Il Pallone d’Oro è un riconoscimento molto ambito, nel mondo
del calcio; chi, da bambino, non ha mai sognato, un giorno, di alzarne
uno? “Un giorno vincerò il Pallone d’Oro
e sarò considerato il calciatore più forte di sempre…” già, perché chi ha il merito di conquistare
l’agognato premio, è considerato generalmente il beniamino dei tifosi, il
leader della propria squadra e un pilastro della nazionale. Insomma, il
giocatore più forte. Poi, da bambini si diventa ragazzi, e infine adulti: ben
pochi sono quelli che riescono a far diventare della propria passione anche un
mestiere, e ancora meno sono quelli che si aggiudicano questo riconoscimento
prezioso. Tuttavia, il suo fascino resta immutato: per i tifosi, per i calciatori, e per chiunque ami questo
sport: il Pallone d’Oro è un trofeo unico, ora come cinquant’anni fa, e chi se
lo aggiudica entra di diritto nella storia del calcio.
Essendo un premio tanto ambito, è logico pensare che ogni
anno nel momento in cui viene assegnato possano sorgere delle polemiche… alcuni giocatori che se lo meriterebbero non
riescono a conquistarlo, altri che hanno una stagione fortunata, all’interno di
una carriera professionale modesta, se lo aggiudicano. Per questo motivo, prima
di emettere giudizi affrettati, è bene approfondire l’argomento e capire bene
quali sono i criteri con cui viene assegnato questo premio.
Il Pallone d’oro, come ogni amante del calcio sa benissimo,
inizialmente era un riconoscimento che veniva assegnato dalla rivista sportiva
francese France Football al miglior calciatore europeo dell’anno (a partire dal
1995 questa distinzione è scomparsa, e possono ambire al premio anche
calciatori di nazionalità extra europea). Questa rivista è molto famosa in
tutto il mondo e vanta una storia importante: inizialmente si chiamava
semplicemente Football e vide la nascita nel 1927; dopo la fine della Seconda
Guerra Mondiale, cambiò denominazione in France Football (1946). Nel 1956, ebbe
l’idea di istituire il Pallone d’Oro. Contestualmente, il comitato di
giornalisti che prese parte a questo progetto stilò un regolamento, che
all’articolo 10 stabiliva il criterio secondo cui va premiato il calciatore che
“insieme alle prestazioni individuali e
di squadra durante l’anno” si distingue anche per “il valore, la carriera, la personalià’ e il carisma”.
Si deduce pertanto che, alle sue origini, l’intento del
Pallone d’Oro era quello di premiare quel giocatore che nell’anno calcistico si
era contraddistinto per le brillanti prestazioni sportive, proprie e della
squadra. Già, perché il calcio è uno sport di squadra. Non è come il tennis
(dove esiste un apposito ranking che, in base alle prestazioni individuali,
stabilisce anno per anno chi è il migliore), lo sci, il nuoto…. Nel calcio è la
squadra che vince, non il singolo. Questo era l’intento con cui era nato questo
trofeo. Poteva senz’altro capitare (anzi, capitava frequentemente) che il
leader della squadra più vincente era al tempo stesso il giocatore più forte in
circolazione: basti pensare ai 3 Palloni d’Oro vinti da Johan Cruijff (nel
1971, nel 1973 e nel 1974), ai 3 di Michel Platini (1983, 1984 e 1985) ai 3 di
Van Basten (1988, 1989, 1992)… giocatori che, nelle rispettive epoche, non
avevano eguali in campo europeo e che con le rispettive squadre avevano mietuto
successi su successi. E' anche vero però che lo hanno vinto giocatori del
calibro di Fabio Cannavaro (nel 2006, capitano della nazionale italiana
Campione del Mondo e leader della Juventus Campione d’Italia), Matthias Sammer
(nel 1996, Campione d’Europa sia con la nazionale tedesca, sia con la sua
squadra di appartenenza, il Borussia Dortmund), giocatori cioè che erano
considerati sicuramente dei campioni, ma non i migliori in assoluto.
