Per
raccontare la storia del Dukla Praga non è necessario partire da molto lontano.
Non ci troviamo, come accaduto per la fondazione di numerose squadre, in un bar
o su una panchina, ma nel mezzo di una delle battaglie più cruenti della
Seconda guerra mondiale. Slovenské národné povstanie (SNP) significa
Insurrezione Nazionale Slovacca ed ebbe inizio il 29 agosto 1944 a Banská
Bystrica, quando gli slovacchi si ribellarono improvvisamente e con decisione
ai tedeschi.
La città divenne ben presto il centro della resistenza antinazista
e il centro politico e militare dell'Insurrezione.
Allo
stesso tempo, l'Armata Rossa, nella quale erano accorpati oltre 16.000 soldati
cecoslovacchi, si stava avvicinando sia da nord sia da est.
Radio Mosca, attraverso
la leggendaria voce dello speaker Yuri Levitan, (colui che esordiva con:
“Attenzione! Qui parla Mosca…), informava le popolazioni delle avanzate
dell'esercito sovietico.
Il governo cecoslovacco di Londra guidato dal
presidente Beneš, era al corrente dei preparativi dell'insurrezione che si
stava man mano organizzando e li approvava appieno.
Condizione
indispensabile per la riuscita dell’impresa era l'intervento in aiuto
all'insurrezione dell'Armata Rossa, nella Polonia sud-orientale: perché il congiungimento
degli insorti con l’esercito russo potesse avere luogo, era necessario che
l’esercito russo si impadronisse del Passo di Dukla, luogo strategico sul
confine tra Polonia e Slovacchia. T
ale offensiva incontrò, da parte nazista,
una resistenza durissima e l'operazione Dukla-Prešov si dimostrò una delle più
sanguinose sul Fronte Orientale.
Nei
due mesi di battaglia, 21.000 soldati sovietici persero la vita insieme a quasi
due mila soldati cecoslovacchi.
Ci vollero più di cinquanta giorni per scacciare
gli uomini del Terzo Reich dalla Slovacchia. A questa epica pagina nella storia
della liberazione europea si deve il nome della squadra di calcio sponsorizzata
dall'esercito ceco: ancora oggi, a glorioso memento del passato, essa porta il
nome di Dukla Praga.
Il
Dukla Praga era inizialmente conosciuto come ATK (Armádní Telocvicný Klub),
l'abbreviazione ceca di Club dell'Esercito di Ginnastica.
Per accelerare (o
meglio, favorire) la sua ascesa ai vertici del calcio cecoslovacco fu
introdotta una regola particolare: ogni giocatore che aveva prestato servizio
militare sarebbe entrato automaticamente nelle fila del Dukla, anche se era
sotto contratto con un’altra squadra.
L’ingresso della squadra nella massima
serie fu tutt'altro che ortodosso e il club ebbe il via libera per scegliere i
migliori giocatori sulla piazza. C
ome descrisse Radovan Jelínek, autore di
diversi libri tra cui The First World Atlas of Football:"Normalmente
ogni squadra avrebbe dovuto qualificarsi per giocare nella massima serie. Non fu
il caso del Dukla Praga. Verso la fine degli anni ‘40, i migliori club
cecoslovacchi vennero “istruiti” a cedere al club del partito almeno uno dei
loro giocatori. Oggigiorno sarebbe qualcosa di inaccettabile. Fu questo
l'inizio della storia del Dukla. Una volta che ebbe in rosa tutti i migliori
giocatori provenienti da altri club, ad esempio sette giocatori provenienti
dallo Slavia o cinque dai Bohemians, dominò il calcio cecoslovacco".
Se
si parla di Dukla, il pensiero corre veloce a Josef Masopust, fuoriclasse che
guidò i giallorossi per tredici lunghi anni, dal 1953 al 1966.
Figlio di un minatore di Most, già città dei Sudeti, il giovane Josef aveva firmato nel 1949 un contratto da professionista con il Vodotechna Teplice all'età di diciotto anni. Assomigliava, calcisticamente parlando, all'ungherese József Bozsik, giocatore cardine della Honvéd e della grande Ungheria.
Masopust
era un trequartista e una mezzapunta dotata di un gran ritmo di gioco, la sua
qualità migliore era la capacità di utilizzare magnificamente entrambi i piedi.
