Se si
volesse azzardare un elenco delle principali nazionali degli anni'80, sarebbe
doveroso dedicare tempo a quella squadra che in modo grossolano veniva chiamata
"Russia", ma che in realtà comprendeva tutti gli stati dell'Unione
Sovietica.
In quel
tempo poco si sapeva dei campionati dell'Europa orientale,internet era ancora
lontano e la situazione politica non consentiva di avere un quadro chiaro del
livello del calcio sovietico e dei giocatori principali.
Tuttavia,
affrontare tale temibile rappresentativa, dalle maglie rosse o bianche con la
scritta CCCP (Сою́з Сове́тских Социалисти́ческих Респу́блик- Unione delle Repubbliche Socialiste
Sovietiche) faceva davvero tremare le gambe, sia per quel senso di poco
conosciuto, sia per la forza effettiva di tale compagine.
Con riferimento al suddetto periodo storico, l'analisi considererà il
periodo 1986-1990, arco temporale che parte dai Mondiali di Messico 1986, per passare agli
Europei di Germania 1988 per finire con i Mondiali di Italia 1990.
L'URSS fu grande protagonista di quelle manifestazioni presentandosi al
mondo come una squadra futuribile, con un'idea di gioco e schemi innovativi,
che lasciarono senza parole osservatori ed avversari.
Partiamo
dall'allenatore, tale Valerij
Lobanovs'kyj, un eroe in patria, torna ad allenare la nazionale per la
terza volta, dividendosi con il ruolo di allenatore della Dinamo Kiev.
Proprio i
risultati con il club porta la federazione sovietica ad attribuirgli il
delicato compito di rilanciare il livello del locale, anche alla luce del
successo ottenuto nella Coppa delle Coppe 1985/1986.
Il tecnico
di origine ucraina porta nella nazionale i dettami che tanto gli hanno dato
nella Dinamo: movimenti precisi, possesso palla sistematico, difesa arcigna,
laterali che salgono di continuo, centrocampo dai così detti "piedi
buoni" ed un centravanti moderno dal gol facile e dai movimenti sempre e
comunque finalizzati alla manovra di squadra.
Per usare
una metafora, la squadra sovietica sembra recitare un copione a velocità folle
o per usare un linguaggio informatico sembra essere programmata alla
perfezione, trovando una contromossa ad ogni possibile ostacolo in campo.
Ma il
calcio di Lobanovs'kyj si basa, principalmente, su una serie di principi: il
collettivo è la cosa più importante, ogni giocatore sa quello che deve fare ed
ogni movimento ed ogni azione vengono provate fino a che non sono memorizzati
perfettamente nella mente di ogni giocatore. Non sono ammesse iniziative
personali e l'IO di ogni calciatore è subordinato al NOI dell'URSS.
I
detrattori di tale credo, imputano un'impostazione militare dell'allenamento,
tanto che si pensa che i giocatori ricevano ordini e non consigli e che non ci
sia uno spogliatoio ed un conseguente rapporto umano allenatore/giocatore.
Inoltre
tale enfasi sui meccanismi tecnico-tattici sembra soffocare il talento di
alcuni giocatori, che, ad un occhio critico, sembrano schiavi di dette
impostazioni, sforzandosi di fare una giocata preparata piuttosto che un
dribbling in più o un tiro dalla distanza.
Appare però
evidente come l'URSS in questione proponga un calcio nuovo, dalle giocate
sistematiche effettuate a velocità elevata, basate su di una tecnica di base di
primo ordine e da una preparazione fisica curata nei minimi dettagli.
L'analisi
in questione considererà maggiormente l'Europeo del 1988, ma è bene partire
dalla prima competizione dei quattro anni.
Nel mondiale del 1986 la squadra si presenta con un canonico
4-4-2. La “corazzata sovietica”, volutamente molto giovane, ha tra le file il
Pallone d'Oro 1975, Oleh Blochin, formidabile attaccante della Dinamo Kiev. Il giocatore, al tempo
trentaquattrenne, non fa parte della squadra titolare e non lascerà il segno
nella competizione.
Se si vuole cercare una "stella" la
si può trovare in Ihor Bjelanov, attaccante sempre della Dinamo Kiev, un
mix di tecnica e di senso del gol. Proprio lui vince il pallone d'oro 1986,
per il Mondiale disputato, in un sistema che non permetteva ancora di premiare
giocatori non europei.
L'esordio nella competizione
è strabiliante e l'Ungheria viene battuta per 6-0. Il match è la sintesi del
calcio voluto da Lobanovs'kyj ed il mondo inizia a guardare con
ammirazione ed un pizzico di timore alla realtà sovietica.
