Il Calais era una squadra come tante formata da ragazzi che giocavano a calcio per hobby, mentre nella vita di tutti i giorni svolgevano altri mestieri. Alcuni erani operai, impiegati, panettieri, carpentieri, ecc.
I loro allenamenti si svolgevano la sera unico momento in cui tutti i giocatori erano liberi dagli impegni lavorativi.
Una delle migliori realtà di provincia del calcio italiano degli anni '70 e '80 è sicuramente il Catanzaro, fiero rappresentante della Calabria, terra fino al 1971 mai rappresentata in serie A.
Grazie agli investimenti ed alla competenza del compianto presidente Nicola Ceravolo, la squadra giallorossa si rende protagonista di varie promozioni e retrocessioni, finendo però per trovare una buona stabilità all'inizio degli anni'80.
La stagione 1980/1981, conclusa con un ottimo ottavo posto, lascia però in eredità un pesante quanto clamorosa decisione di mercato, vale a dire la cessione dell'idolo assoluto della tifoseria, Massimo Palanca.
Il baffuto e tecnico attaccante, famoso per i suoi gol direttamente da calcio d'angolo, cede alle lusinghe del Napoli, dopo i 13 gol segnati in campionato e le tante magie offerte al pubblico dello Stadio Comunale.
Quest'ultimo sprofonda nella sconforto alla notizia della cessione del proprio Imperatore, non facendo i conti con l'oculatezza e le risorse del presidente del periodo, Adriano Merlo e dell'ottimo direttore sportivo Spartaco Landini.
La coppia di dirigenti compie scelte perfette in fase di calcio mercato, monetizzando al meglio i soldi in entrata, gettando le basi per quella che sarà la miglior stagione della storia del Catanzaro in serie A.
Il primo passo è la scelta di Bruno Pace come allenatore, grazie alla promozione da lui ottenuta con il Modena in serie C1 nella stagione precedente.
l'Iran rappresenta storicamente uno dei capisaldi del calcio del Golfo Persico, principalmente grazie ai risultati ottenuti dalla fine degli anni'60 alla fine del decennio successivo, quando il Team Melli ha ottenuto tre successi consecutivi in Coppa d'Asia e la storica partecipazione al Mondiale del 1978.
Analogamente ad altri paesi della suddetta area, le vicende calcistiche hanno seguito di pari passo quelle politiche, facendo sì che l'evoluzione del movimento calcistico subisse una brusca frenata, finendo in secondo piano rispetto alla crescenti realtà del Sud-Est asiatico.
L'anno della rinascita sembra essere il 1998, quando una delle generazioni più forti della storia iraniana conquista dopo vent'anni l'accesso alla fase finale di un Mondiale.
Decisivo in tal senso un delicato ed equilibrato spareggio contro l'Australia, risolto da un gol di Khodadad Azizi, uno dei simboli dell'Iran che si affaccia la nuovo millennio.
Ancora oggi dalle parti di Teheran il ricordo della nazionale protagonista del Mondiale in Francia è ancora vivo nella mente di tutti, così come i nomi dei protagonisti, alcuni dei quali trovano spazio nell'ideale Gotha del calcio iraniano.
Grazie alla promozione in serie A ottenuta nella stagione 1977/1978 l'Avellino regala a tutta l'Irpinia il massimo splendore calcistico della storia, contribuendo alla formazione di giovani talenti italiani ed alla proposta di più o meno validi giocatori stranieri. Con la riapertura delle frontiere ed il successivo aumento del numero di calciatori esteri, la squadra, passata in corso d'opera all'indimenticabile presidente Antonio Sibilia, attinge volentieri al bacino estero per portare in biancoverde buoni giocatori così come qualche inevitabile meteora. Nell'estate del 1987 la dirigenza irpina decide di affiancare all'affabile attaccante tedesco Walter Schachner un attaccante di grande livello europeo, in grado con i suoi gol di garantire la solita salvezza tranquilla e, magari, anche qualcosa in più dell'ottavo posto della stagione precedente. La scelta cade sul prolifico centravanti greco Nikos Anastopoulos, ventinovenne attaccante dell'Olympiakos ritenuto numeri alla mano un portentoso realizzatore, tanto da essere valutato 500 milioni di lire.
Contrariamente alla alte aspettative, pagherà un mancato quanto clamoroso adattamento al nuovo contesto calcistico, diventando involontariamente un negativo simbolo della retrocessione dei Lupi.
Il titolo di capocannoniere del Mondiale è indubbiamente un premio ambito e universalmente riconosciuto, in grado di tramandare nel tempo il nome del prolifico realizzatore.
In tal senso sarebbe possibile scrivere pagine e pagine dei grandi campioni inseriti in tale esclusiva lista, così come per gli occasionali cannonieri che grazie alla gloria mondiale si sono guadagnati un posto nella leggenda calcistica, gotha altrimenti non raggiungibile considerando il resto della loro carriera.
Singolare in tal senso è quello che succede al Mondiale del 1962, quando al termine della rassegna sono ben sei i marcatori appaiati in testa con 4 reti realizzate.