Riusciva a calibrare dei passaggi perfetti per i compagni e sfornava assist al
bacio mettendo gli attaccanti davanti al portiere avversario; in suo onore fu
addirittura coniato il termine “Masopust-slalom” per indicare una serie di
dribbling rapidi effettuati in spazi brevi che disorientavano e stordivano gli
avversari.
Tecnica,
resistenza e visione di gioco sopraffina, Josef era un vero e proprio
instancabile motorino nel centro del campo.
Pallone
d’oro nel 1962, lo stesso anno in cui aveva conquistato la finale dei
campionati del mondo in Cile, (Brasile-Cecoslovacchia 3 a 1 con gol dello
stesso Masopust) con la propria nazionale, Pepik, come lo chiamavano
affettuosamente i tifosi, conquistò il trofeo indetto da France Football
superando nelle valutazioni il portoghese Eusebio. Non proprio l’ultimo
arrivato.
Piccolo aneddoto: durante le eliminatorie dei mondiali del 1962,
Masopust sta per contrastare in maniera piuttosto decisa Pelè. Vedendolo
zoppicante desiste dal tackle. O Rei se ne accorge e butta la palla in rimessa
laterale.
“Masopust
era un trequartista di tale tecnica, da dare l’impressione di essere nato in
Brasile, non in Europa. Un tipo di giocatore alla Platini, alla Beckenbauer,
paragonabile oggi a uno come Xavi".Soprattutto
un uomo di grande intelligenza anche fuori dal campo”. Firmato Edson Arantes do
Nascimento, per tutti, Pelé.
Ma
torniamo alla squadra e alle sue vittorie. Il primo successo di rilievo non
tarda ad arrivare e già nel 1952 il club conquista la Coppa di Cecoslovacchia.
All’inizio del 1953 la squadra è rinominata ÚDA (Ústrední Dum Armády, Casa
dell’esercito) e subito conquista il primo di numerosi titoli nazionali (alla
fine saranno undici i titoli cecoslovacchi) con una sola sconfitta in tredici partite.
Nel 1956 assume l’attuale denominazione, in onore del villaggio slovacco primo
focolaio della rivolta contro le brutalità naziste. Anche questa volta il
cambio di nome coincide con la conquista del titolo, grazie alle quindici reti
messe a segno dal capocannoniere Milan Dvorák.
Poi
due anni in “bianco”: nel 58-59 vince l’Inter Bratislava (il Dukla si piazzerà
secondo) mentre l’anno successivo sarà gloria per lo Hradec Králové (primo e
ultimo campionato vinto) dopo una lotta appassionante, che vide i bianconeri
trionfare con due punti di distacco sull’Inter Bratislava e, appunto, sul Dukla
Praga giunto secondo a pari merito.
Due anni senza vittorie, troppi per la
squadra del potere. Infatti, puntuale, il ciclone giallorosso si abbatte di
nuovo sul calcio cecoslovacco: quattro titoli di fila, rivali spazzate via dal
quintetto d’attacco Brumovský-Vacenovský-Borovicka-Kucera-Jelínek, guidati
ovviamente in cabina di regia da Masopust.
Squadra
di fenomeni: Kouba in porta, Šafránek (morto d’infarto durante una partita
delle vecchie glorie del Dukla nel 1987), e le bandiere Ladislav Novák e
Pluskal (per entrambi quasi sedici anni con gli stessi colori) gli altri
pilastri.
Nella stagione 60-61 la differenza tra reti fatte e subite è
abissale: +43. In quest’anno arriverà anche la conquista della Coppa di
Cecoslovacchia.
La stagione successiva i gol saranno addirittura 88 a fronte di
30 subiti in 25 gare. Il Dukla è padrone assoluto della Cecoslovacchia ed una
macchina da gol.
Nelle due stagioni successive il campionato sarà più
equilibrato, ma l’undici di Jaroslav Vejvoda guarderà ancora una volta
dall’alto le dirette concorrenti. Il
titolo del 1960 coincide con
l’inaugurazione dello stadio Na Julisce avvenuta il 10 luglio. Per l’occasione
fu organizzata un’amichevole contro il Wiener Sport-Club, polisportiva
austriaca con sede a Vienna che all’epoca comprendeva anche la sezione calcio.
Per la cronaca, il Dukla vinse 2 a 1.
