
Finalmente nella stagione 1980/1981 riesce nuovamente a vincere una competizione importante, primeggiando con il Saint Etienne nel campionato francese, al termine di un equilibrato testa a testa con il Nantes.
Decisive in tal senso sono anche le sue giocate, sempre perfettamente assistite da quelle di un altro asso del calcio mondiale, Michel Platini.
Nella città della Loira resta fino al 1983, giocando 164 partite e segnando 65 reti nella massima divisione francese con la maglia dei Les Verts.
Decide quindi di rientrare in patria per giocare con il PEC Zwolle, non prima di aver messo fine alla sua esperienza con la nazionale, dopo 42 partite e 12 gol.
L'anno successivo accetta l'offerta del Feyennord, ma la condizione fisica non è più quella dei bei tempi, nonostante le due stagioni disputate e le 43 presenze raccolte.
Dopo un'ultima esperienza nell'Harleem nella stagione 1986/1987 chiude una lunga ed eccellente carriera, venendo altresì ricordato come uno dei simboli del calcio olandese e non solo.
Si potrà sicuramente obbiettare che nel periodo descritto i suoi già citati compagni siano stati superiori a lui in termini di classe e valore complessivo.
Al di là dei mai utili paragoni, resta la figura di un'ala destra tra le più complete e varie della storia del calcio, tale da rendere il suo nome come uno dei simboli del calcio totale olandese.
In una carriera giocata sempre al massimo livello resta solo il rammarico di non aver raccolto quanto avrebbe meritato con la nazionale, ma questo discorso vale anche per i suoi compagni "più bravi".


Giovanni Fasani