sabato 14 dicembre 2019

MLADENOVIC ED IL SOGNO INFRANTO DELLA JUVENTUS

Al termine della stagione 1990/1991 la Juventus si imbarca per una breve tournée con destinazione Stati Uniti e Messico, con lo scopo, oltre di raccogliere dollari/pesos, di dare slancio all'embrionale football (soccer) a stelle e strisce e al latente futbol centramericano.
La rosa è composta da buona parte dei giocatori che hanno da poco concluso in modo deludente il campionato, arricchita dalla presenze di due giocatori stranieri: il magiaro Lajos Détári e lo jugoslavo, per meglio dire croato, Mladen Mladenović.
Le tre partite giocate portano ad altrettante sconfitte, con i due "prestiti" che non riescono ad elevare le prestazioni della squadra, ne a meritarsi un eventuale contratto dalla società bianconera, come voci di corridoio invece facevano intendere.
Se per Detari la motivazione va ricercata nelle sua cronica indolenza a fronte di un talento cristallino, per Mladenović si può invece parlare di occasione perduta.


Il centrocampista in forza alla Dinamo Zagabria, strappato a quanto si dice alla Stella Rossa, è in effetti il prototipo di giocatore moderno per l'epoca in questione, sapendo coniugare una grande solidità ad un'eccellente intelligenza tattica, con un tecnica di base di assoluto livello a completare un notevole profilo tecnico.
Prima di vestire la casacca dei Modri si era ben distinto con la maglia del Rijeka, dove mette in mostra anche un piede destro potente e preciso che lo rende molto pericoloso nelle conclusioni dalla media e lunga distanza. Valga come esempio questo gran gol segnato contro l'Hajudk Spalato.


Nella estate del 1991 sfumata la possibilità di passare alla Juventus si rende disponibile per lasciare il contesto croato, al momento luogo infausto dove vivere e giocare a causa del terribile conflitto in essere nella penisola balcanica.
A sorpresa viene acquistato dalla matricola spagnola del Castellón, compagine militante in seconda divisione con velleità poi non rispettate di promozione.
Nei due anni spesi nel Comunità Valenciana il centrocampista nativo di Rijeka conferma le sue indiscutibili qualità, segnando anche 21 reti in 70 partite, denotando però come sia ben più forte del livello nel quale si trova a giocare.
Per ritemprarsi e ritrovare sensazioni migliori ritorna propria al Rijeka, dove nella stagione 1993 /1994 tocca il livello più alto di rendimento in carriera, imponendosi come miglior marcatore della sua squadra e vincendo il titolo di giocatore croato dell'anno.


Le 20 reti messe a segno in campionato sono la concreta conferma di un eccellente stato di forma e del momento di grazia che il suo piede destro attraversa nella suddetta stagione, così come una dote importante da portare nella neonata nazionale croata, entrata a far parte della FIFA nel 1992 e composta da una generazione di talenti in rapida ascesa.
A conferma del suo notevole periodo realizzativo mette a segno una doppietta contro l'Estonia in un'amichevole del maggio del 1994, terminata 2-2 ed esemplificativa di come la compagine croata debba dosare una dose di talento elevata, ma poco disciplinata.
La crescita professionale attesa arriva con il passaggio al Salisburgo, neocampione d'Austria grande protagonista in Europa la stagione precedente, quando ha raggiunto la finale di Coppa Uefa contro l'Inter.


Arrivano subito la seconda vittoria consecutiva in campionato ed il successo in Supercoppa, grazie anche alle geometrie, ai gol ed al fosforo che Mladenović offre al centrocampo austriaco, segnalandosi anche in Coppa dei Campioni, dove il Salisburgo esce nel girone inziale dietro ad Ajax e Milan future finaliste; la gara di andata contro i rossoneri è ricordata per il caso della bottiglietta tirata al portiere Otto Konrad che costerà la sconfitta a tavolina alla squadra di Fabio Capello.
L'avventura con Violett-Weiß dura un'unica annata, in quanto nell'estate del 1995 i primi acciacchi relativi all'età e gli yen offerti dal Gamba Osaka lo inducono a sperimentare l'avventura in Giappone, dove resta 12 mesi e dove le due qualità lo impongono come uno dei giocatori più forti del campionato.
Probabilmente a spingerlo a tale scelta è stata anche la delusione per il ruolo di comprimario avuto nell'Europeo del 1996, dove si è dovuto accontentare di qualche spezzone di partita, chiuso com'era dalla presenza di Robert Prosinečki, Zvonimir Boban e Aljoša Asanović. 
La nostalgia di casa e la volontà di chiudere nel campionato croato lo porta ad accettare l'offerta dell'Hajudk Spalato nel 1997 ed a chiudere la lunga carriera dov'era iniziata, vale a dire al Rijeka, dove regala gli ultimi sprazzi di classe e sagacia tattica. Quest'ultima la dimostra giocando anche nel ruolo di battitore libero, ideale anche per sopperire ad una ridotta mobilità in questa fase finale di carriera.


In quanto riassunto non è difficile intuire quanto la sua carriera avrebbe potuto essere davvero diversa e più blasonata, risultando palese come nel periodo di massimo splendore  fisico e atletico fosse uno dei centrocampisti più completi a livello internazionale; tutto questo in un calcio in fase di cambiamento, dove un mix di qualità come Mladenović può essere identificato come il prototipo del centrocampista perfetto, in una parola sola moderno.
Che quel "no" della Juventus del 1991 abbia pesato molto in termini di scelte fatte e scenari futuri?



Giovanni Fasani


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