Ai
Giochi Olimpici di Tokyo ’64, il Dukla fornisce alla nazionale tre giocatori:
Brumovský, Geleta e Knesl. I tre torneranno in patria con la medaglia d’argento
al collo.
Quella d’oro prenderà la via di Budapest: in finale finisce 2 a 1 per
gli ungheresi e la rete per la Cecoslovacchia sarà segnata proprio da
Brumovský.
Quando nel 1965 il portiere Pavel Kouba passa allo Sparta Praga, il
suo posto viene preso da Ivo Viktor, che metterà le radici a difesa della porta
giallorossa: 15 stagioni, 316 partite e nominato cinque volte (record tutt’ora
imbattuto) calciatore cecoslovacco dell’anno, nonché due volte portiere europeo
dell’anno nel 1969 e nel 1976, 24esimo nella classifica dei portiere del secolo
secondo un sondaggio dell’Istituto Internazionale di Storia e Statistica del
Calcio.
Esordì
in nazionale nel 1966 contro il Brasile allo stadio Maracanã. Un monumento.
Meglio di lui nella Hall of Fame del Dukla, ha fatto solo l’inarrivabile
Masopust (vedi un nostro articolo presente sul blog).
Riprendendo
il filo degli scudetti, le altre affermazioni arriveranno nel 1965/’66 (insieme
alla seconda Coppa nazionale), nel 1976/’77, nella stagione 1976-77 (l'anno del
decimo titolo), nel 1978/’79 e infine nell'annata 1981/82, che si concluderà
con un altro doblete e la quinta Ceskoslovenský Pohár messa in bacheca (in
totale nella sala trofei sono otto le coppe nazionali esposte). Piccola
curiosità: il Dukla ha disputato nove finali affrontando otto volte squadre
slovacche.
Le
avversarie sono state in ordine cronologico: Dynamo Žilina, Slovan Bratislava,
Tatran Prešov, Dukla Banská Bystrica, ancora lo Slovan Bratislava, il
Lokomotiva Košice e l’Inter Bratislava.
L’unica sfida del tutto ceca si è
giocata nella stagione ’68-’69, quando a dare battaglia allo squadrone di Praga
fu il VCHZ Pardubice.
Nel
frattempo la carriera di Masopust andava terminando e vide la sua
trasformazione in giocatore/allenatore e quindi definitivamente in allenatore:
nel 1969 Josef guidò il Crossing Molenbeek alla promozione in prima divisione
belga.
Ma anche se il suo nome fosse Masopust e fosse lo sportivo più noto del
paese, trovare un accordo con il regime non fu per niente facile e difatti gli
fu consentito di giocare all'estero solo verso la fine della sua carriera e
solo a 37 anni, nel 1968, divenne formalmente un professionista.
Comprensibilmente, il regime era preoccupato di creare un pericoloso precedente
e perdere in futuro altri giocatori, i quali potevano avrebbero potuto
desiderare di essere ceduti oltreconfine, allettati da stipendi più cospicui.
A livello europeo il Dukla esordì nella Coppa Campioni nel 1957/58.
Direttamente qualificata agli ottavi, l’esperienza continentale durò ben poco,
e fu eliminato dai Busby Babes del Manchester United. Purtroppo l’edizione di
quell’anno è ricordata per il disastro aereo di Monaco di Baviera dove perirono
otto calciatori del Manchester United. il 21enne Bobby Charlton si salvò miracolosamente.
Il secondo tentativo nella massima competizione europea nell’edizione 1966-67 andò meglio.
Il Dukla raggiunse le semifinali battendo squadre del calibro di
Anderlecht, Ajax per poi essere sconfitti solamente dai futuri campioni del
Celtic di mister Stein e dei vari Chalmers, McNeill, Jimmy 'Jinky'
Johnstone, Bobby Lennox e Bobby Murdoch, che sconfissero in finale
l'Inter.
Vivo è ancora il ricordo della cavalcata in Coppa UEFA nella stagione 1978/79. Eliminato il Lanerossi Vicenza nei trentaduesimi di finale (dopo la sconfitta per 2 a 1 in Cecoslovacchia, al ritorno i bianco-rossi non poterono schierare la stella Paolo Rossi per infortunio), nei sedicesimi i praghesi si qualificarono a danno dell’Everton.