Entrando nel dettaglio di tali giocatori possiamo scoprire storie diverse, contesti diversi e varie particolarità che caratterizzano ulteriormente la settima edizione del campionato del mondo.
Il Brasile annovera addirittura due di questi ultimi, a conferma di un potenziale offensivo eccelso, nonostante la sopraggiunta indisponibilità di Pelè nel corso del torneo.
Il primo di questi è il leggendario Garrincha, ala dal dribbling magico e dalle straordinarie capacità balistiche, autentico fuoriclasse ancora oggi ricordato e celebrato.
La letteratura sportiva ha dedicato tanti libri a Manè, mettendone in risalto il talento unico unitamente alle pecche della vita fuori dal campo, che l'hanno tristemente portato ad una prematura morte.
La forzata assenza di O'Rey sembra galvanizzare l'incontenibile giocatore del Botafogo, abile nel tramutarsi in un continuo realizzatore come mai in carriera: le sue quattro reti le suddivide in due splendide doppiette, inflitte all'Inghilterra nei quarti di finale ed al Cile in una spettacolare semifinale.
Garrincha sblocca la partita con due reti, una delle quali di testa, a dimostrazione di una vocazione offensiva e di movimenti che vanno oltre il consueto apporto di giocate ubriacanti sulla corsa di destra. Quest'ultima abilità, favorita a quanto pare dall'avere una gamba più corta dell'altra, resterà per sempre il suo leggendario marchio di fabbrica.
Contro la nazionale cilena realizza una doppietta il secondo dei capocannonieri della Seleçao,Edvaldo Izidio Neto, per tutti Vavà.
Attaccante dal gol facile, in forza al Palmeiras, dimostra la sua assoluta decisività nel contesto della nazionale brasiliana, dopo i 5 gol realizzati nel Mondiale di quattro anni prima.
Anche lui come Garrincha concentra le sue reti nella seconda parte del torneo, segnando, oltre che contro il Cile, anche contro l'Inghilterra e contro la Cecoslovacchia nell'atto finale.
La notevole tecnica e la massiccia fisicità lo rendono una attaccante difficile da marcare, in grado di trovare la rete sia con raffinate giocate che con soluzioni di grande potenza, compreso un efficace colpo di testa.
Quasi atipico per gli standard brasiliani dell'epoca, tante volte Vavà è messo in ombra dalla presenza di Pelè e Garrincha, ma la sua importanza nella storia calcistica brasiliana è indiscutibile, così come le sue innate doti di realizzatore.
A differenza dei celebrati compagni arriverà anche a conoscere la ribalta del calcio europeo, giocando con buoni risultati per tre stagioni nell'Atletico Madrid, a conferma delle sue doti eufemisticamente considerabili come "europee".
Se consideriamo che un terzo attaccante, Amarildo, arriva a segnare 3 reti, non possiamo che esaltare il 4-2-4 disegnato dal commissario tecnico Aymoré Moreira, forse meno spettacolare di quello di Vicente Feola del 1958, ma ugualmente efficace. In entrambe le formazioni protagonisti assoluti sono Garrincha e Vavà, autori di una storico bis in Cile dopo il successo ottenuto in Svezia.
Restando in Sudamerica troviamo il terzo cannoniere, il cileno Leonel Sanchez, ala sinistra dal carattere focoso, ricordato da noi italiani per le scorrettezze e colpi proibiti destinati ai nostri calciatori nella famosa Battaglia di Santiago.
Come raccontato in un nostro precedente articolo, El Gran Leonel è un giocatore dallo spunto irresistibile e dal sinistro potente e preciso, che gli consente di realizzare subito una bella doppietta contro la Svizzera nella partita d'esordio.
Dopo la vittoriosa gara con l'Italia, dove si fa valere più per le doti di boxeur (pugni impuniti ad Humberto Maschio ed a Mario David) e dopo la sconfitta con la Germania Ovest, l'ala dell'Univeridad de Chile torna al gol nel vittorioso quarto di finale contro l'URSS.
L'esito dell'incontro è fortemente contestato dai sovietici a causa delle decisioni dell'arbitro Leo Horn, colpevole di aver favorito chiaramente i padroni di casa.
I presunti favoritismi verso Sanchez e compagni sono uno dei tormentoni della rassegna, trovando però poca aderenza nella già citata semifinale contro il Brasile, dove comunque Sanchez segna su rigore la sua quarta rete, inutile ai fine del risultato.
Il terzo posto finale, ottenuto dopo la gara contro la Jugoslavia, nobilita un movimento calcistico sicuramente in crescita, ma non placa le polemiche per i tanti episodi di pura violenza non sanzionati.
A Sanchez, al quale il Milan avanzerà in futuro un'offerta, resterà per sempre affibbiata la nomea di violento, quando le sue doti calcistiche e la sua virtù realizzativa meriterebbero in prima misura meritata visibilità.
La nostra analisi prosegue in Europa e precisamente in Ungheria per parlare del grande Flórián Albert, talento sopraffino che a soli 21 anni incanta il mondo con prestazioni di altissimo livello e pregiate realizzazioni.
