Ai nostri giorni si è
soliti parlare di squadre, allenatori o giocatori che "hanno cambiato il
calcio", creando una sorta di alone mitico attorno ai suddetti
protagonisti. Potremmo fare un elenco infinito di tale fenomeno, andando a
ritroso nel tempo e creando una vera e propria evoluzione, anche tattica, del
gioco del calcio.
Probabilmente la nostra generazione potrebbe arrivare a
conoscere la realtà degli anni'50, magari sulla base di qualche racconto dei
nonni o su qualche sporadica immagine ora disponibile grazie ad internet. In un
nostro precedente articolo si è accennato alla grande Ungheria e a come il
modello di calcio magiaro abbia segnato un'epoca e fatto scuola.
Senza nulla togliere alla formidabile compagine di Sebes,
anche in precedenza c'è stato chi ha provato a cambiare il calcio, andando
oltre le tattiche conosciute, formando un gruppo di giocatori capace di dominare il contesto mondiale.
Occorre quindi partire dagli anni'20 e spostare la nostra
attenzione sul Sud America, precisamente in Uruguay. Quando il calcio era
ancora una cosa da pionieri, a Montevideo gli si è data una precisa
connotazione e si è creato un mito.
Si può con ragione parlare di epopea per tale nazione, partendo
dai Giochi Olimpici del 1924 fino ad arrivare al Mondiale del 1930.
A dire il vero tutto partirebbe dalla Coppa America 1923,
giocata proprio in terra uruguagia e vinta dalla squadra ospitante. La
manifestazione si gioca in un clima di grande tensione e tra mille polemiche,
retaggio di vari episodi risalenti alle precedenti edizioni.
Nonostante l'importanza di tale successo, sembra giusto far
partire l'analisi dalle successive Olimpiadi, proprio per come la squadra è
arrivata a giocarsi la più importante manifestazione sportiva mondiale. L'affermazione
internazionale è quella che manca all'Uruguay, assoluto dominatore in campo
sudamericano. I giocatori sono ovviamente entusiasti di dimostrare il loro
valore in un contesto diverso, se si considera che la manifestazione si tiene
in Europa, precisamente a Parigi.
L'avventura parte tra tante difficoltà, legate soprattutto
alle difficoltà economiche della federazione a garantire il viaggio nel vecchio
continente. La nazione uruguaiana attraversa una difficile recessione ed i
giocatori sono dilettanti, quindi privi di introiti. In merito a questa vicenda
la leggenda si fonde con la realtà, lasciandoci alcuni episodi davvero
particolari. Pare, infatti, che alcuni dirigenti arrivino ad indebitarsi per
permettere alla squadra di raggiungere la Spagna. Da là l'unica soluzione per
finanziare il trasferimento in Francia è il seguente: una serie di incontri con
rappresentative locali, una sorta di "scommessa su se stessi". Non
esistono tabellini relativi a tali partite, ma l'Uruguay non lascia scampo agli
avversari, guadagnandosi la possibilità di partecipare alle Olimpiadi..
Dal punto di vista tattico la squadra si presenta con il
modulo a "piramide", riassumibile in un 2-3-5 assolutamente
impensabile ai nostri giorni.
Il tecnico Ernesto Figoli
schiera la squadra secondo questo schema:
In porta troviamo Andrés Mazali, storico estremo difensore del Nacional
e definito uno dei migliori portieri dell'epoca.
La fase difensiva è composta da soli 2 giocatori, definiti nella
terminologia del tempo "terzini" ( full back all'inglese), dediti al
contenimento degli attaccanti avversari, ma senza vere e proprie marcature
fisse. Tale atteggiamento sembra quasi un prototipo di zona, ovviamente con le
debite proporzioni, tenuto conto anche della diversa applicazione della regola
del fuorigioco in vigore negli anni in questione.
Sulla parte destra si disimpegna José Nasazzi, un autentico monumento del calcio uruguagio.
