martedì 7 maggio 2019

EL GATO ANDRADA, TRA PARATE E TORMENTI

Negli anni'60 il pubblico del Gigante de Arroyto di Rosario ha l'opportunità di applaudire i balzi di un piccolo portiere sempre vestito di nero, apparentemente poco adatto al ruolo, ma, in realtà, altamente efficace nel respingere anche il tiro più difficile.
Nativo proprio della più grande città della provincia di Santa Fe, Edgardo Norberto Andrada viene ben presto soprannominato El Gato, in virtù di quei riflessi e di quella capacità di volare da un palo all'altro che lo rende accumunabile ad un felino.
Diventato Canalla quasi per caso, dopo essere stato scartato dal San Lorenzo de Almagro, esordisce in prima squadra a 21 come riserva di Juan Carlos Bertoldi, detto El Colorado, mettendoci davvero poco a diventare un idolo.
La sua vita non è fatta solo di parate, ma è contraddistinta di tanti episodi che la rendono avvincente e tormentata, con una coda finale amara e per certi versi tremenda, quasi degna della trama di un film.

L'opinione comune nei primi anni della sua carriera è quella di avere a che fare con un grande talento, istintivo nell'interpretazione del ruolo e coraggioso nell'avventarsi su qualsiasi tipo di pallone.

Pur non essendo anni trascendentali per il Rosario Central, contraddistinti anche da un clamoroso tracollo per 11-3 contro il Racing, riesce a guadagnarsi la stima del commissario Josè D'Amico, il quale lo convoca nel 1961 appena prima di cedere il posto al Toto Juan Carlos Lorenzo, il quale lo inserisce nelle lista dei preconvocati per il Mondiale del 1962, salvo poi escluderlo dai partenti per il Cile.
Per Andrada è una grossa delusione, considerato anche la fiducia concordatagli per la prima edizione della Copa Carlos Dittborn, competizione disputata ogni due anni tra Cile ed Argentina e dedicata al presidente Carlos Dittborn Pinto, organizzatore tra l'altro dell'imminente Coppa del Mondo.
L'Argentina si aggiudica il trofeo grazie ai gol di Luis Artime, potendo contare sulle buone prestazioni di Andrada, al quale però vengono preferiti Antonio Roma e Rogelio Antonio Dominguez come portieri per la spedizione cilena.
Quest'ultima si rivela a dir poco negativa, con l'Albiceleste che non riesce a passare il primo turno, subendo una dura e decisiva sconfitta dall'Inghilterra per 3-1.
L'anno successivo è in programma la ventottesima edizione del Campeonato Sudamericano, da disputarsi in Bolivia, con stadi collocati tra i 3000 metri  di Cochabamba e i 4000 metri di La Paz: tra mille polemiche e minacce di defezione, la federazione argentina decide di mandare una formazione giovanile, guidata sempre da Lorenzo, con Andrada titolare nelle sei partite previste dal formato della competizione.
L'Albiceleste termina al terzo posto, perdendo contro Perù ed i padroni di casa, vincitori finali, pagando le difficoltà fisiche dell'altitudine al cospetto di formazioni più abituate ad esse.
Il portiere del Rosario Central si disimpegna al meglio, confermando talento e continuità di prestazioni nel proseguimento della carriera, finendo per saltare qualche partita per infortunio solamente nel 1966, a causa di un infortunio.
Nello stesso anno sarebbe incluso nei convocati per il Mondiale in Inghilterra, ma un episodio fortuito e per certi versi bizzarro gli impedisce di prenderci parte: durante un allenamento la sua mano resta agganciata ai pantaloni di Roberto Perfumo, causandogli la frattura di un dito.
Bisognerà aspettare il 1968 per vederlo nuovamente in nazionale, quando difende la porta nella consuete sfida della Copa Carlos Dittborn, venendo nuovamente confemato per altre successive amichevoli.
L'anno seguente gioca un match di preparazione contro il Paraguay, forse non sapendo che si tratta della sua ultima partita in nazionale, dal momento che la sua vita calcistica e non sta per cambiare: nello stesso anno infatti diventa il nuovo portiere del Vasco da Gama, a seguito di un trasferimento clamoroso e non privo di polemiche.