L’apoteosi giunge negli ottavi di finale contro lo Stoccarda: sconfitta senza appello all’andata per 4 a 1, il ritorno al Na Julisce segnerà una delle migliori pagine internazionali del club. Il match terminerà 4 a 0 e via libera verso i quarti di finale.
(Chissà se i giornali dell’epoca esaltarono le gesta di quei undici eroi alludendo magari alla battaglia del Passo di Dukla contro i tedeschi!). Ma il cammino europeo si fermerà al cospetto di un’altra germanica, questa volta l’Hertha di Berlino.
Nella stagione 1985/86, il club di Praga raggiunse le semifinali di Coppa delle Coppe, cedendo solo a quelli che poi vinsero il titolo, gli ucraini della Dinamo Kiev di Oleh Blokhin, la “Freccia Ucraina”, Oleksandr Zavarov e guidati in panchina dal guru sovietico Valerij Lobanovs'kyj.
Rientrando nei confini nazionali, gli ultimi tre titoli in patria sono legati alla figura di Zdenek Nehoda, attaccante autore di 124 gol in 290 partite con la squadra della capitale vltavina e medaglia d'oro agli Europei del 1976 con la Cecoslovacchia, oltre che calciatore cecoslovacco dell'anno per due anni di fila, nel 1978 e nel 1979.
L'ultimo trofeo messo in bacheca dal Dukla sarà invece la coppa nazionale nel 1990, in piena Rivoluzione di Velluto guidata dal politico-drammaturgo Václav Havel, che sancirà la fine del regime comunista e da lì a tre anni anche alla separazione pacifica dell’ex Stato federato.
Poi il tramonto, improvviso ma non imprevedibile. L’immagine scomoda del Dukla non ha permesso al club di reperire i necessari fondi dagli sponsor e a causa di problemi finanziari il club è sceso in terza divisione nel 1994. Solo due anni più tardi un imprenditore ceco, Bohumil Duricko, decise di intervenire per riportare il prestigioso club all’antica grandezza: dopo aver acquistato la l’FC Príbram (società di calcio di una città a ottanta kilometri a sud ovest di Praga), allora in seconda divisione, fuse le due squadre che assunsero definitivamente il nome di l'FC Dukla Príbram.
Separatamente, una squadra dilettantistica denominata Dukla Dejvice continuò a giocare al Na Julisce nei campionati regionali della capitale, adotta i vecchi colori del Dukla.
Nel 2001, il Dukla Dejvice unì le forze con le squadre giovanili del Dukla Praga, le quali si staccarono dal Príbram e nel 2006 ripresero la seconda divisione acquistando la licenza dallo Jakubcovice, rientrando per la prima volta dopo quasi un decennio nel professionismo ceco. Dopo cinque anni nel campionato cadetto, il ritorno nella Gambrinus Liga avviene nella stagione 2011-2012, terminato con un ottimo sesto posto.
Le radici del Dukla Praga come club dell’esercito lo hanno reso sempre alquanto impopolare nella visione del tifoso medio.
Nonostante le vittorie in campionato, aveva una media presenze di tifosi allo stadio alquanto bassa. Ad esempio, durante la trionfante stagione 1965-1966, sugli spalti si vedevano in media 9.000 persone, mentre Sparta e Slavia viaggiavano su 12-13 mila presenze a partita. Addirittura, durante la stagione ‘81/’82 solo 1.500 spettatori sedevano sui gradoni dello stadio situato a Praga 6, a conferma della poca simpatia per una squadra che rappresentava a tutti gli effetti la costola sportiva del regime.
E’ considerata tuttora la quarta squadra della capitale, dopo Slavia, Sparta e Bohemians. Alcuni posizionano addirittura il Viktoria Žižkov, (squadra del quartiere di Praga 3), davanti ai giallorossi nelle preferenze popolari. Era la squadra più odiata dell’epoca, oggi viene semplicemente ignorata.
La fama del Dukla ha però oltrepassato i confini rettangolari del campo di calcio, e il suo nome è comparso sulla copertina di un libro, Dukla mezi mrakodrapy (Il Dukla tra i grattacieli) di Ota Pavel, che racconta le partecipazioni estive, dal 1961 al 1964 a New York all’International Soccer League, competizione a 16 squadre che raccoglieva alcune tra le migliori squadre europee dell’epoca (Stella Rossa, Rapid Vienna, AS Monaco, Espanyol).