Letteralmente insuperabile nel gioco aereo, si dimostra difensore preciso e molto potente, guidando con grande carisma il reparto arretrato. in Nazionale si impone sempre come capitano, dimostrandosi uno dei simboli del gruppo. Nella sua nazione, dopo alcune esperienze in vari club, passa al Nacional, diventandone una bandiera.
Completa il reparto Pedro
Arispe, terzino efficace e ruvido, forma con Nasazzi una della più forti
coppie difensive del periodo, anche in termini di applicazione dello schema a
piramide. Si ricorda come bandiera del Rampla Juniors.
La linea mediana presenta giocatori dai piedi buoni che, nelle imposizioni tattiche, hanno il compito di raccogliere le respinte difensive e avviare la costruzione di gioco. I due giocatori disposti lateralmente hanno inoltre la mansione di abbassarsi in fase difensiva e seguire i movimenti della ali avversarie.
Sulla parte destra del campo si disimpegna Josè Vidal, giocatore polivalente, per anni punto di forza del Belgrano Montevideo.
Sulla parte sinistra troviamo Alfredo Ghierra, altro motorino del centrocampo, gioca sempre in patria dividendosi tra Defensor Sporting (sua squadra principale), Universal e National.
In mezzo al campo gioca José Leandro Andrade, uno dei fuoriclasse dell'epoca.
La linea mediana presenta giocatori dai piedi buoni che, nelle imposizioni tattiche, hanno il compito di raccogliere le respinte difensive e avviare la costruzione di gioco. I due giocatori disposti lateralmente hanno inoltre la mansione di abbassarsi in fase difensiva e seguire i movimenti della ali avversarie.
Sulla parte destra del campo si disimpegna Josè Vidal, giocatore polivalente, per anni punto di forza del Belgrano Montevideo.
Sulla parte sinistra troviamo Alfredo Ghierra, altro motorino del centrocampo, gioca sempre in patria dividendosi tra Defensor Sporting (sua squadra principale), Universal e National.
In mezzo al campo gioca José Leandro Andrade, uno dei fuoriclasse dell'epoca.
Primo vero regista nella storia
del calcio, abbina doti tecniche notevoli ad un carisma eccezionale, che lo
porta più volte a spronare i compagni. In un era nella quale il centromediano
metodista non esiste ancora, Andrade ne anticipa i contenuti, imponendosi come
faro del centrocampo uruguayano e primo riferimento per i compagni in fase di
costruzione della manovra. Uno dei primi in grado di dettare in tempi e di
alzare la testa per servire in modo precisissimo i compagni, riesce anche ad
essere sempre ben piazzato e pronto nel ruolo di "schermo" davanti
alla difesa.
Gli vengono attribuiti due
sopranomi: "maravilla nera" per le doti tecniche e per il colore
della pelle e "l'acrobata" per via del suo vezzo nel calciare i
palloni a mezza altezza facendo perno sul braccio.
In patria fa le fortune di Bella
Vista, Nacional, Penarol e Montevideo Wanderers.
La fase offensiva è affidata ad un
reparto di cinque uomini, suddivisi in tre ruoli fondamentali: 2 ali, 2 interni
ed una punta centrale. I primi giocano molto esterni, sia per mettere in mezzo
traversoni invitanti, sia per aprire validi spazi per i compagni. Ad
approfittarne sono quindi gli interni, che sono soliti posizionarsi leggermente
più indietro rispetto all'attaccante di riferimento, pronti a concludere o a
creare superiorità numerica.
Sull'estrema destra gioca Santos
Urdinarán, classica ala tutta finte, velocità e rapidità di tiro.
Rappresenta uno dei punti di forza del Nacional, con il quale dimostra anche
una certa confidenza con il gol (ne segna ben 124 in 14 anni).
Sull'altra fascia spadroneggia Alfredo Ángel
Romano, giocatore di livello assoluto, più di cento gol con il Nacional e
terzo cannoniere di sempre nella storia della nazionale.