Negli ottavi di finale l'avversario da affrontare è il Belgio di Guy Thys. L'impegno non sembra così ostico, per il fatto che la squadra avversaria si è qualificata solo come miglior terza.
Il campo dice un'altra cosa e L'URSS perde per
3-4 dopo i supplementari, in un match dove la qualificazione passa da una
compagine all'altra con appassionante alternanza. La squadra sovietica è
trascinata da un fenomenale Bjelanov, che realizza tutti e tre i gol, ma paga
una difesa stranamente svagata e in forte difficoltà nei movimenti difensivi.
L'avventura al
Mondiale si conclude presto, nonostante le ottime prestazioni nel girone, ma
appare anche utile come rodaggio per affrontare al meglio le successive
competizioni.
La prima in ordine
temporale è l'Europeo del 1988, dove, probabilmente, il calcio sovietico
raggiunge l'apice del tempo, in termini di proposta di gioco e di maturità dei
giocatori selezionati.
Sappiamo ormai come
è andata; l'URSS viene battuta in finale dalla forte Olanda di Rinus Michels.
Interessante può risultare un'analisi dei protagonisti di
quell'URSS, analizzandone le caratteristiche e valutandone l'importanza nel
contesto della squadra.
Probabilmente rappresentano gli undici titolari più cari a Lobanovs'kyj,
o, per dirla alla sua maniera, quelli che più hanno capito e messo in campo la
sua innovativa proposta di squadra.
Tale schema può essere riassunto nel rappresentazione qui sotto:
In porta gioca Rinat Dasaev, portiere dello
Spartak Mosca, a tutti gli effetti un monumento, tanto da essere il portiere
titolare fino ai Mondiali del 1990.
Il classico
"portierone", sempre sicuro, un leader nel comandare la difesa ed in
possesso di riflessi notevoli tra i pali. Nominato negli anni anche come
miglior portiere del Mondo.
La difesa si presenta a 4, con una zona pulita o precisa, che sa
adattarsi al sistema di gioco avversario, tanto da prevedere che uno dei
centrali si stacchi all'occorrenza, impostandosi come libero.
Come terzino destro gioca Volodymyr Bessonov, laterale velocissimo
ed infaticabile. A tutti gli effetti il prototipo dell'esterno basso dei giorni
nostri, con un destro potente ed un buon feeling con il gol.
La coppia Vagiz Khidjatullin e
Oleh Kuznetsov forma il reparto centrale della difesa, ben coadiuvandosi
nei meccanismi difensivi voluti da Lobanovs'kyj. Entrambi hanno positive
esperienze all'estero, dimostrandosi difensori efficaci.
Sulla
sinistra si disimpegna Vasili Rats, centrocampista esterno di impostazione,
grande corsa e tiro micidiale dalla distanza. Il tecnico lo impone esterno
basso, sfruttandone la duttilità e la rapidità di corsa, che gli permette di
fungere da vera e propria ala per tutta la competizione.
Il centrocampo è grande qualità, con giocatori tecnici ed in grado,
all'occorrenza, di supportare il reparto avanzato.
In mezzo si presenta con due mediani classici, Oleksij Mikhaijlichenko e Sergej Aleinikov, ottimi dal punto di vista tattico e sempre in grado di dare
equilibrio al centrocampo, sia in fase di gestione del gioco, sia come sapiente
filtro in fase di non possesso palla.
Mikhaijlichenko, definito da Lobanovs'kyj il "giocatore perfetto", è un
centrocampista completissimo, dal grande fisico e dai mezzi tecnici notevoli.
Rappresenta
il mediano ideale per il gioco sovietico, grazie alla sua sapienza nei
movimenti in campo.
In seguitio gli viene data anche
la chance di giocare nel campionato italiano, nella Sampdoria, per una
stagione. In Italia il talentuoso
centrocampista non riesce a fare la differenza, nonostante la discreta stagione
e la vittoria finale dello storico scudetto della formazione blucerchiata datato 1990/1991.
Aleinikov è un giocatore dal ritmo compassato, ma dalla grande sapienza
tattica, unita ad una capacità notevole negli inserimenti e nel supporto alla
frenetica manovra dell'URSS.
Anche lui vanta un'esperienza in Italia, militando per una stagione nella Juventus.
La scarsa velocità del giocatore bielorusso mal si addice al campionato
italiano ed Aleinikov vive una stagione da comprimario, vincendo, comunque, la
Coppa Italia e la Coppa Uefa nel 1990.
A garantire gol e fantasia ci pensa in prima battuta Hennadij Litovchenko, giocatore velocissimo e tecnico, ideale nel creare più di un problema alle difese avversarie.
