Il
termine “piccole” non fa riferimento solamente alla dimensione del paese in
questione, ma soprattutto al livello calcistico che tali squadre hanno
solitamente espresso nella loro storia sportiva.
Ancora
più nel dettaglio le analisi vertono maggiormente sul continente africano,
terra che negli anni recenti ha visto le proprie squadre salire di livello,
con le relative nazionali che hanno saputo fornire grandi prestazioni e giocare
qualche brutto scherzo anche a blasonate compagini.
Una in particolare, nel 1994, ha davvero impressionato per doti tecniche e per il livello di gioco espresso durante il Mondiale americano.
Scopo di questo articolo è quello di mettere in evidenza come la Nigeria possa essere vista come una delle migliori squadre al suddetto torneo, puntando l’attenzione sui singoli protagonisti, mettendone in luce la carriera e qualche aspetto particolare.
Ovviamente tutti abbiamo negli occhi la precisa traiettoria con la quale Roberto Baggio ha rimesso in sesto la nazionale di Sacchi negli ottavi di finale, quando gli azzurri avevano ormai più di un piede sull’aereo di ritorno. Successivamente un rigore dello stesso “Divin Codino” nei supplementari ha posto fine all’avventura dei ragazzi di Clemens Westerhof.
Tuttavia occorre dare merito al tecnico olandese di aver costruito una grande nazionale, che avrebbe davvero potuto portate il calcio africano a livelli mai raggiunti.
Una in particolare, nel 1994, ha davvero impressionato per doti tecniche e per il livello di gioco espresso durante il Mondiale americano.
Scopo di questo articolo è quello di mettere in evidenza come la Nigeria possa essere vista come una delle migliori squadre al suddetto torneo, puntando l’attenzione sui singoli protagonisti, mettendone in luce la carriera e qualche aspetto particolare.
Ovviamente tutti abbiamo negli occhi la precisa traiettoria con la quale Roberto Baggio ha rimesso in sesto la nazionale di Sacchi negli ottavi di finale, quando gli azzurri avevano ormai più di un piede sull’aereo di ritorno. Successivamente un rigore dello stesso “Divin Codino” nei supplementari ha posto fine all’avventura dei ragazzi di Clemens Westerhof.
Tuttavia occorre dare merito al tecnico olandese di aver costruito una grande nazionale, che avrebbe davvero potuto portate il calcio africano a livelli mai raggiunti.
La compagine dell’Africa occidentale si
presenta negli Usa con il titolo di Campione d’Africa conquistato nell'aprile dello stesso anno e con
la nomea di migliore delle squadre africane presenti al Mondiale.
Proprio durante la rassegna continentale, le “Super Aquile” si pongono all’attenzione internazionale per un'interpretazione tattica particolare e per l’esplosione di un gruppo di talenti davvero notevoli.
Proprio durante la rassegna continentale, le “Super Aquile” si pongono all’attenzione internazionale per un'interpretazione tattica particolare e per l’esplosione di un gruppo di talenti davvero notevoli.
A sorprendere maggiormente più di un osservatore è la sicurezza e la sfrontatezza con la quale la Nigeria si disimpegna sul campo, tenuta in considerazione la giovanissima età della selezione; alcuni dei protagonisti sono poco più che ventenni e sono comunque alla prime esperienze in contesti globali.
Capacità atletiche fuori dal comune ed un pizzico di follia sono gli ingredienti aggiuntivi di una squadra che sembra poter fare qualsiasi cosa sul terreno di gioco.
Tali grandi qualità li portano a volte ad esagerare, magari a guardarsi un po' allo specchio, mancando di tanto in tanto di quella razionalità decisiva per il salto di qualità.
Rispetto alla vittorioso torneo africano, Westerhof cambia solamente tre giocatori (Semitoje, Ugbade ed Ederma), dando fiducia a forze nuovi quali Emeka Ezeugo, Michael Emenalo e Chidi Nwanu.
Queste ultime scelte non cambiano più di tanto le preferenze a livello di singoli, lasciando inalterato l'ottimo connubio tra qualità degli interpreti e le intuizioni tecniche del tecnico di Beek.
A prima vista lo schieramento in questione sembra esageratamente sbilanciato, ma quando tutto funziona al meglio la corsa instancabile dei giocatori africani sopperisce ad un'impostazione tattica volutamente offensiva.
La Nigeria gioca a tutta velocità, sfruttando al meglio la tecnica elevata presente sulla trequarti, per innescare al meglio l'unica punta, che a sua volta apre spazi invitanti per gli inserimenti dei compagni, tutti abili nel tramutare in rete tali opportunità
Tra i pali troviamo uno dei giocatori più esperti e non per caso capitano della rappresentativa, Peter Rufai. Principe ereditario di una tribù Idimu, ha da subito rinunciato alla successione nobiliare a favore del calcio, avendo esperienza iniziali in Benin, per poi approdare al calcio europeo nel 1989. All'epoca del Mondiale gioca nei Go Ahead Eagles, squadra che abbandona dopo un anno per approdare a compagini spagnole e portoghesi.