Con il club esordisce a 17 anni
contro il Central e realizza 3 gol nel 4-1 finale.
Dotato di classe e tecnica,
risulta il giocatore perfetto per gli schemi della squadra, tenuto anche conto
di un dribbling ed un tiro davvero micidiali.
Soprannominato "El Loco", per via di una carattere fumino, in carriera gioca anche per 2 anni in Argentina, nel Boca Juniors, prima di fare ritorno in patria.
Come interno destro inventa calcio Héctor Pedro Scarone, uno degli attaccanti più forti del momento, ed attualmente al secondo posto come realizzatori nella nazionale uruguagia (31 gol).
Ama giocare come rifinitore, ma mette al servizio della squadra una duttilità a dir poco strabiliante.
Soprannominato "El Loco", per via di una carattere fumino, in carriera gioca anche per 2 anni in Argentina, nel Boca Juniors, prima di fare ritorno in patria.
Come interno destro inventa calcio Héctor Pedro Scarone, uno degli attaccanti più forti del momento, ed attualmente al secondo posto come realizzatori nella nazionale uruguagia (31 gol).
Ama giocare come rifinitore, ma mette al servizio della squadra una duttilità a dir poco strabiliante.
Bravissimo nello svariare ed in
possesso di una tecnica strepitosa, Scarone rappresenta un vero incubo per le
difese avversarie. Per queste ragioni viene chiamato "El Mago", anche
se la leggenda ne attribuisce altri, legati anche ad un carattere irascibile.
In patria è considerato uno dei
giocatori più forti di tutti i tempi, al pari dei grandi del calcio mondiale. Nella sua carriera ha anche due
esperienze europee, al Barcellona e in Italia, con Inter e Palermo.
Scrive letteralmente la storia del
Nacional, dove colleziona in tutto 369 presenze realizzando 300 reti.
L'altro interno porta il nome di José
Pedro Cea, altro portento prestato al mondo del calcio.
Rapidissimo e molto scaltro si
integra alla grande con Scarone, sfruttando una capacità rara di inserimento
nell'area di rigore.
In patria gioca con Bella Vista e
Nacional, vincendo, caso strano, solo due campionati.
Il ruolo di centravanti, o di riferimento centrale
spetta a Pedro Petrone, giocatore
dalla potenza inaudita e dalle conclusione che raramente lasciava scampo al
portiere avversario.
Giocatore completo, dalla tecnica elevata e con caratteristiche atletiche di grandissimo livello, si impone come uno dei primi attaccanti ad interpretare il ruolo in modo completo, amando anche uscire dall'area di rigore, soprattutto per armare il suo devastante tiro.
Fortissimo nel gioco aereo e velocissimo, segna 24 reti in 29 partite con la Nazionale e caterve di gol con la maglia del Nacional.
Gioca per due stagioni anche nella Fiorentina tra tanti problemi di natura caratteriale, che non gli impediscono di segnare 37 gol in 44 partite.
L'avventura olimpica inizia con il
match contro la Jugoslavia ed anche in questo frangente la realtà si mischia alla
fiaba: la nazionale balcanica, poco informata sul valore degli avversari manda
emissari a visionare gli allenamenti dei giocatori uruguaiani. Questi ultimi,
debitamente informati, fingono di sbagliare ogni più elementare ogni gesto
tecnico, ingannando gli slavi, che credono di avere quindi vita facile.
Senza pronunciarsi sulla
veridicità di quanto riportato, negli annali resta la sonante vittoria della formazione
sudamericana per 7-0, che sorprendono la temuta rivale, giocando una gara
perfetta.Il mondo inizia a tremare di fronte alla forza della squadra di Figoli e tale timore aumenta nella partite successive. Dopo vengono annichiliti gli Stati Uniti (3-0) e i padroni di casa della Francia (5-1). La macchina da gol non si arresta neanche nella semifinale,dove ad essere battuti sono i Paesi Bassi per 2-1.
