domenica 27 maggio 2018

IL BECKENBAUER DELL'EST

Parlare del ruolo di libero ai nostri giorni può sembrare a dir poco anacronistico, dal momento che l'evoluzione tattica del calcio ha portato alla sua apparente sparizione, ponendo fine alla rassicurante presenza del numero 6 alla spalle dei difensori.
Si può ampiamente discutere su come un attuale centrale di una difesa a tre svolga funzioni analoghe allo Sweeper di inglese accezione, ma il fascino ed il carisma di quest'ultimo sono di fatto consegnate alla memoria.
Impossibile dimenticare prestigiose figure che proprio in detta mansione hanno scritto pagine indimenticabili di storia calcistica, a dimostrazione del fatto che fare il libero richiede una tale completezza tecnico/tattica in possesso solo di grandi campioni.
Fra i tanti nomi che sicuramente vengono in mente val la pena citare quello di Anton Ondruš, mastodontico centrale cecoslovacco talmente bravo da essere chiamato il Beckenbauer dell'Est.


Pur essendo nato a Solčany, in quella che ora è la Slovacchia, sviluppa la sua arte calcistica a Bratislava, dove si è trasferito con la famiglia, guarda caso proprio nei pressi dello Štadión Pasienk, storica "casa" dello Slovan Bratislava.
La massiccia fisicità unita ad una classe naturale lo mette subito in risalto nella giovanili dei Balasi e l'esordio in prima squadra a vent'anni è la logica conseguenza di un brillante progetto di crescita.
Lo Slovan è reduce dalla storica vittoria della Coppa delle Coppe contro il Barcellona, permettendo al giovane Ondruš di crescere in un ambiente dove non mancano importanti riferimenti tecnici e carismatici.
I primi passi nel calcio che conta li muove da attaccante, proprio in virtù di quel fisico possente, esemplificato dai 189 centimetri di altezza, che lo rendono ideale come boa di riferimento.
Sarà il tecnico Jozef Vengloš a vedere in lui i crismi del difensore, impostandolo con successo nella mansione di libero a partire dal 1973.
I successi non tardano ad arrivare, tant'è che la doppia affermazione in campionato dal 1973 al 1975 sembra essere la più chiara conferma di miglior squadra della Cecoslovacchia.
Il poderoso libero non limita la sua incidenza nel contesto difensivo, ma sfrutta le buone doti tecniche per partecipare attivamente alla costruzione del gioco, ponendosi come uno dei migliori interpreti della nuova accezione del ruolo.
Anche l'impressionante efficacia sui palloni alti viene utilizzata nelle due fasi di gioco: così come ogni lancio nei propri sedici metri è preda della sua testa, altresì nei calci piazzati a favore non è rado vederlo segnare sovrastando letteralmente gli avversari.
 

Il buon feeling con il gol è un apprezzabile valore aggiunto nel profilo di un giocatore molto completo, dominante fisicamente e tatticamente nel ruolo di "battitore libero"; si può ben dire che l'evoluzione di tale posizione sul campo tragga grande beneficio dalla sua ottima interpretazione.
Non pare quindi una sorpresa riscontrare il suo ingresso nel giro della nazionale a partire dal 1974, anno nel quale la rappresentativa allenata da Václav Ježek assiste da spettatrice al Mondiale disputato in terra tedesca.
Il movimento però è in forte crescita, tanto da tornare ben presto a rinverdire i fasti degli anni'60: a conferma di tale tendenza vi è il grande girone di qualificazione disputato per l'accesso alla semifinali dell'Europeo 1976, dove la Cecoslovacchia prevale su Inghilterra e Portogallo.
Dopo la sconfitta d'apertura a Wembley la formazione di Ježek batte in case entrambe le avversarie, ottenendo poi un prezioso pareggio a Porto, grazie proprio ad un gol di Ondruš .
A prima vista il virtuale pass per andare a disputare il torneo in Jugoslavia sembra già un risultato apprezzabile, ma quello che succede a giugno prima allo stadio Maksimir e poi al Marakana entra nella leggenda calcistica.
In semifinale la Cecoslovacchia sconfigge a grande sorpresa l'Olanda di Johan Cruijff, la quale solamente due anni prima al Mondiale aveva incantato il mondo con una nuova proposta di gioco, il famigerato Totaalvoetbal.
Nel successo per 3-1 Ondruš è grande protagonista, prima nel bene, segnando con un gran colpo di testa la rete del vantaggio e poi nel male, realizzando la sfortunata autorete per il provvisorio pareggio.