Si dimostra portiere dai grandi mezzi fisici, riuscendo a fare tesoro dell'esperienza europea per affinare la tecnica tra i pali.
Westerhof imposta la fase difensiva con una difesa a 4 composta da giocatori dal fisico prestante, che fanno della potenza la dote migliore.
I due centrali sono insuperabili sulle palle alte e, nonostante le corporatura, si dimostrano sufficientemente dinamici. Gli esterni assicurano un notevole appoggio alla fase di costruzione del gioco e presidiano le relative corsie con impeto e buona attenzione.
La possibilità di approdare in Europa in giovane età ha permesso ai difensori nigeriani di limare le imperfezioni a livello tattico e di assimilare quella mentalità e quella concentrazione che talvolta notiamo latenti nei difensori di origine africana.
Uche Okechukwu in particolare diventa una delle bandiere del Fenerbahce, per il quale gioca quasi 200 partite in campionato, vincendo due titoli nazionali. Durante le sua permanenza ad Istanbul ottiene anche la cittadinanza turca, con il nome di Deniz Uygar.
Augustine Eguavoen, si rende suo malgrado protagonista del fallo da rigore su Benarrivo che determina l'eliminazione della Nigeria dal Mondiale. Per tale fatto viene pesantemente criticato in patria ed additato come colpevole dell'eliminazione. Anche per lui l'esperienza europea si dimostra profiqua, specie con la maglia dei belgi del Kortrijk.
Come anticipato il calcio del vecchio continente diventa palcoscenico anche per Stephen Keshi e Michael Emenalo, con quest'ultimo che si ritaglia esperienze anche negli Stati Uniti e nel campionato israeliano.
Valide alternative ai citati giocatori sono Chidi Nwanu e Benedict Iroha, proposti anche come titolari durante la rassegna statunitense.
Il reparto di centrocampo ha come ago della bilancia la presenza o meno di uno dei giocatori tecnicamente più dotati della storia del calcio, Jay-Jay Okocha (vero nome Augustine Azuka).
Quest'ultimo è un vero e proprio freestyler prestato al calcio, capace di numeri tecnici incredibili, caratterizzati da una dribbling efficacissimo e da un controllo di palla da vero fuoriclasse.
Come molte volte succede, certi giocatori non hanno la necessaria continuità e mentalità, soprattutto in giovane età: all'epoca Okocha ha solo 19 anni e viene impiegato solo a partita in corso, salvo l'ultimo impegno contro l'Italia, dove parte titolare.
Non perde mai una certa avversione al sacrificio ed al gioco di squadra, che non gli permette di cogliere la miglior opportunità della sua carriera: nel 2002 crede in lui Alex Ferguson, ma il giocatore nigeriano non scende mai in campo con il Manchester United, finendo ben presto in prestito al Bolton.
In precedenza si mette in mostra con le maglie di PSG, Eintracht di Francoforte e Fenerbahce, squadra dove mette in mostra maggiormente il suo enorme talento.
Quando Okocha non gioca il commissario tecnico predilige inserire o un giocatore offensivo come Samson Siasa oppure un secondo mediano come Mutiu Adepoju. La scelta dipende dal tipo di partita, ma la preferenza va quasi sempre su Siasa, brillante jolly offensivo che in Europa non riesce a dimostrare in pieno il proprio talento.
Nello schema precedente notiamo che l'unico centrocampista centrale è Sunday Oliseh, mediano ancora non ventenne nel 1994.
Reduce da una sfortunata esperienza in Italia con la Reggiana, culminata con la retrocessione, è uno dei centrali di centrocampo maggiormente di prospettiva del periodo, sapendo coniugare prestanza fisica a qualità tecniche, con insospettabile sapienza tattica.
Dopo un positivo mondiale si conferma ad alti livelli con la maglia di Colonia e Ajax, prima di avere una seconda chance in Italia, con la maglia della Juventus, sicura di acquisire le prestazioni di uno dei migliori centrocampisti del calcio europeo
In questo caso alcune divergenze tattiche lo mettono ai margini della squadra, con la quale scende in campo solo 8 volte. Dopo una stagione approda al Borussia Dortmund dove ritorna ad apprezzabili, vincendo anche un campionat.
Sulla destra troviamo un altro grande talento, Finidi George, insolitamente conosciuto ai più proprio con il nome di battesimo.
Ala di 190 centimetri è dotato di grande falcata che lo rende in grado di superare con facilità l'esterno avversario.
Dimostra inoltre una grande capacità di puntare la porta avversaria ed un ottimo tempismo negli inseriementi.