La finale contro la Svizzera, avversario temibile, sancisce un altra larga vittoria, un 3-0 deciso dalle reti di Petrone, Cea e Romano.
La nazione celebra alla grande
questa vittoria, sentendosi, con qualche anno di anticipo, campione del mondo e
considerandolo come un vero e proprio Mondiale vinto.
La sbornia per tale affermazione
non intacca i successivi impegni della squadra, nel frattempo affidata
all'allenatore Ernesto Meliante.Dal 1924 al 1927 vince per ben due volte il titolo di campione sudamericano, non partecipando nel 1925 ed arrendendosi nel 1927 all'Argentina, Proprio l'ultimo decisivo incontro tra la due squadre vede la vittoria della nazionale di Buenos Aires per 3-2.
Nel 1928 la federazione uruguaiana spera che lo strapotere dimostrato nell'America Latina si possa trasmettere anche nei giochi olimpici dello stesso anno, da disputare in Olanda.
In panchina siede ora Primo Giannotti, fedele al modulo a piramide, ma estremamente camaleontico nell'adattare lo schieramento alle necessità tattiche ed agli avversari.
Rispetto a quattro anni prima sono cambiati alcuni interpreti, nel reparto mediano e in quello offensivo.
Accanto al fondamentale Andrade corrono Juan Piriz e Alvaro Gestido. Entrambi di grande esperienza e senso tattico, si adattano subito all'oliato meccanismo della squadra.
In particolare Gestido si afferma come mastino implacabile sull'ala avversaria e come uno dei centromediani più duttili del periodo.
In patria giocano con profitto nella squadra più importanti e blasonate.
Andando ad analizzare i cinque attaccanti, si notano i cambiamenti più significativi.
Sono cambiate le due ali e le fasce sono ora affidate a Juan Pedro Arremón e Roberto Figueroa. Il primo spende la sua carriera nel Penarol, dimostrandosi esterno dal passo rapido e dalla buona tecnica. Il secondo è una mezzapunta di grande tecnica e dal gol facile, che lo vede più volte decisivo con la maglia dei Montevideo Wanderers.
Come centravanti si disimpegna René Borjas, bomber dei Montevideo Wanderers. Attaccante di ottimo livello, risulta il giocatore dalle caratteristiche idonee al gioco voluto da Giannotti.
La sua carriera è però caratterizzata da un grave problema di salute, che lo limita fortemente nei successivi anni.
La competizione inizia con un convincente successo contro i padroni di casa per 2-0, al quale fanno seguito altre due vittorie contro Germania (4-1) ed Italia (3-2). La nazionale azzurra vende cara la pelle contro i forti sudamericani, che riescono comunque a guadagnarsi l'accesso alla finalissima contro l'Argentina.
Tale incontro assume subito connotati epici, tanto da essere giocata due volte. Nel primo match le squadre pareggiano 1-1, con gol di Scarone e Ferreira. Terminati anche i tempi supplementari, non sono ancora previsti i calci di rigore e quindi la partita va ripetuta.
Il clima è infuocato e le due squadre danno vita ad un'autentica battaglia, aperta dalla rete di Figueroa, vanificata dal pareggio di Monti (futuro juventino). A riportare a Montevideo il titolo ci pensa Scarone, con una prodezza nel secondo tempo.
Il paese è in fibrillazione per tale evento ,soprattutto per il fatto che si gioca proprio in Uruguay.
Il governo non bada a spese per trarre profitto da tale competizione, tanto da costruire per l'occasione lo Stadio del Centenario, talmente grande da ospitare, al tempo, 100.000 spettatori.
Anche in seno alla squadra si assiste a vari cambiamenti, a cominciare dal Commissario Tecnico, ora rappresentato da Alberto Horacio Suppici, che ripropone il 2-3-5 con un'impronta maggiormente difensivista.
