Come più volte sancito, la eterogeneità del calcio è visibile anche nelle differenti tipologie di personaggi che tale sport ci propone, tante volte perfettamente connesse al periodo storico considerato.
Più andiamo indietro nel tempo e più possiamo fare la conoscenza di calciatori davvero molto diversi dagli standard attuali, con specificato riferimento all'immagine che gli stessi offrivano.
La fase pionieristica del nostro amato sport mostra una realtà completamente diversa rispetto al calcio ultra tecnologico dei nostri giorni: ai tempi lo spirito era davvero amatoriale e non vi era tempo e denaro per dare agli atleti una preparazione fisica appena paragonabile all'attuale.
Quando guardiamo le rare immagine dei tempi ci meravigliamo quindi dei ritmi bassi, delle giocate incomprensibili ed anche di un abbigliamento sportivo evidentemente non ancora fornito dalle grandi multinazionali del settore.
In estrema sintesi potremmo affermare che all'inizio del 1900 si giocava uno sport estremamente diverso da quello che vediamo ora. Ed in modo più drastico potremmo dire che in tale epoca "embrionale" si giocasse a tutti gli effetti un altro sport.
Alla luce di queste precisazioni, perché interessarsi a tale periodo?
La risposta la possiamo trovare in personaggi come Carlo Bigatto, straordinario calciatore sul campo ed autentico simbolo del calcio italiano nei primi decenni del XX secolo.
Dalla foto precedente notiamo subito un aspetto che lo rende riconoscibile e particolare ai nostri occhi: durante tutta la carriera Bigatto gioca con un particolare copricapo con tanto di paraorecchie, che non gli crea nessun tipo di problema anche durante le fasi più combattute della carriera. Solo saltuariamente decide di indossare una fascia in luogo del suddetto berretto bianconero.
I colori dello stesso rimandano alla Juventus, squadra per la quale gioca dal 1913 al 1931, partecipando da protagonista ai primi campionati della "Signora".
La sua esperienza nella compagine di Torino è però interrotta della Prima Guerra Mondiale, al quale il calciatore partecipa arruolandosi nella Brigata Fanteria di Pinerolo.
La sua esperienza nella compagine di Torino è però interrotta della Prima Guerra Mondiale, al quale il calciatore partecipa arruolandosi nella Brigata Fanteria di Pinerolo.
La sosta forzata per il conflitto bellico ha degli effetti importanti anche sul suo ruolo in campo: dove essere cresciuto come centravanti, al suo ritorno dal fronte viene impostato come centrocampista, posizione che gli consente di imporsi con tutto il suo talento.
A tal proposito siamo di fronte ad un giocatore completissimo, dotato di buona tecnica, ma anche di una grande spirito battagliero.
Le cronache dell'epoca lo descrivono abilissimo con il pallone tra i piedi, dimostrandosi in possesso di un dribbling secco ed efficace, con il quale trascina le folate offensive della sua squadra.
Tuttavia la sua più grande qualità è quella dell'interdizione, con specifico riferimento alla sua capacità di rubare il pallone agli avversari: un giornale dell'epoca lo descrive come "giocatore dallo sgambetto gentile", a riprova di grande animosità agonistica, ma anche di lealtà.
Tali importanti valori li dimostra anche rispetto alla sua professione, che per sua scelta non diventa mai tale: nonostante in quel periodo Virginio Rosetta apre le porte del professionismo, Bigatto resta per sempre un dilettante, rinunciando ad un sicuro stipendio e mantenendo il suo legame alla squadra esclusivamente sulla parola.
Tali importanti valori li dimostra anche rispetto alla sua professione, che per sua scelta non diventa mai tale: nonostante in quel periodo Virginio Rosetta apre le porte del professionismo, Bigatto resta per sempre un dilettante, rinunciando ad un sicuro stipendio e mantenendo il suo legame alla squadra esclusivamente sulla parola.
In tal senso si dimostra fortemente legato alla maglia bianconera, alla quale non vuole essere vincolato da accordi contrattuali, tenuto conto anche di qualche sua abitudine non proprio da "professionista", che potrebbero creargli problemi con l' eventuale "datore di lavoro".