E dalla letteratura alla musica: la canzone “All I want for Christmas is a Dukla Praga away kit” (Tutto ciò che voglio per Natale è un completo da trasferta del Dukla Praga) del gruppo rock inglese Half Man Half Biscuit scalò le classifiche dell’epoca.
Il Times ha inoltre inserito la maglia da gioco del Dukla tra le prime cinquanta divise più belle della storia del football. Niente male per una società nata poco più di sessant’anni fa.
Senza dimenticare che il Dukla può vantare di aver lanciato sul grande palcoscenico i due maggiori talenti cechi (gli unici due palloni d'oro del paese). Oltre a Masopust, nel 1991 a centrocampo correva e lottava come era suo solito, un ragazzo dai capelli biondi e da una grinta fuori dal comune: Pavel Nedved, ceduto dopo appena un anno allo Sparta e destinato a trasformarsi in una “Furia Ceca” all’ombra della Mole Antonelliana.
Nel panorama storico del calcio cecoslovacco, il Dukla assomiglia a una stella cadente che ha illuminato per breve tempo, ma con una luce abbagliante, la scena calcistica del paese. E come ogni stella cadente, anche il Dukla ha lasciato dietro di sé una scia che a oggi non si è ancora dissolta.
Una scia che riporta alla memoria, oltre alla gloria dei suoi trionfi, il suo retaggio comunista, di squadra del partito e simpatica a pochi. C
ome una sorta di macchia su una bellissima maglietta, difficile (impossibile?!) da lavare. Intanto la statua in onore di Josef Masopust, svelata per l’ottantesimo compleanno del campione, fa bella mostra fuori dal Na Julisce. Posa elegante, palla sul sinistro nell’atto di eseguire un passaggio filtrante. Testa alta e sguardo fiero.
Danilo Crepaldi
Il secondo tentativo nella massima competizione europea nell’edizione 1966-67 andò meglio.
Vivo è ancora il ricordo della cavalcata in Coppa UEFA nella stagione 1978/79. Eliminato il Lanerossi Vicenza nei trentaduesimi di finale (dopo la sconfitta per 2 a 1 in Cecoslovacchia, al ritorno i bianco-rossi non poterono schierare la stella Paolo Rossi per infortunio), nei sedicesimi i praghesi si qualificarono a danno dell’Everton.
L’apoteosi giunge negli ottavi di finale contro lo Stoccarda: sconfitta senza appello all’andata per 4 a 1, il ritorno al Na Julisce segnerà una delle migliori pagine internazionali del club. Il match terminerà 4 a 0 e via libera verso i quarti di finale.
(Chissà se i giornali dell’epoca esaltarono le gesta di quei undici eroi alludendo magari alla battaglia del Passo di Dukla contro i tedeschi!). Ma il cammino europeo si fermerà al cospetto di un’altra germanica, questa volta l’Hertha di Berlino.
Nella stagione 1985/86, il club di Praga raggiunse le semifinali di Coppa delle Coppe, cedendo solo a quelli che poi vinsero il titolo, gli ucraini della Dinamo Kiev di Oleh Blokhin, la “Freccia Ucraina”, Oleksandr Zavarov e guidati in panchina dal guru sovietico Valerij Lobanovs'kyj.
Rientrando nei confini nazionali, gli ultimi tre titoli in patria sono legati alla figura di Zdenek Nehoda, attaccante autore di 124 gol in 290 partite con la squadra della capitale vltavina e medaglia d'oro agli Europei del 1976 con la Cecoslovacchia, oltre che calciatore cecoslovacco dell'anno per due anni di fila, nel 1978 e nel 1979.
L'ultimo trofeo messo in bacheca dal Dukla sarà invece la coppa nazionale nel 1990, in piena Rivoluzione di Velluto guidata dal politico-drammaturgo Václav Havel, che sancirà la fine del regime comunista e da lì a tre anni anche alla separazione pacifica dell’ex Stato federato.