La compagine magiara non è più l'Aranycsapat che fino a due anni prima aveva incantato il mondo, ma Albert ne rappresenta un'ideale futuribile elemento, muovendosi nella zona di campo di Nándor Hidegkuti . In campo si muove come un veterano e dimostra un'intelligenza calcistica elevatissima, che gli permette di essere sia grande realizzatore che brillante regista offensivo. Nel suddetto Mondiale segna all'esordio il gol decisivo per il successo contro l'Inghilterra, per poi scatenarsi contro la Bulgaria, mettendo a segno una tripletta nel 6-1 finale. La corsa dell'Ungheria si infrange però contro la Cecoslovacchia in un confronto tra scuole del calcio danubiano, risolto da un gol di Scherer al 14°minuto. L'eleganza di quello che sarà chiamato l'Imperatore incanterà nel Mondiale del 1966, dove getterà le basi per la conquista del Pallone d'Oro 1967, ancora oggi unica affermazione di un calciatore ungherese. L'Unione Sovietica raggiunge i quarti di finale dopo aver vinto il proprio girone di qualificazione, grazie ad un prolifico attacco che vede Valentin Ivanov come uno dei terminali offensivi principale.
La squadra di Gavriil Kačalin arriva da campione d'Europa avendo vinto la prima
edizionedell'Europeo 2 anni prima, anche grazie alle reti di Ivanov, schierato nella consueta posizione di esterno destro con la possibilità di accentrarsi per concludere in prima persona.
Quest'ultimo si scatena proprio nel primo girone, andando a segno nella vittoria contro la Jugoslavia ed aprendo la strada con una doppietta nella sfida contro la Colombia.
L'URSS cala di intensità nella ripresa dilapidando tre reti di vantaggio e consentendo ai sudamericani di pareggiare la partita per 4-4. Le due realizzazioni sembrano un marchio di fabbrica delle qualità di Ivanov; in particolare il secondo gol lo vede partire da destra superando gli avversari per poi concludere con rapidità beffando il portiere in uscita. Nonostante la posizione talvolta defilata segnerà ben 124 reti nel campionato sovietico, sempre con la maglia della Torpedo Mosca, avendo la possibilità di giocare con Eduard Streltsov, dettp il Pelè Bianco, autentica leggenda dei Bianconeri e personaggio dalla vita assai tormentata Un altro suo guizzo vale la vittoria contro l'Uruguay decisiva per l'ottenimento del secondo posto ed il conseguente approdo ai quarti di finale contro il Cile. Come anticipato in un match molto duro risulta decisivo l'infortunio del portiere Lev Jascin ,causato da un fallo intenzionale di Honorino Landa, che costringe il celebre Ragno Nero ad abbandonare il campo, determinando di fatto la sconfitta della propria squadra non essendo previste sostituzioni. L'ultimo dei capocannonieri è Dražan Jerković, stella della Dinamo Zagabria e cecchino infallibile nei pressi della porta, distinguendosi per la grande abilità nel gioco aereo.
In una squadra dove il tasso tecnico è elevato ne rappresenta il terminale offensivo di riferimento, trovandosi a disputare il Mondiale da protagonista dopo i tanti infortuni della carriera e nel momento di massimo splendore della stessa (26 anni). Due anni prima si era fatto conoscere a livello internazionale nella prima edizione del campionato europeo, segnando due reti nella semifinale vinta 5-4 contro la Francia. In questo Mondiale, dopo la socnfitta iniziale contro l'URSS, remake della finale dell'Europeo , la squadra di Prvoslav Mihajlović reagisce alla grande battendo per 3-1 l'Uruguay, con l'attaccante della Dinamo Zagabria che chiude il conto con un calibrato colpo di testa.
La proverbiale classe "balcanica" vien fuori al meglio nella gara contro la Colombia, schiantata da un pesante 5-0 sotto i colpi di Milan Galić, Vojislav Melić e da una doppietta proprio di Jerković. Una rete di Petar Radaković nel finale di gara contro la Germania Ovest vale l'approdo alla semifinale contro la Cecoslovacchia, in una gara che i Plavi dominano, ma finiscono per perdere per 3-1.
Jerković segna la rete del momentaneo pareggio, arrendendosi come i compagni alla doppietta di Adolf Scherer tra l'80° e l'87° minuto. La Jugoslavia perderà poi la finale per il terzo posto contro i padroni di casa del Cile, ottenendo comunque il miglior risultato ad un Mondiale della sua storia. Jerković termina la sua carriera a soli trent'anni, arrendendosi ai continui infortuni che da sempre ne hanno limitato l'impiego, ma non la fame di gol. Questi sono i cannonieri del Mondiale 1962, calciatori diversi con storie diverse, incomparabile palmares e, soggettivamente, valori assoluti diversi. Ma il loro nome resterà menzionato nella storia della Coppa del Mondo, da sempre uno dei passaggi imprescindibili per l'immortalità calcistica.