L'Africa, un continente meraviglioso ed allo stesso tempo contraddittorio. Immenso, pieno di persone che spesso lottano tutti i giorni per un tozzo di pane.
In Africa il calcio è forse l'ultimo dei problemi, eppure in tempi recenti anche in questo continente il calcio ha cercato di evolversi, pur con le difficoltà del caso, ma è innegabile che rispetto agli anni 70 ed 80 qualcosa è cambiato; ci sono scuole calcio, alcuni impianti sono stati modernizzati ed il fatto che molti giocatori blasonati abbiano fatto fortuna in Europa, ha aiutato tutto il sistema a fare dei piccoli passi avanti.
Dire un giocatore simbolo africano non è impresa facile, sono vari i protagonisti che si sono susseguiti nel corso degli anni: Da Milla a N'Kono, da Drogba a Yaya Touré, da Seydou Keita ad Abedì Pelé e via via tanti altri.
Chi è nato come noi negli anni 80 ha iniziato a masticare qualcosina di calcio nei primi anni 90, complice l'organizzazione del Mondiale nel nostro paese che ha portato negli stadi tantissime culture diverse facendoci conoscere diversi tipi di interpretare il calcio.
Esattamente un anno dopo, nel nostro paese si è giocò un altro Mondiale, quello riservato agli under-17 con 16 squadre al via e con alcuni nomi che i grandi palcoscenici hanno saputo apprezzare nel corso degli anni a venire: Alessandro Del Piero, Juan Sebastian Veron e Marcelo Gallardo tanto per citarne tre.
Ma in quel Mondiale agli onori della cronaca si segnalò, soprattutto per un gol al Brasile nei quarti di finale, Nii Odartey Lamptey, attaccante ghanese, capocannoniere di quel Mondiale e futuribile stella per di più già proprietà dell'Anderlecht.
Come la maggior parte dei bambini africani, Lamptey non ha avuto un'infanzia facile: spesso vittima di abusi da parte dei genitori, trovava nel calcio un vero e proprio sfogo che lo teneva lontano dalla cattiva educazione di mamma e papà.
I primi problemi "da professionista" li ha quando approda, neanche 14enne, al Kaloum Stars, piccola squadra di fede musulmana in cui riuscì a mettere in mostra tutto il suo talento ergendosi come vero fenomeno in mezzo a tanti ragazzini vogliosi di fare bene.
Quasi per riconoscenza, Lamptey decise di convertirsi a tale fede subendo, come se non bastasse, le pressioni del padre discendente di una famiglia cristiana e che mal digerì la conversione del figlio. Fatti non confermati indicano come il padre era solito interrompere le preghiere del figlio, spesso usando la violenza.
Stanco di questi abusi e riconciliatosi poi col padre, si riconvertirà al cristianesimo qualche anno dopo.
La carriera calcistica di Nii decollò al Mondiale under-17 del 1989 dove si distinse come uno dei maggiori talenti ed attirando su di se le attenzioni dell'Anderlecht che lo mise sotto contratto all'età di 15 anni.
Addirittura Lamptey pare abbia interrotto lui stesso l'affare col rappresentante belga giunto in Ghana, in quanto la federazione non voleva privarsi della sua gallina dalle uova d'oro.
Dopo varie peripezie il giocatore riuscì a raggiungere il Belgio dopo un viaggio estenuante che lo portò a fingersi figlio prima del tassista che lo ha portato in Nigeria e poi di Stephen Keshi che ai tempi militava proprio nell'Anderlecht.
Di tutto ciò i suoi genitori erano all'oscuro e Nii partì con i pochi soldi racimolati dal Mondiale scozzese di qualche anno prima.
Nel frattempo arriva il Mondiale italiano dove il Ghana trionfa trascinato dai 4 gol di Lamptey che va a segno nella prima gara del girone contro Cuba, nella seconda contro l'Uruguay e nel quarto di finale contro il Brasile. Non segnerà in finale, ma tanto basterà perché Pelé spenda le seguenti parole: "E' il mio successore", salvo ricredersi qualche anno dopo.
Qualche parola di elogio arrivò anche dagli Stati Uniti, dove addirittura il New York Times dedicò un articolo alla nuova stella nascente.
Nello stesso anno si guadagnò la convocazione nella nazionale maggiore dove giocatori del carisma di Abedì Pelé ed Anthony Yeboah erano i veri e propri leader dello spogliatoio.
E proprio quello spogliatoio (inteso come compagni di squadra) non gli sorriderà praticamente mai nella vita. Durante il suo debutto con i grandi, in un partita contro il Togo valevole per le qualificazioni alla Coppa d'Africa, Lamptey si sentì male; a detta sua, per colpa di alcune macumbe lanciate dai compagni di nazionale rei di non aver sopportato la sua fuga verso l'Europa.
Nello stesso anno si toglierà la soddisfazione di conquistare la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Barcellona, risultando ancora una volta uno dei migliori.
