venerdì 13 maggio 2016

VIRGILIO MAROSO

Quando l’areo con a bordo il Grande Torino si è schiantato sul monte Superga il calcio italiano ha perso un manipolo di grandi uomini ed eccelsi calciatori, lasciando un vuoto incolmabile nelle vite di tutti gli sportivi.
Nel dettaglio la rosa della squadra piemontese era composta sia da campioni affermati, sia da giovani in rampa di lancio, pronti cioè a scrivere pagine indelebili della storia calcistica italiana ed internazionale.
Uno di questi era Virgilio Maroso, terzino sinistro dai mezzi fisici e tecnici sbalorditivi, cresciuto calcisticamente proprio nel florido settore giovanile granata.

 
Maroso nasce a Crosara di Marostica nel 1925 e si traferisce ben presto a Torino con tutta la famiglia, emigrata in Piemonte in cerca di occupazione.

Il giovane Virgilio si dedica ben presto al calcio ed in breve diventa uno dei profili più interessanti delle giovanili, imponendosi da subito come un profilo appetibile per la prima squadra.
Nonostante la giovanissima età il dinamico terzino stupisce per il grande senso tattico, esemplificato in interventi sempre puntuali e nella capacità di posizionarsi sempre in modo impeccabile sul terreno di gioco
I grandi mezzi tecnici gli permettono giocate e disimpegni del più dotato centrocampista ed in tal senso gli ritornano utili i primi approcci nel ruolo di mediano.
Tali trascorsi gli permettono di interpretare il ruolo in maniera moderna per i tempi, anticipando il concetto di diagonale difensiva, ponendosi altresì come utile elemento in termini di costruzione del gioco.
Molte volte la sua innata classe gli permette chiusure e ripartenze in bello stile, laddove ai mezzi talvolta rudi dei difensori vengono preferiti il tempismo e, talvolta, il dribbling in situazioni intricate.
La sua versatilità e le sue indubbie qualità gli consentirebbero di giocare in qualsiasi ruolo del campo, tanto che per molti risulta quasi sprecato nel ruolo di “semplice” terzino sinistro.
Nell'ambiente della squadra granata il suo nome inizia ad essere ben presto associato a quello di promessa, tenuto conto anche delle modalità nel quale è avvenuto il suo trasferimento: pare infatti che la società dov'è cresciuto, il Doglia, abbia preteso un conguaglio di cento lire per la sua cessione al Torino, ritenuta all’inizio esosa dal presidente Novo.
Ben presto quest’ultimo ha avuto modo di ricredersi, restando piacevolmente ammirato dalla prestazioni di Maldo (soprannome derivante dal suo secondo nome Romualdo).
Nel 1944 per lui si aprono le porte della prima squadra, ma la società granata decide, saggiamente, di mandarlo a “farsi le ossa in provincia”, cedendolo in prestito all’Alessandria.
Con i Grigi gioca un’eccellente stagione, durante la quale ha la possibilità di essere allenato dal grande Adolfo Baloncieri, ex calciatore del Torino e perfetto forgiatore di giovani talenti.
La stagione successiva Maroso rientra nella rosa della squadra torinese, imponendosi subito come titolare inamovibile sulla fascia sinistra.
In seno alla spogliatoio il suo soprannome diventa il Cit (il piccolo), essendo il giocatore più giovane della rosa, cosa che non gli impedisce di collezionare ben 35 presenze durante la sua prima stagione con la maglia del Torino.
Il Torino gioca con il classico Sistema, che prevede un trio di difensori formato dallo stesso Maroso a sinistra, Mario Rigamonti al centro ed Aldo Ballarin a destra: su tale terzetto la squadra granata costruisce il suo asse difensivo, che non tarda a garantire stabilità, dando la necessaria copertura ad una fase offensiva che in molti casi è a dir poco tambureggiante.

 
Nel corso degli anni arrivano 3 scudetti, ottenuti grazie anche alle solide e positive esperienze del giocatore di origini vicentine che diventa, a dispetto dell’età, un punto fermo della retroguardia granata.
A soli 21 anni viene anche convocato dalla nazionale maggiore, per la quale giocherà 7 volte, avendo anche la possibilità di segnare una rete in un match contro il Portogallo.
Tale prodezza rappresenta una sorta di “avvenimento” nella carriera di Maroso, dato che con la squadra di club non si dimostra molto avvezzo alle segnature: in 103 presenze con il Torino segna infatti una sola rete.
A limitarne le sortite offensive contribuisce in larga parte il sistema di gioco adottato, che prevede appunto una presenza costante dei tre difensori nella zona di competenza.
Anno dopo anno il livello delle sue prestazioni aumenta, tanto da renderlo senza dubbio uno dei migliori difensori di tutto il panorama italiano ed europeo.
Purtroppo dal 1947 inizia a patire alcuni problemi di carattere muscolare, che ne penalizzano il rendimento e ne limitano le presenze in campo (soltanto 16 apparizioni nella stagione 1947/1948).
La stagione successiva la fastidiosa pubalgia della quale soffre continua a tartassarlo, non consentendogli di esprimere al meglio tutte le sue qualità atletiche e rendendolo disponibile solo per un numero esiguo di partite.
La sua ultima apparizione è datata 10 aprile 1949, quando scende in campo nella vittoria per 3-1 contro il Modena, viatico per quello che doveva essere il quarto scudetto vinto da Maroso in carriera.
Il 4 maggio Valentino Mazzola accetta la proposta di giocare una partita amichevole Lisbona, organizzata su proposta del capitano dei lusitani Francisco Ferreira, desideroso di rimpinguare le casse societarie e personali grazie alla fama del Grande Torino.
Maroso prende parte alla trasferta pur non essendo ancora al massimo della forma e solo in Portogallo decide di non scendere in campo, nonostante l’intento fosse quello di accumulare minuti per favorire una ripresa fisica ottimale.
Come tutti sappiamo nel viaggio di ritorno l’areo che trasporta il grande Torino termina il suo volo in maniera tragica, mettendo fine anche alla vita di Virgilio Maroso, all’epoca non ancora ventiquattrenne.
Nessuno può dire dove sarebbe potuto arrivare il terzino granata all’apice della carriera, anche se appare unanime l’opinione che il meglio della stessa dovesse ancora venire.
Le sue strepitose qualità gli avrebbero magari permesso si cambiare ruolo, sfruttando quel senso tattico e quella innata capacità di leggere la giocata in anticipo.
Una volta risolti i problemi fisici l’ascesa di Maroso sarebbe stata inarrestabile e sicuramente ai nostri giorni sarebbe considerato come uno dei punti d riferimento del nostro calcio in termini di difensori.
Purtroppo il destino, tragico e terribile, ci ha privato di tale possibilità, così come delle gesta di una squadra ancora oggi ricordata in Italia come la più forte di sempre.








Giovanni Fasani

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