Viene imposto un rigido codice etico ai giocatori, che costa il posto ad una delle colonne della squadra, il portiere Mazali. La cronaca parla di una sua uscita notturna mal digerita dall'allenatore, che, senza indugio, lo estromette dalla rosa per il Mondiale.
Al suo posto viene data fiducia a Enrique Ballesteros, estremo difensore dei Rampla Juniors con i quali spende quasi tutta la carriera. Si afferma come portiere spericolato, abile ad uscire senza indugio anche nelle situazioni più insidiose e pericolose.
Molto abile anche tra i pali, vince tre campionati nazionali, dei quali due con il Penarol.
Nella coppia difensiva viene schierato Ernesto Mascheroni, difensore di grande efficacia e dalla grandissima personalità, tanto da essere chiamato "El Tio" (lo zio).
Negli schemi di Suppici si impone
come vero e proprio marcatore, capace di incollarsi con impeto al centravanti
avversario. In tale situazione tattica il capitano Nasazzi si stacca
leggermente dalla linea difensiva, pronto ad intervenire in seconda battuta,
creando una bozza del futuro ruolo di libero.
Si afferma anche in Italia con
l'Ambrosiana Inter, prima di ritornare in patria.
Curiosamente, le sue origini
italiane gli permettono di giocare anche due partite in maglia azzurra, proprio
durante la sua esperienza in terra italica.
Viene proposta una novità anche a
centrocampo, con l'innesto di Lorenzo Fernández, già presente ai giochi
olimpici ed ora lanciato come titolare.
Trentenne all'epoca, si dimostra
estremamente completo, garantendo una continua copertura abbinata ad una grande
precisione in fase di passaggio. Passa buona parte della carriera nel Penarol,
dopo esperienze con Montevideo Wanderers, Capurro e Nacional, prima di chiudere
la carriera con il River Plate Montevideo.
Nel reparto offensivo cambiano
nuovamente gli esterni. A destra gioca Pablo Dorado, giocatore del Bella
Vista. Nonostante la giovane età dimostra doti tecniche elevatissime,
ubriacando letteralmente gli avversari con dribbling e finte rapidissime.
Caratteristica questa che gli permette di liberarsi con facilità per la
conclusione e di segnare con grande continuità.
A sorpresa, nel 1932, va a giocare
in Argentina con la maglia del River Plate, vincendo un campionato.
Nel settore sinistro viene
schierato Victoriano Santos Iriarte, forte ala mancina del Racing
Montevideo.
Anche lui rapido e dotato di gran
classe, è in possesso di un piede sinistro di grande potenza e precisione, che
lo porta a provare la conclusione anche
da distanze proibitive, il più delle volte con esiti positivi.
Il tecnico uruguaiano cambia anche
il centravanti, mettendo ai margini Petrone ed affidando il ruolo a due
attaccanti, Juan Pellegrino Anselmo e Hector Castro. Si alternano
per tutta la competizione con esiti molto positivi, fino alla finale, quando il
primo, scelto come titolare da Suppici, si rifiuta di scendere in campo. Non
sono mai stati chiariti i motivi di tale decisione, anche se le cronache del
periodo parlano di attacco di panico causato dalla grande tensione alla vigilia
del match.
Nonostante questo episodio si
afferma come centravanti prolifico e completo, diventando una colonna del
Penarol, con il quale gioca per tutta la carriera.
Hector Castro, da tempo nel giro della nazionale,
arriva alla massima competizione al massimo della forma.
Dotato di grande talento, subito
da giovanissimo si impone come grande realizzatore, non molto dotato tecnicamente, ma molto potente e preciso nel
battere a rete. Con i suoi gol consente al modesto Lito di raggiungere livelli
impensabili per un club non di grande livello.