Dopo aver siglato 9 gol in 3 anni all'Anderlecht (giocando a singhiozzo), arriva la chiamata del PSV Eindhoven messosi alla ricerca di un degno sostituto di Romario; all'inizio le cose non andarono male, anzi, i suoi 10 gol in 22 partite contribuirono notevolmente al terzo posto finale che spedì la squadra olandese in Coppa UEFA.
Ma purtroppo per lui, ragazzo scappato dal suo paese senza un'adeguata istruzione, iniziarono altri problemi legati per lo più alla lingua ed al rapporto coi compagni di squadra.
L'anno dopo si ritrovò a giocare nell'Aston Villa, purtroppo per lui punto di partenza verso il declino calcistico e non solo. Dopo aver realizzato una tripletta in Coppa di Lega, venne spedito al Coventry da Roy Atkinson; ma anche con la maglia degli Sky Blues le cose andarono per il verso sbagliato; unica soddisfazione un altro match di Coppa di Lega dove realizzò una doppietta all'Hull City.
Nel 1996 gioca (temporaneamente) il suo ultimo match con la maglia del Ghana e lo fa nella semifinale della Coppa d'Africa dove venne espulso attirandosi le ire dei compagni che lo additarono come responsabile della mancata conquista della finale.
Un anno dopo tenta l'ultima avventura europea approdando al Venezia dove non andò oltre le 5 presenze senza mai ambientarsi ai dettami del più tattico dei campionati europei.
Ad appena 23 anni ci si accorse che la carriera di Lamptey era praticamente giunta al termine e trovare le colpe di questo fiasco è davvero impresa ardua. Ma il mondo del calcio con chi non si sa ambientare è spietato, soprattutto in Europa, da sempre considerata come l'elite dello sport più seguito al mondo.
In Ghana ormai era quasi visto più come un traditore che un amico, persino dalla sua famiglia arrivata addirittura a togliergli la parola per il fatto di aver sposato Gloria, una ragazza di una tribù rivale alla sua; una sorta di tradimento alla propria religione.
Trasferitosi in Argentina per vestire la maglia dell'Union Santa Fe, Lamptey inizia a capire che la vita proprio non ha voglia di sorridergli; il figlio Diego (chiamato così in onore di Maradona) muore a causa di una rara malattia, stessa sorte che capiterà ad un'altra figlia qualche tempo dopo.
Dopo aver racimolato poche presenze con i biancorossi dell'Union Santa Fe, Lamptey vorrebbe fare ritorno in Belgio colpito dalla depressione della grave perdita famigliare; e proprio quando sta per fare le valigie e tornare nel Vecchio Continente viene a sapere che il suo cartellino è di proprietà di un fantomatico Antonio Caliendo, più interessato al suo portafoglio che alla crescita dei propri assistiti.
Inizia un lungo girovagare che lo porterà prima in Turchia, poi in Portogallo e successivamente in Germania dove vestirà la maglia del Greuther Furth con cui trovò una certa continuità, ma senza mantenere quelle promesse di cui disponeva da adolescente.
Il tutto condito da alcuni episodi di razzismo da parte dei compagni di squadra che derisero in più occasioni l'involontaria ignoranza di Lamptey.
Che la sua carriera calcistica sia ormai al capolinea è cosa certa; tenta per lo meno di salvare quella personale. Qualche settimana dopo la scomparsa della seconda figlia, prese ciò che rimaneva della sua famiglia e si trasferì in Cina con la maglia dello Shandong Luneng; tale periodo fu definito da lui stesso come il migliore della sua carriera dove finalmente riuscì a trovare un briciolo di serenità, accolto come una persona normale e senza pregiudizi.
Nel 2005 tornò in Ghana per vestire la maglia dell'ambizioso Asante Kotoko, una delle squadre ghanesi più famose, prima di chiudere la carriera calcistica con la maglia dei sudafricani dello Jomo Cosmos.
Negli ultimi anni, come se la sfortuna non lo avesse mai colpito, fece l'amara scoperta che i tre figli avuti da Gloria non erano suoi come dimostrato dalla prova del DNA; oltre al danno pure la beffa per un inganno durato 20 anni e su cui mai c'erano stati sospetti.
Ma Lamptey è uno che nella vita si è sempre rialzato ed appese le scarpe al chiodo ha intrapreso la carriera di insegnate, aprendo una scuola vicino a Kumasi, dove cerca di fornire istruzione a numerosi bambini; quell'istruzione che a lui è sempre stata negata da una vita difficile accompagnata da persone sbagliate.
La prima volta che feci la conoscenza della terribile storia di Lamptey ero troppo piccolo per capire certe cose; col tempo poi mi sono spesso chiesto come sarebbe stata la sua carriera se il suo percorso fosse iniziato in maniera diversa, se avesse avuto un'adeguata istruzione e se avesse avuto due genitori orgogliosi del talento del proprio figlio.
Matteo Maggio
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