Tuttavia, in questi ultimi anni qualcosa è cambiato: l’egemonia di Lionel Messi e Cristiano Ronaldo lo dimostra. Negli ultimi sei anni, lo hanno vinto solo loro (quattro edizioni Messi, due Ronaldo), nonostante le rispettive squadre non sempre si sono dimostrate le più vincenti. Il cambio epocale si è verificato nel 2010, quando il Pallone d’Oro si è fuso con il Fifa World Player of the Year, dando luogo al Pallone d’Oro Fifa. L’assegnazione del nuovo premio viene gestita in compartecipazione dalla rivista France Football e dalla Fifa in base ai voti espressi dai capitani e dai commissari tecnici delle Nazionali di calcio (come avveniva per il Fifa World Player of the Year) e da un giornalista (come avveniva per il Pallone d’Oro) per ognuna delle varie nazioni affiliate alla Fifa. Il grande cambiamento non è tanto questo, quanto invece il criterio con cui viene assegnato l’ambito riconoscimento: semplicemente, viene premiato il miglior calciatore del mondo.
Indipendentemente dai risultati raggiunti dalla squadra o
dalla nazionale di appartenenza. E ciò è coerente con la vittoria di Messi nel
2010 (a scapito di Snejider, vincitore di Campionato e Champions League ) e nel
2012 (questa volta il sacrificato fu Iniesta, campione di Spagna e d’Europa,
sia con il Barcellona che con la Spagna) e infine di Cristiano Ronaldo nel 2013
(e non Frank Ribery, protagonista con il Bayern Monaco di una stagione
indimenticabile, nella quale ha vinto il campionato, la Champions League, la
coppa nazionale e il Mondiale per Club);
le conseguenze che questa decisione porterà si possono facilmente prevedere: il Pallone
d’Oro, di qui ai prossimi anni, sarà un reale obiettivo per pochissimi. Pochi
giocatori avranno la fortuna di vincere tanti Palloni d’Oro. E da qui, si
batteranno record su record: basti pensare a Messi che a soli 26 anni ha già
vinto quattro trofei. Quanti altri, in futuro, ne potrà vincere?
La cosa su cui bisogna riflettere, invece, è un’altra: come
avevo accennato poco fa, il calcio è uno sport di squadra. Non vince mai il
singolo, perché le vittorie, i titoli, e anche le sconfitte, sono della
squadra. Ha senso istituire un premio (così ricco di storia e famoso) per
premiare un giocatore per le sue prestazioni professionali indipendentemente
dai successi della squadra in cui gioca?
Sarà il tempo a dirlo. Un giocatore è grande e ha la possibilità
di esprimere al meglio tutte le sue qualità anche per merito della squadra in
cui gioca; è un insegnamento che viene dato a tutti, a partire da quando si è
bambini e si muovono i primi passi nel mondo del calcio. Un calciatore non deve
mai giocare per se stesso, ma per il bene della squadra. A questo proposito,
ricordo un intervista fatta a un giovane Maradona: nel giugno 1978 doveva
ancora compiere diciotto anni, ma già giocava ad alti livelli per la sua età
(era titolare nell’Argentinos Juniors, dopo tre anni sarebbe passato al Boca
Juniors). Al termine di una partita, viene avvicinato da un giornalista che gli
chiede quali fossero i suoi più grandi desideri per il futuro. Probabilmente,
essendo Maradona un giovane calciatore di grande prospettiva, il reporter si
aspettava una risposta del tipo: “Vorrei diventare il giocatore più forte di
sempre”, o ancora “voglio andare a giocare in Europa e diventare il numero uno
al mondo”. Niente di tutto questo. Ancora sudato per la partita e con i capelli
un po' arruffati, Maradona sorride e gli risponde:
“Ho due sogni: il primo è giocare un Mondiale; il secondo è vincerlo”
Non obiettivi personali, ma collettivi: della sua squadra (la Selecciòn argentina) e di tutto il suo Paese, proprio come si insegna ai ragazzini quando iniziano a giocare per la prima volta con un pallone.
Elia Marzorati
Fonti delle foto: francefootball,sport.uncome, varesenews, golcalcio
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