Le reti di Zdeněk Nehoda e František Veselý nei supplementari aprono le porte della finale, dove l'avversario da battere è la nazionale campione del mondo in carica, la Germania Ovest.
Senza alcun timore referenziale la squadra cecoslovacca si porta in vantaggio per 2-0 dopo 25 minuti, grazie alle marcature di Ján Švehlík e Karol Dobiaš, prima di subire la feroce rimonta tedesca.
Dieter Müller dopo 3 minuti e Bernd Hölzenbein a 10 minuti dalla fine portano il risultato in parità, che si protrarrà fino al termine dei supplementari.
L'inevitabile serie di rigori finale è decisa dall'errore di Uli Hoeness, mentre ii tiratori scelti da Ježek si dimostrano perfetti, compreso un sicurissimo Ondruš, abile battere Sepp Maier con un tiro precisissimo.
Il famosissimo "cucchiaio" di Antonín Panenka porta per la prima e finora ultima volta il titolo a Praga, generando incredulità nella quasi totalità degli osservatori, già pronti ad assistere ad una rivincita tra Olanda e Germania Ovest.


E' proprio il libero dello Slovan Bratislava a sollevare al cielo di Belgrado il prestigioso trofeo, conquistato a suo dire grazie "alla grande coesione tra cechi e slovacchi ed al fatto di non aver avuto primedonne in squadra, ma un gruppo di giocatori fermamente convinti dei propri mezzi".
Per il forte difensore arriva anche un'ulteriore soddisfazione, proprio al termine della finale: il grande Franz Beckenbauer gli fa direttamente i complimenti per la grande partita giocata, legittimando quel soprannome di Beckenbauer dell'Est coniatogli dalla stampa di casa.
Il connesso scambio di maglia fra i due sancisce la stima del Kaiser e l'ottenuto riconoscimento internazionale di Ondruš, completato dall'inserimento nella squadra base del torneo e dal sesto posto nella classifica finale del successivo Pallone d'Oro.


Forse proprio alla luce di tale attestato di stima arrivano allo Slovan offerte dalla Bundesliga, con squadre come Bayern Monaco, Stoccarda e Borussia Mönchengladbach fortemente interessate al suo profilo.
Ondruš non le prende in considerazione, restando fedele ai Balasi, fino al 1978, quando per motivi più politici che calcistici gioca una parte di stagione nel Dukla Praga.
L'anno del Mondiale argentino è nuovamente amaro per la Cecoslovacchia, eliminata nel girone di qualificazione dalla Scozia, a causa, principalmente, dell'inopinata sconfitta subita in casa del Galles.
La sensazione di assistere alla fine di un ciclo è grande, ma la compagine cecoslovacca ha un formidabile colpo di coda, qualificandosi per l'Europeo del 1980 a spese della Francia.
Nel torneo ospitato dall'Italia la squadra, ora affidata a Jozef Venglos, ottiene il secondo posto nel gruppo 1, perdendo con la Germania Ovest, battendo la Grecia e pareggiando con l'Olanda.
In base alla formula in essere capitan Ondruš e compagni si giocano il terzo posto finale contro l'Italia: in una partita equilibrata ed infinita, saranno necessari 18 rigori per decretare il vincitore, dopo 120 minuti senza reti.
Il libero cecoslovacco, in campo con il numero 3, realizza il suo tentativo, mentre sarà Fulvio Collovati a sbagliare l'unico e decisivo penalty della lunga serie.
Con questa affermazione il giocatore dello Slovan Bratislava dice addio alla nazionale, dopo 58 partite e ben 9 gol realizzati.
L'anno dopo lascia anche l'amata città slovacca  per accettare l'offerta del Club  Bruges, dove però gioca solamente una stagione, scendendo in campo solamente 7 volte.
Più proficua è l'esperienza in Francia nella file del CS Thonon, dove si fa apprezzare per ben quattro stagioni, fungendo da vera e propria guida in campo e non solo.


Durante tale periodo ha infatti la possibilità di assumere la guida tecnica della squadra, mettendosi a  disposizione allenatore/giocatore, ruolo che gli permette di mettere a disposizione tutta la sua esperienza ed il suo carisma.
Nel 1987, a 37 anni, non intende ancora abbandonare l'amata attività, decidendo di giocare ancora per due stagioni in Svizzera con il Bienna; tale scelta risulta essere un importante passo per la sua vita, dal momento che sposta in terra elvetica tutta la famiglia.
Nel 1989 è arrivato il momento di dire basta con il calcio giocato, lasciando ai posteri il ricordo di un eccellente libero, in grado di usare metaforicamente "fioretto e sciabola" a seconda delle esigenze in campo.





Giovanni Fasani


(Fonti: Courrierdeuropecentrale.fr)
 
 

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