Viene sopranominato "El
Manco" (il monco) in quanto privo della mano destra a causa di un
incidente con una sega elettrica. Mai limitato da tale menomazione, la sua
indole trascina le folle, tanto da essere ribattezzato "El Divino
Manco".
Da giocatore lega il suo nome al
National, intervallata da una esperienza argentina nell'Estudiantes.
Il Campionato del Mondo parte con
sole 13 squadre al via, a causa sia dei rapporti burrascosi tra le varie federazioni
e sia per le difficoltà dei vari governi europei nel finanziare il viaggio in
Sud America. Dal vecchio continente solo Belgio, Francia Jugoslavia e Romania
prendono la nave per raggiungere Montevideo, tra mille difficoltà e viaggi
interminabili.
La squadra di casa è inserita nel
girone C con Romania e Perù. Con questi ultimi gioca la partita inaugurale
imponendosi per 1-0 con gol di Castro.
Vince il girone imponendosi per
4-0 nel successivo incontro con i rumeni, trascinata dalle reti di Dorado, Scarone,
Anselmo e Cea.
In semifinale l'aspetta la
Jugoslavia, pronta a non ripetere l'errore di sottovalutare gli avversari come
sei anni prima. Ed in effetti al 4° minuto Vujadinovic porta in vantaggio i
balcanici, gelando il Centenario.
Tale rete ha solo il merito di
scatenare la macchina da gol uruguagia, che alla fine si impone per 6-1, con
una tripletta di Cea, una doppietta di Anselmo ed un gol di Iriarte.
L'Uruguay si guadagna la finale,
contro gli arcinemici dell'Argentina.
I giorni che precedono la partita
sono di grande tensione, caratterizzati anche da vere o presunte minacce di
morte reciproche.
Addirittura l'arbitro, il belga
Langenus, pretende un'assicurazione sulla vita per arbitrare il match.
Il 30 luglio le due nazionali
vanno in campo in un clima surreale, minato dalla forte rivalità, ormai non
solo sportiva: non si parla solo di una delle precedenti Olimpiadi o delle
possibilità di essere campioni del Mondo, c'è in ballo l'onore nazionale.
Il primo tempo è avvincente ed èaperto
da un grandissimo gol di Dorado al 12° minuto. L'Argentina reagisce e ribalta
completamente il risultato con le reti di Peucille (20°) e Stabile (37°). Sugli
spalti c'è delusione e preoccupazione al pensiero di perdere in casa il
Mondiale contro gli odiati argentini.
Negli spogliatoi si assiste ad
un'autentica sfuriata di Andrade, che picchia i pugni a terra ed intima ai
compagni che questa partita non si può perdere. Tra realtà e romanzo, si parla
di vera e propria crisi di nervi che lo porta anche a buttarsi per terra,
completamente fuori di sè.
I compagni lo prendono alla
lettera e nel secondo tempo entra in campo un'altra squadra.
Al 57° Cea pareggia i conti e al 66°
Iriarte, con una cannonata dai 25
metri sigla il 3-2.
L'argentina reagisce, cogliendo
una traversa, ma al 89° Castro chiude i conti, mandando in visibilio lo stadio
e tutta la nazione.
Per l'Uruguay è la consacrazione
ed il culmine di un periodo da autentico dominatore del calcio mondiale.
Peccato che i pessimi rapporti con
il calcio europeo privi la nazionale della possibilità di difendere il titolo
nel 1934 e di disputare i successivi mondiali in Francia. La federazione uruguaiana ha mal digerito il
rifiuto di molte nazionali europee di partecipare al mondiale e decide di
comportarsi allo stesso modo.
Non sapremo mai come sarebbero andate a finire tali
competizioni con la "Celeste" in campo, ma rimane il fatto,
insindacabile, che quanto descritto finora rappresenta il periodo d'oro di una
delle squadre più forti di sempre.
Giovanni Fasani
Fonti:wikipedia,domingosdepassion,futbolcopaamrica,guerinsportivo,nationaldigital,solocalcio, panini
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