Per esempio ha un incrollabile dipendenza dal tabacco, che lo porta a fumare un numero impressionante di sigarette: le fonti dell'epoca parlano addirittura di 140 sigarette al giorno.
Tale negativo vizio non lo limita però in campo, dove mette in mostra grande corsa ed una resistenza notevoli.
Questa partita resta l'unica da lui giocata all'estero con la maglia azzurra e, sorprendentemente, l'unica da lui giocata lontano da Torino, sede delle altre sue quattro apparizioni.
Giovanni Fasani
Per esempio ha un incrollabile dipendenza dal tabacco, che lo porta a fumare un numero impressionante di sigarette: le fonti dell'epoca parlano addirittura di 140 sigarette al giorno.
Tale negativo vizio non lo limita però in campo, dove mette in mostra grande corsa ed una resistenza notevoli.
Nello spogliatoio si rivela un grandissimo motivatore, tanto da essere nominato capitano della squadra sin da giovanissimo, a riprova di un carattere forte che lo rende rispettato da tutti i compagni e dai dirigenti
Gli elevati valori morali lo rendono il vero simbolo della squadra in quegli anni, nonostante debba aspettare il 1925 per vincere il primo dei suoi due scudetti conquistati come calciatore.
Il secondo scudetto arriva nella sua ultima stagione di attività, che rappresenta il primo dei cinque scudetti consecutivi vinti dalla Juventus negli anni '30 (il famoso Quinquennio d'Oro).
A tal proposito, nella suddetta stagione 1930/1931 gioca una sola partita, essendo ormai limitato da persistenti problemi ai tendini.
Relativamente a tale periodo partecipa anche alla conquista del tricolore del 1934/1935, questa volta nelle vesti di allenatore, sostituendo Carlo Carcano durante il campionato.
Purtroppo la sua carriera risulta davvero molto breve, essendo interrotta da gravi problemi di salute, che lo portano alla morte a soli 46 anni.
Se a livello di club diventa una leggenda, la stessa cosa non si può dire relativamente alla nazionale, per la quale gioca solamente 5 partite durante la sua lunga attività.
La prima convocazione arriva a 30 anni nel 1925, quando Vittorio Pozzo vince le sue diffidenze e gli concede una manciata di minuti nella vittoria per 7-0 contro la Francia.
I dubbi del Commissario Tecnico sono relativi al carattere di Bigatto, il quale è abituato a dire quello che pensa e ad atteggiarsi come punto di riferimento della squadra.
Tale comportamento mal si sposa con la conduzione di Pozzo, impostata su toni marziali e basata sulla piena accondiscendenza di tutti i calciatori.
Se nella Juventus Bigatto è il collante dello spogliatoio, in Nazionale rischia di diventare uno strumento di rottura dello stesso.
Per questo motivo viene convocato con il contagocce, fino al 1927, quando al termine di una partita con il Portogallo il suo legame con la maglia azzurra si interrompe per sempre.
Delle sue poche apparizioni, una merita davvero una citazione: l'8 dicembre del 1925 l'Italia ottiene un prestigioso pareggio per 1-1 a Budapest e Bigatto gioca una partita straordinaria, venendo celebrato come migliore in campo dalla stampa.
Questa partita resta l'unica da lui giocata all'estero con la maglia azzurra e, sorprendentemente, l'unica da lui giocata lontano da Torino, sede delle altre sue quattro apparizioni.
Difficile aggiungere qualcosa su di un simile personaggio, capace di regalare grandi emozioni e di elevarsi come un simbolo positivo di un mondo del calcio ancora non viziato ed avvelenato come quello attuale.
Carlo Bigatto non deve essere ricordato solo come "il calciatore con il berretto", ma come un grande giocatore, che ha sempre giocato per il puro piacere di farlo, rappresentando fieramente un modo nobile di praticare un sport.
In fondo anche il calcio pionieristico ha un suo affascinante perché...
Giovanni Fasani
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