L'imprevedibilità dei suoi
movimenti risulta di difficile lettura, inserita in una possesso palla
velocissimo e precisissimo. Oltre a dette caratteristiche, dimostra in tutta la
carriera una certa confidenza con il gol, sia in madrepatria che in altri campionati,
principalmente nell'Olympiakos.
A completare il pacchetto di centrocampo, con il
compito di trovare giocate di livello, è chiamato Oleksandr Zavarov.
Si tratta in prima
istanza di un giocatore di grande talento e dai colpi di classe di grande
livello. Negli schemi ferrei della squadra sovietica si muove a suo piacimento,
dimostrandosi giocatore di gran livello. In realtà, a causa anche di una scarsa
personalità, non riesce ad essere il giocatore dalla giocata "facile"
o quello che può "risolvere la partita".
Tale limite sarà ben
visibile nella Juve, dove Zavarov gioca per due stagioni, risultando il primo
sovietico in Italia. Strappato al credo calcistico di Lobanovs'kyj e
gravato dal peso della maglia numero 10, non riesce mai ad imporsi, restando
una mezza delusione e mostrando la sua indiscutibile tecnica solo in rari
sprazzi. Partecipa alla doppia vittoria della Juventus nella Coppa Italia e nella Coppa Uefa 1988/1989.Il reparto offensivo vede il "Pallone d'oro" Belanov supportare uno degli attaccanti più celebrati del periodo, Oleg Protasov.
Nell'URSS i suoi movimenti sembrano sincronizzati con quelli dei
centrocampisti, che possono contare su di una boa sempre presente, ma anche
abile negli spostamenti a favorire i veloci inserimenti.
Gli undici giocatori elencati rappresentano, probabilmente, la formazione ideale per Lobanovs'kyj ed anche quella che più ha messo in mostra il calcio futuristico dell'URSS.
Nell'Europeo
in questione riescono a battere l'Olanda e l'Inghilterra nel girone e
domineranno l'Italia nella semifinale.Gli undici giocatori elencati rappresentano, probabilmente, la formazione ideale per Lobanovs'kyj ed anche quella che più ha messo in mostra il calcio futuristico dell'URSS.
Devono inchinarsi in finale allo smisurato talento dell'Olanda, trascinata da uno strepitoso Marco Van Basten, autore di uno dei gol più belli della storia del calcio.
Nel 1990 l'URSS è chiamata a
confermare la sua nomea di squadra da battere e se possibile a migliorare i
risultati ed il piazzamento del 1986.
A livello
di rosa pochi i cambiamenti significativi: si punta forte sul formidabile
blocco del precedente europeo, che nei due anni passati ha arricchito il
bagaglio tecnico tattico, arrivando ad una piena maturità calcistica.
Se si
considerano i nomi, è bene citare due futuri italiani: Igor Dobrovol'skij ed Igor Shalimov. Il primo, fantasista
dalla scarsa continuità, vive una non positiva stagione nel Genoa. Il secondo
fa il suo esordio nel noto Foggia di Zeman imponendosi come centrocampista tecnico e
versatile dal gol facile. Approda poi all'Inter con discreto successo, vincendo
anche la Coppa Uefa 1993-1994.
I mondiali
in terra italica si rivelano però una delusione; la squadra è arrivata alla
fine del ciclo ed il bel gioco sistematico di Lobanovs'kyj perde efficacia,
essendo stato studiato ed interpretato dagli avversari.
Inserita in
un girone con Romania, Argentina e Camerun perde le prime due partite per 2-0,
rendendo inutile la terza gara contro gli africani.
Nel primo
match perde in modo meritato dalla rivelazione Romania, con doppietta di Marius
Lacatus. Nel successivo incontro si arrende ai campioni in carica, in una partita
dai molti episodi dubbi, compreso un evidente fallo di mano di Maradona nella
propria area non sanzionato dall'arbitro.
L'URSS
spumeggiante e tonica si vede solo nell'ultimo impegno contro il già
qualificato Camerun, con un 4-0 che profuma tanto di epitaffio della squadra
sovietica.
Forse anche
a causa delle sirene occidentali e dalla possibilità di uscire dal contesto
sovietico, i giocatori non sembrano più parte dell'iniziale progetto, non
garantendo la cieca applicazione dei dettami voluti dal tecnico.
L'imminente
disgregazione dell'impero sovietico rende questo l'ultimo grande torneo al
quale si è assistito alle prestazione della squadra con la maglia CCCP,
compagine che ha davvero cambiato il calcio o, quantomeno, il concetto di
squadra.
Giovanni Fasani
Fonti:
storie di calcio, oldschoolpanini, myfottballfacts, solofutbol,soccemond
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