venerdì 14 novembre 2014

CASABLANCA

No non intendiamo il famoso film del 1943 con Humphrey Bogart e tanto meno del famoso ex locale milanese.
Quest'oggi parliamo di Casablanca città, importante centro nevralgico del Marocco che nel 1917 diede i natali ad uno degli attaccanti meno conosciuti del panorama calcistico mondiale e storico.
Negli anni 30 e 40 non si era soliti emigrare all'estero per giocare a calcio, la maggior parte delle frontiere erano chiuse e lo scotto della prima guerra mondiale era ancora vivo in alcuni popoli, unito al senso di disagio che da lì a poco avrebbe fatto scoppiare anche la seconda grande guerra.
Nato calcisticamente nell'Ideal Club Casablanca, Abd al-Qadir Larbi Ben Mbarek meglio conosciuto come Larbi Ben Barek può essere considerato a tutti gli effetti come il primo giocatore marocchino arrivato in Europa in club di blasone; all'epoca non una cosa da poco.


L'attaccante marocchino può forgiarsi anche del fatto di essere stato il primo a ricevere il soprannome di Perla Nera, passato poi nel corso degli anni ad uno dei giocatori più forti di tutti i tempi, tale Pelè.
Ben Barek arriva in Europa grazie all'Olympique Marsiglia dopo aver militato per 4 anni nell'US Marocaine. Con l'OM diventa idolo incontrastato dopo appena un paio di partite; i tifosi e gli addetti ai lavori notano subito nell'attaccante marocchino un innato senso del sacrifico ed una potenza in area di rigore tale da far prendere spesso le contromisure agli avversari. Nella sua unica stagione con la maglia bianco-azzurra realizza 10 gol in 30 partite regalando spesso alla platea giocate sublimi da vero ballerino di samba brasiliano.
Purtroppo per lui è costretto a tornare in patria a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale. Per i 6 lunghi anni che lo riportano in terra marocchina, Larbi decide di vestire nuovamente la maglia dell'US Marocaine.
Terminato il conflitto mondiale Ben Barek decide di tornare in Francia per vestire la maglia dello Stade Francais dove nella prima stagione fa ottenere alla propria squadra una storica promozione nella massima divisione.
L'impatto con la squadra capitolina è da subito notevole. Ben Barek dispensa grandi giocate segnando gol a raffica; solo il più basso livello dei compagni di squadra non sortisce traguardi ben più alti.


Il 1948 è l'anno del salto di qualità. I dirigenti dell'Atletico Madrid notano in Ben Barek caratteristiche fuori dal comune. Al momento dell'interesse dei Colchoneros e quando il trasferimento non era ancora completo, pare che un giornalista di un noto quotidiano parigino disse: "Si può vendere l'Arco di Trionfo o la Torre Eiffel, ma non si vende Ben Barek", a testimonianza di quanto fosse importante non solo a livello di gol e prestazioni. Larbi era un vero simbolo calcistico di Parigi.
Ma tant'è che le strade di Ben Barek e Stade Francais sono destinate a separarsi. Nella sua prima stagione nell'Atletico Madrid è circondato da una serie infinita di polemiche; non si presenta al ritiro e ci si chiede se la firma sul contratto non sia stata una bufala dei giornalisti. Nessuno ha sue notizie, neppure lo Stade Francais che lo aveva appena venduto. Una settimana dopo l'inizio del campionato arrivò un telegramma da Casablanca dove veniva comunicato dallo stesso Ben Barek che si sarebbe presentato il giorno dopo a Madrid. Con grande stupore di tutti (si erano perse le speranze e si temeva il peggio) dichiarò alla stampa: "Ho 31 anni ma mi sento benissimo sia fisicamente che tecnicamente. Mi sento come se avessi 20 anni". Più di qualcuno rise sarcasticamente a questa dichiarazione e si scoprì solo dopo che Ben Barek non era riuscito ad arrivare in Spagna per via della prematura ed improvvisa scomparsa della moglie.
A differenza di adesso, l'Atletico Madrid anni 50 era una squadra materasso, non c'erano nomi di primo impatto e Barcellona, Siviglia e Valencia si alternavano a vincere la Liga.
Come testimoniato dal suo debutto contro l'Espanyol (sconfitta 4-1), Ben Barek sembra avere una marcia in più rispetto ai compagni e qualche detrattore si dovette ricredere sulla forma fisica del marocchino. La stagione si chiude con la salvezza e la consapevolezza di aver trovato un giocatore simbolo della squadra
Nella stagione 1949/1950 l'Atletico ingaggia Helenio Herrera alla guida tecnica e tale Henry Carlsson (100 gol circa nell'AIK Solna in 200 partite) a fare da spalla a Ben Barek.


Da squadra materasso ci si accorse sin da subito che l'Atletico Madrid ha una marcia in più. Se ne accorge anche il grande pubblico che vede nella coppia Ben Barek-Carlsson una delle più forti dell'epoca, addirittura qualcuno (non a torto) la considera la coppia straniera più forte di tutti i tempi della squadra colchonera.
Insieme a giocatori quali Juncosa, Escudero e Perez Paya i due forti attaccanti formarono quella che fu definita la "Delantera de cristal", ossia l'attacco di cristallo, proprio in omaggio a questi cinque giocatori che fanno del gioco collettivo una vera delizia per le platee.
Nel primo anno di Herrera arrivarono campionato e Coppa del Re, il gioco era diventato all'improvviso sciolto e tutti sapevano cosa fare. La grande corsa e l'organizzazione di gioco portarono Ben Barek nell'olimpo; il marocchino segnava in tutti in modi e quelli che all'inizio ridevano dovettero ricredersi nel giro di poche partite. Nel suo secondo anno arrivò un altro scudetto e rimase all'Atletico fino al 1954 mettendo in rete 56 palloni in 113 partite disputate.

L'anno successivo tornò al Marsiglia con cui rimase un anno prima di appendere le scarpe al chiodo; nonostante i 37 anni realizzò 13 gol in 30 partite regalando ancora una volta al pubblico francese un saggio delle sue qualità.
Meno fortunata l'esperienza con la nazionale transalpina (all'epoca il Marocco non era ancora indipendente) dove segnò solamente 3 gol in 19 partite.
Una piccola nota curiosa: nella partita di addio ad un monumento quale Alfredo Di Stefano, Ben Barek entusiasmò non poco gli spettatori addirittura offuscando la prestazione della Saeta Rubia.
Nel 1957 divenne selezionatore della nazionale marocchina, il primo dalla storica indipendenza; la sua carriera da Commissario Tecnico durò 3 anni prima di decidere di smettere definitivamente col calcio.
Da molti è considerato il più grande giocatore marocchino della storia del calcio, lui che partì in una squadra di seconda divisione del proprio paese per arrivare agli altissimi livelli della Liga spagnola. Nel cuore di ogni tifoso colchonero ci sarà sempre un posto per la prima Perla Nera del calcio.
Morì in solitudine il 16 settembre 1992 a Casablanca e 6 anni dopo la FIFA lo insignì con la Medaglia di Ordine al Merito, il giusto premio per un grandissimo campione del passato.


Matteo Maggio

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