Arrivato con qualche mugugno, ci mette poco a diventare un beniamino del pubblico dell' Estádio São Januário, riuscendo ad entrare subito nella leggenda del calcio mondiale, anche se a sua malgrado; per ogni tifoso brasiliano il 19 novembre 1969 è una data storica, in quanto al Maracana Pelè mette a segno su rigore il suo gol numero 1000.
A chi lo segna questo rigore? Proprio ad Andrada, il quale attende sapientemente l'esecuzione con la Paradinha del fenomeno del Santos, intuendo perà inutilmente la sua angolatissima conclusione.






A tal proposito dichiarerà in seguito: "Pelè ha calciato, ho toccato la palla ma non ho potuto fermarlo.Nel tempo le cose sono cambiate, mi sono abituato alla realtà e ora vivo molto bene con il millesimo traguardo".
Andrada non è infatti la persona che può farsi abbattere da episodi come questo, tant'è che la stagione successiva è uno degli artefici della vittoria del Campionato Carioca, mettendosi in mostra come uno dei migliori portieri in circolazione.
A conferma di tale nomea arriva il premio "Bola de Prata", riservato ai migliori undici dell'intero campionato brasiliano, entrando nell'ideale Top 11 accanto a campioni quali Vanderlei, Rivelino, Edu Dirceu Lopes e via dicendo.




Il suo rendimento si mantiene costante per tutta la permanenza in Brasile, con l'apice toccato nel 1974, quando il Vasco da Gama si laurea campione nazionale battendo nella finale del Maracanã il Cruzeiro: per il Gigante da Colina è il prima storico successo nella competizione e per Andrada la definitiva consacrazione a idolo della torcida.
Nel 1976, a 37 anni, lascia il Vasco da Gama per giocare 13 partite nell'Esporte Clube Vitória, prima di iniziare una nuova fase della carriera in Argentina, vestendo per cinque anni la maglia del Colón de Santa Fe, incurante dell'età agonisticamente avanzata ed ancora pienamente efficiente dal punto di vista fisico.
Nel 1982, quando le primavere sono 43, gioca un spezzone di stagione con il Renato Cesarini sempre nella massima serie, esperienza che lo convince a mettere fine alla sua lunga carriera di portiere.
Fino a qua sembra la particolare storia di un portiere argentino bravo e sfrontato, capace in un'epoca particolare di venire apprezzato tanto in Argentina quanto in Brasile.
Il suo nome viene in parte dimenticato, con l'attività di coordinatore del settore giovanile del Rosario Central che lo soddisfa e lo impegna quotidianamente, fino a quando nel 2008 arriva la notizia che lo riporta tragicamente all'onore della cronache: l'ex repressore Eduardo Costanzo lo cita come uno dei partecipanti all'omicidio dei militanti peronisti Osvaldo Cambiaso e Eduardo Pereira Rossi avvenuto nel 1983 durante la dittatura di Videla.
Andrada tenta di difendersi, faticando a chiarire quale fosse il suo ruolo nei servizi di intelligence, venendo chiamato in causa anche da precedenti testimonianze e voci che lo vedrebbero fortemente inserito e coinvolto nell'attività repressiva.
Una in particolare lo vedrebbe identificato come membro del commando responsabile del rapimento delle vittime nella caffetteria Magnum a Rosario, confermando il ruolo attivo che avrebbe avuto.
L'ex portiere si esprime in questo modo:""Non ho nulla a che fare con ciò che viene imputato. Questo signor Costanzo parla senza sapere e io non so perché mi ha coinvolto in tutto questo. Ho fatto parte dell'esercito, ma non credo sia un peccato averne fatto parte".
Purtroppo per lui anche ex compagni di squadra come Aldo Poy e Otto Sesana confermano come abbiano sempre sospettato che fosse un informatore dell'intelligence, avendolo visto sfruttare la sua fama tra i sostenitori per reperire dettagli utili.
A causa di tali accuse è costretto a lasciare l'incarico nel Rosario Central, ottenendo l'anno successivo l'immunità per mancanze di prove concrete al suo coinvolgimento.




Senza addentrarsi più di tanto nell'ambito di vicende poco affini al calcio, resta il ricordo di un eccelso portiere, spettacolare e carismatico, capace come pochi di entrare nel cuore delle masse di sostenitori.
Purtroppo permane l'ombra delle accuse ad offuscare la sua affascinante figura, in una vita nel bene e nel male degna di un film (chissà che qualche regista non ci pensi).










Giovanni Fasani



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