In
un momento difficile della recente storia spagnola, due squadre si sono opposte
alla repressione franchista che ancora imperava nel paese nonostante la morte
del dittatore Franco, avvenuta nel 1975. In un periodo in cui l’E.T.A, ancora considerato
un gruppo paramilitare antifranchista, era l’esponente della lotta per la
indipendenza del popolo basco, c’è chi ha usato il calcio come fattore di
pressione sociale: le due squadre basche per eccellenza, l’Athletic Club di
Bilbao e la Real Sociedad di San Sebastian.
Le
leggi franchiste ancora in vigore vietavano l’esibizione della ikurriña, la
bandiera dei Paesi Baschi, così come l’uso dell’euskera, la lingua parlata dai
baschi. Con la morte del dittatore si provò ad attuare una apertura verso la
democrazia, fu chiesta la legalizzazione dei simboli baschi e fu richiesto
anche uno status di autonomia.
Per
capire bene la situazione, forse si deve chiarire che entrambe le squadre
giocavano con soli giocatori della terra (l'Athletic lo fa ancora oggi ),
giocatori baschi che sentivano come propria la lotta del proprio popolo.
La
stessa immagine dei calciatori negli anni ’70 era differente da quella che
intendiamo oggi. All’epoca c’erano giocatori interessati a ciò che accadeva e
con opinioni proprie: in questo clima di tensione, lotta e soprattutto
inquietudine per i cambi politici e sociali, il calcio basco scelse da che
parte stare.
Era
il 5 dicembre 1976 e il derby basco tornava allo stadio di Atocha di San
Sebastián. Nessuno sapeva che quel giorno sarebbe avvenuto un passo storico
nella lotta del popolo basco per l’autodeterminazione. Josean de la Hoz Uranga,
giocatore della Real Sociedad soprannominato Trotsky, fu colui che ordì tutto
il piano e introdusse illegalmente una bandiera basca nello stadio. Essendo
proibita l’ikurriña, fu la sorella proprio di Uranga a cucire gli scampoli di
colori rosso, verde e bianco per dare forma ad una bandiera che sarebbe passata
alla storia. La cosa più facile era stata già fatta, il vessillo era nello
stadio di Atocha, ma ora rimanevano le due parti più difficili: parlare in gran
segreto coi capitani di entrambe le squadre per proporre l’idea di entrare in
campo con la bandiera illegale trasportata dai capitani stessi, e ottenere che
la polizia spagnola non intercettasse la bandiera prima della loro entrata,
visto che lo stadio disponeva di un fosso che quel giorno era circondato da
agenti della polizia nazionale.
Dopo
aver parlato coi capitani negli spogliatori di Atocha, le due squadre dissero
di sì, consapevoli di quello che avrebbe potuto costituire a livello nazionale
vedere i due maggiori rappresentanti del calcio basco esibire la bandiera basca
in un atto pubblico.
Nascosta nelle borse dove si trasportava l’acqua,
l’ikurriña arrivò alle panchine, saltando in questo modo i poliziotti.
Tutto
era pronto, le due squadre in fila per uno, faccia a faccia nel tunnel degli
spogliatoi. Una volta che il prato era stato oltrepassato Uranga diede la
bandiera ai capitani, due simboli del calcio spagnolo dell’epoca, Iribar e
Kortabarria, e i due insieme mostrarono il simbolo del paese basco fino al
centro del campo tra il clamore popolare e l’ambiente festante dell’antico
stadio realista.
Molte
volte vale più un’immagine che mille parole, questo dimostrarono tanto la Real
che l’Athletic.
Fu un attacco diretto ad un regime in via di estinzione e una
petizione pubblica nello scenario perfetto, una partita di calcio, posto di
socializzazione e di rivendicazione. Era da prima della Guerra Civile spagnola,
1936 -1939, che non si vedeva una ikurriña in un avvenimento pubblico. Tutte
quelle rivendicazioni avrebbero dato il loro frutto giorni più tardi: il 19
gennaio 1977 sarebbe stato approvato lo Statuto basco e la bandiera sarebbe
stata legalizzata.
Ma
quel 5 dicembre 1976 fu il calcio a testimoniare che la lotta del popolo basco
aveva avuto l’appoggio di due giganti dell’epoca che avevano rischiato per
mostrare una bandiera ancora illegale alla loro gente.
Danilo Crepaldi
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