Poi il tramonto, improvviso ma non imprevedibile. L’immagine scomoda del Dukla non ha permesso al club di reperire i necessari fondi dagli sponsor e a causa di problemi finanziari il club è sceso in terza divisione nel 1994. Solo due anni più tardi un imprenditore ceco, Bohumil Duricko, decise di intervenire per riportare il prestigioso club all’antica grandezza: dopo aver acquistato la l’FC Príbram (società di calcio di una città a ottanta kilometri a sud ovest di Praga), allora in seconda divisione, fuse le due squadre che assunsero definitivamente il nome di l'FC Dukla Príbram.
Separatamente, una squadra dilettantistica denominata Dukla Dejvice continuò a giocare al Na Julisce nei campionati regionali della capitale, adotta i vecchi colori del Dukla.
Nel 2001, il Dukla Dejvice unì le forze con le squadre giovanili del Dukla Praga, le quali si staccarono dal Príbram e nel 2006 ripresero la seconda divisione acquistando la licenza dallo Jakubcovice, rientrando per la prima volta dopo quasi un decennio nel professionismo ceco. Dopo cinque anni nel campionato cadetto, il ritorno nella Gambrinus Liga avviene nella stagione 2011-2012, terminato con un ottimo sesto posto.
Le radici del Dukla Praga come club dell’esercito lo hanno reso sempre alquanto impopolare nella visione del tifoso medio.
Nonostante le vittorie in campionato, aveva una media presenze di tifosi allo stadio alquanto bassa. Ad esempio, durante la trionfante stagione 1965-1966, sugli spalti si vedevano in media 9.000 persone, mentre Sparta e Slavia viaggiavano su 12-13 mila presenze a partita. Addirittura, durante la stagione ‘81/’82 solo 1.500 spettatori sedevano sui gradoni dello stadio situato a Praga 6, a conferma della poca simpatia per una squadra che rappresentava a tutti gli effetti la costola sportiva del regime.
E’ considerata tuttora la quarta squadra della capitale, dopo Slavia, Sparta e Bohemians. Alcuni posizionano addirittura il Viktoria Žižkov, (squadra del quartiere di Praga 3), davanti ai giallorossi nelle preferenze popolari. Era la squadra più odiata dell’epoca, oggi viene semplicemente ignorata.
La fama del Dukla ha però oltrepassato i confini rettangolari del campo di calcio, e il suo nome è comparso sulla copertina di un libro, Dukla mezi mrakodrapy (Il Dukla tra i grattacieli) di Ota Pavel, che racconta le partecipazioni estive, dal 1961 al 1964 a New York all’International Soccer League, competizione a 16 squadre che raccoglieva alcune tra le migliori squadre europee dell’epoca (Stella Rossa, Rapid Vienna, AS Monaco, Espanyol).
E dalla letteratura alla musica: la canzone “All I want for Christmas is a Dukla Praga away kit” (Tutto ciò che voglio per Natale è un completo da trasferta del Dukla Praga) del gruppo rock inglese Half Man Half Biscuit scalò le classifiche dell’epoca.
Il Times ha inoltre inserito la maglia da gioco del Dukla tra le prime cinquanta divise più belle della storia del football. Niente male per una società nata poco più di sessant’anni fa.
Senza dimenticare che il Dukla può vantare di aver lanciato sul grande palcoscenico i due maggiori talenti cechi (gli unici due palloni d'oro del paese). Oltre a Masopust, nel 1991 a centrocampo correva e lottava come era suo solito, un ragazzo dai capelli biondi e da una grinta fuori dal comune: Pavel Nedved, ceduto dopo appena un anno allo Sparta e destinato a trasformarsi in una “Furia Ceca” all’ombra della Mole Antonelliana.
Nel panorama storico del calcio cecoslovacco, il Dukla assomiglia a una stella cadente che ha illuminato per breve tempo, ma con una luce abbagliante, la scena calcistica del paese. E come ogni stella cadente, anche il Dukla ha lasciato dietro di sé una scia che a oggi non si è ancora dissolta.
Una scia che riporta alla memoria, oltre alla gloria dei suoi trionfi, il suo retaggio comunista, di squadra del partito e simpatica a pochi. C
ome una sorta di macchia su una bellissima maglietta, difficile (impossibile?!) da lavare. Intanto la statua in onore di Josef Masopust, svelata per l’ottantesimo compleanno del campione, fa bella mostra fuori dal Na Julisce. Posa elegante, palla sul sinistro nell’atto di eseguire un passaggio filtrante. Testa alta e sguardo fiero.
Danilo Crepaldi
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