giovedì 31 maggio 2018

LAMPO DI EDU

La passione per il calcio anni'80 e la voglia di rivivere situazioni ed emozioni della mia infanzia mi porta a rivedere le immagine di partite di quel periodo, finendo per imbattermi in prodezze del tutto dimenticate.
Proprio pochi giorni decido di rivedere la sfida tra Como e Torino dell'11 giugno 1989 vinta dai granata per 2-3, in una stagione che culminerà comunque con la retrocessione della compagine granata.
Pur ricordandomi di quella partita giocata allo stadio Sinigaglia non posso evitare di strabuzzare gli occhi alla vista del secondo gol del Torino: il numero 11, con i calzettoni abbassati e con nonchalance mette all'incrocio dei pali una punizione dai 25 metri sorprendendo il portiere Savorani sul suo palo, mandando la palla a incocciare il montante proprio nella congiunzione tra palo e traversa.


Non si tratta di una vera e propria incertezza dell'estremo difensore lariano, ma una prodezza balistica di Edu Marangon, una delle poche regalate nella sua unica stagione nel capoluogo piemontese.

In effetti il suo acquisto dal Portuguesa per più di un miliardo di lire non si può certo definire indovinato, nonostante le premesse della vigilia e la buona recensione dell'allenatore Luigi Radice, il quale lo definisce senza esitazione "uno che col pallone fa quello che vuole".
Dal punto di vista tecnico il venticinquenne brasiliano è completissimo, ma difetta fortemente di dinamismo, finendo per apparire inadeguato ai ritmi del calcio italiano.
Il Torino vive una stagione tormentata, finendo ben presto nel baratro della zona retrocessione, trovando qualche soddisfazione dalla giocate dell'altro brasiliano Müller e dello jugoslavo Haris Skoro.

Prima della prodezza contro al Como il centrocampista brasiliano aveva aperto le marcature nella vittoria per 3-1 sul campo della Roma ed aveva segnato la rete del successo nella sfida allo stadio Giuseppe Grezar contro la Triestina in Coppa Italia.
Troppo poco per giustificare l'ingente acquisto, probabilmente deciso alla luce della Copa America 1987 giocata da titolare, seppur chiusa anzitempo dalla Seleçao a causa della sconfitta per 4-0 contro il Cile nel girone iniziale..
Edu gioca come trequartista, investito di tale ruolo con la mitica maglia numero 10  mettendosi in luce nella sfida contro il Venezuela, dove apre le marcature, segnalandosi per la buona tecnica e la classe nel giocare il pallone.
A favorire il suo arrivo in Italia sono anche le giocate con il Portoguesa, in particolar modo la sensibilità del suo piede sinistro, davvero letale dalla distanza.




Il calcio italiano sta però evolvendo in termini tattici e la pressione messa sul portatore di palla inizia ad essere sistematica e asfissiante, rivelandosi deleteria per le movenze raffinate ma compassate di Edu.
Molte le prestazioni anonime tra le 22 presenze in campionato, così come i mugugni di un pubblico che sembra non voler credere ad un retrocessione inattesa e decisamente non in linea con i proclami della vigilia.
Il tourbillon sulla panchina granata, che vede Radice sostituito da Claudio Sala a sua volta rimpiazzato da Sergio Vatta, non aiuta l'adattamento del brasiliano, al quale viene chiesto di prendere in mano la squadra senza averne il potenziale tecnico e carismatico.
Il suo scarso apporto e la clamorosa retrocessione sanciscono il fallimento tecnico della sua esperienza in Italia, ma a livello assoluto minano anche il suo futuro ad alti livelli.
Le successive esperienze con Nacional in Uruguay e nuovamente in Europa con il Porto sono nuovamente negative, anche se confermano la bontà del suo talento e la fiducia che club di alto livello ripongono in essa.
Anche il ritorno in patria con Porto, Santos e Palmeiras è agrodolce, venendo scandito esclusivamente da qualche prodezza regalata grazie al sempre squisito piede sinistro.


La decisione successiva di approdare in Giappone, attirato dagli Yen e dal ruolo di anfitrione in un calcio ancora da costruire, rappresenta la presa di coscienza di non poter più rendere al meglio ai massimi livelli.
Livelli che il centrocampista nativo di San Paolo ha frequentato quasi marginalmente, puntando su quel piede sinistro che, però, in estrema sintesi rimane la sua unica altamente qualificante virtù.
O Boy da Mooca come viene sopranominato in patria viene presto dimenticato anche dall'ambiente della nazionale, anche se ritrova spazio nel 1990, giusto in tempo per collezionare la nona ed ultima presenza; troppo superiore la competizione nel suo ruolo, con giocatori come Valdo, Silas, José Ferreira Neto, Palhinha e Raí che gli verranno ciclicamente preferiti.
Nei miei occhi di appassionato la visione del suo calcio perfetto e dei calzettoni abbassati mi ha colpito, rimandandomi ad un'epoca dove la spontaneità della giocate ed una certa anarchia venivano tollerate maggiormente.
Dopo il gol con il Como la sua corsa verso la curva granata ha un qualcosa di rabbioso, quasi a volersi sfogare per un'annata dove quasi niente è andato per il verso giusto.

Come purtroppo buona parte di una carriera riassumibile dal detto "vorrei, ma non posso".









Giovanni Fasani


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