Nonostante il fisico è temibilissmo anche negli spazi stretti e nel 1994 è in assoluto uno degli esterni più forti a livello mondiale.
Tali qualità le affina maggiormente nelle file dell'Ajax, dove vince da protagonista anche la Champions League 1994/1995.
Nel 1996 viene attratto dalle pesetas del Betis Siviglia, dove continua a dimostrare la sua abilità, ma in un contesto meno rilevante rispetto agli anni precedenti.
Arrivati a questo punto dello scacchiere tattico troviamo un elemento che rappresenta un fondamentale collante tra la traquarti ed il reparto offensivo, vale a dire Emmanuel Amunike, calciatore africano dell'anno nel 1994.
Tale riconoscimento gli spetta sia per la decisiva doppietta nella finale di Coppa d'Africa contro lo Zambia, sia per un Mondiale giocato da protagonista.
Nella sfida con l'Italia è lui a realizzare la rete del momentaneo vantaggio nigeriano, dimostrando ancora una volta la sua notevole prontezza negli inserimenti.
In tutta la carriera si dimostra abile a svariare su tutto il fronte offensivo, dimostrando tecnica elevata ed un buon feeling con il gol.
Il suo grande limite è rappresentato dai continui problemi al ginocchio che ne limitano anche l'esperienza al Barcellona, per il quale gioca solo 19 partite in tre anni.
La chiamata nel club blaugrana arriva grazie a quanto fatto nello Sporting Lisbona, dove diventa un idolo dei tifosi locali.
L'impostazione del tecnico olandese prevede la presenza di un esterno sinistro particolarmente avanzato, abile a giocare come seconda punta o ad abbassarsi come esterno alto.
La scelta per tale ruolo ricade su Daniel Amokachi, giocatore esplosivo dotato di grande corsa e di un sinistro potente.
La sua crescita calcistica avviene in Belgio, dove si mette in luce nel Bruges con il quale vince un campionato e segna il primo storico gol della neonata Champions League nel 1992.
Anche per lui il positivo Mondiale funge da ottima vetrina, tanto da venire ingaggiato dall'Everton prima e dal Besiktas dopo. Con entrambe le compagini vince la coppa nazionale ed in particolare nella Coppa d'Inghilterra si rivela decisivo in semifinale con una doppietta al Tottenham.
Vari problemi fisici ne minamo più volte l'attività, tanto che dal 1999 fatica a trovare ingaggi a causa di essi.
Talvolta le scelte di Westerhof portano all'impiego di Viktor Ikpeba, classica seconda punta dotata di buono spunto e notevole tecnica, che con la maglia del Monaco conquista da protagonista il campionato nel 1997 prima di perdersi tra diversi infortuni.
Terminale offensivo della squadra è Rashidi Yekini, 190 centimetri di potenza uniti ad un notevole senso del gol.
Molto stimato in patria, vince per due volte il titolo di capocannoniere della Coppa d'Africa (1992 e 1994) ed il Pallone d'oro africano nel 1993. Con le sue 37 realizzazioni con le Super Aquile è ancora il maggior realizzatore di sempre, ritagliandosi uno spazio considerevole nella storia della sia nazionale.
Fino al 1994 gioca per il Vitoria Setubal dove segna ben 90 gol in 108 partite di campionato, segnalandosi dopo il Mondiale come uno dei profili offensivi più interessanti d'Europa.
Su di lui scommette l'Olympiakos, dove però si palesano per Yekini alcuni problemi fisici che non gli permettono di rendere al meglio anche nelle numerose esperienze successive.
Affetto da problemi neurologici e da bipolarismo, muore nel 2012 a soli 48 anni, venendo ricordato con grande commozione dai tifosi nigeriani.
Al termine di questa analisi ci accorgiamo di come la Nigeria del 1994 sia una squadra di grande livello, uscita dal Mondiale in modo anche episodico e solo in parte a causa dell' inesperienza.
A livello assoluto la maggior parte dei giocatori avrebbe potuto avere ben altra carriera, se non fossero stati limitati da personalità difficili, corsa ai facili guadagni e da persistenti problemi di natura fisica.
Non sembra azzardato asserire che alcuni di essi possano essere inseriti tra i migliori giocatori del periodo, tenuto conto di quanto dimostrato in campo e considerato l'interesse che anche i migliori club europei hanno dimostrato nel loro confronti.
La nazionale nigeriana vincerà il titolo olimpico nel 1996 con 6 reduci del Mondiale di due anni prima ed uscirà dal Mondiale del 1998 sempre agli ottavi, ma la generazione che ha fatto sognare nel 1994 sembra davvero di un altro livello.
Un'incompiuta sorpresa sicuramente, ma che ci ha fatto divertire!!!
Giovanni Fasani
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.