sabato 14 settembre 2019

IL SATELLITE POPLUHAR

Quanti calciatori possono fregiarsi dell'onore di vedere il suo nome attribuito ad un asteroide? In una cerchia oggettivamente ristretta rientra Ján Popluhár, straordinario libero cecoslovacco talmente grande nel ruolo da meritarsi l'associazione del suo nome al corpo celeste principale 267585.
Questo astronomica nomea si associa a gesta di altissimo valore in campo, dove il difensore nativo a Bernolákovo ha fatto scuola sia in patria sia a livello internazionale, in una lunghissima e prestigiosa carriera.



In termini di stile e di efficacia siamo senza dubbio di fronte ad un caposaldo del ruolo, uno sweeper, per dirla in termini anglosassoni, in grado davvero di usare "sciabola e fioretto" a seconda dei casi.
Al momento opportuno non disdegna il tackle o l'energia entrata, senza però eccedere in fisicità o cattiveria, come dimostra il fatto di non essere mai stato espulso ed aver ricevuto  un unico cartellino giallo in una carriera ultraventennale.
Spontaneamente Popluhár si mette in mostra anche in fase di costruzione, con una fierezza negli sganciamenti offensivi da precedere cronologicamente i grandi nomi che hanno reso il ruolo di libero molto più di un ultimo battitore.
Sin dai primi anni nello Slovan Bratislava, dove esordisce a ventenne nel 1955, si erge a difensore implacabile nelle chiusure quanto imperioso nell'uscire dalla difesa a testa alta, mettendo in mostra un tecnica ed un tempismo di altissimo livello.
Un mix di fisico (182 centimetri di altezza) e di classe che lo rendono il prototipo di quel calciatore che negli anni'70 diventerà la regola nel nuovo football di stampo europeo.
L'allenatore Leopold Šťastný, noto per il vezzo di dare un soprannome ad ogni suo giocatore, gli conferisce il nomignolo di Bimbo, per via della sua faccia da bravo ragazzo e per una naturale tendenza a non far male all'avversario. Tale caratteristica non va letta come eccessiva timidezza o scarsa indole, ma come la massima esemplificazione di una lealtà davvero d'altri tempi.
Con i Belasi scrive pagine indelebili nella storia della società slovacca, vincendo un campionato e tre coppe nazionali, giocandovi 262 e trovando la rete 21 volte, bottino di tutto rispetto se consideriamo che la tendenza del tempo preveda che il libero molto difficilmente superasse la linea di centrocampo.
Prestazioni eccezionali e la capacità di gestire ogni situazione in campo con la sicurezza di un veterano, lo rendono il baluardo difensivo perfetto per la nazionale cecoslovacca, indubbiamente una delle più forti in Europa nel periodo.



Con la stessa prende parte e vince la sesta ed ultima edizione della Coppa Internazionale, mettendosi in mostra come uno dei liberi migliori del continente e meritandosi la convocazione per il Mondiale del 1958.
In Svezia la nazionale affidata a Karel Kolský viene eliminata al termine del girone iniziale, dopo lo spareggio con l'Irlanda del Nord, togliendosi la soddisfazione di battere l'Argentina con un clamoroso 6-1.
Nonostante la prematura uscita sono in molti a vedere nella compagine cecoslovacca una realtà in ascesa e complessivamente futuribile, attesa quindi con interesse nelle successiva competizioni per nazionali.
Due anni dopo, nella prima edizione del Campionato Europeo, la Cecoslovacchia si arrende in semifinale all'URSS futura vincitrice, prendendosi la soddisfazione di battere nelle finale per il terzo e quarto posto la Francia padrona di casa. Quello che sembra un passo indietro o quantomeno il principio di uno stallo nella definitiva maturazione viene smentito ben presto
Nell'edizione del Mondiale del 1962, organizzata dal Cile, al timone della nazionale troviamo Rudolf Vytlačil, il quale implementa una generazione di calciatori quali lo stesso Popluhár, Josef Masopust, Adolf Scherer e Václav Mašek in grado di raggiungere la finale contro il Brasile.
Nell'atto conclusivo la Seleçao di Garrincha si dimostra molto più forte, imponendosi per 3-1, macchiando solo in parte l'ottima figura fatta dalla Cecoslovacchia, molto apprezzata per il gioco e la solidità dimostrata, in particolare dal suo elegante libero.



Quest'ultimo nel corso del torneo regala l'ennesima prova della sua sportività e della saldezza dei suoi principi morali: nel girone iniziale Cecoslovacchia e Brasile si affrontano in una partita terminata 0-0 con il numero 3 che arriva a fermare un'azione promettente per la propria squadra essendosi accorto di Pelè fermo a terra per infortunio.
Un simile gesto, meritevole quanto raro, gli varrà 35 anni più tardi il premio World Fair Play, a futura e duratura memoria della sua sportività.
L'apice toccato in terra cilena rappresenta anche l'inizio del declino, con la mancata qualificazione ai successivi tornei a confermare la calante tendenza; la cosa non riguarda però Popluhár, il quale sembra davvero non invecchiare mai e non sentire i segni della tante battaglie in campo.
Nel 1963 partecipa con il meglio del calcio mondiale al centenario per dell'English Football Association, venendo etichettato come uno dei migliori difensori centrali in circolazione, un vanto per tutta la nazione insieme a Svatopluk ed al Pallone d'Oro 1962 Masopust.
Entra in tal modo a far parte di quella formazione All Stars che girerà negli anni a seguire il mondo, richiamando sempre una gran cornice di pubblico; proprio in una di queste amichevoli, si toglie la soddisfazione di segnare un gran gol su punizione al Maracanà, sotto gli occhi del grande Pelè.
La stampa della sua nazione gli attribuisce il premio di giocatore dell'anno nel 1965, riconoscimento insolito per un difensore e davvero significativo del suo valore, dal momento che in tutti i contesti calcistici Cecoslovacchia rimanda immediatamente a Josef Masopust.
Dopo aver abbandonato la nazionale nel 1967, chiudendo con 62 presenze ed un gol, arriva anche il momenti di lasciare non solo l'amato Slovan Bratislava, ma anche la Cecoslovacchia: nel 1969, infatti accetta l'offerta dell'Olympique Lione, con la ferma intenzione di affermarsi anche nel campionato francese.
L'avventura con i Les Gones dura l'arco di un anno, ma a 35 anni la sua voglia di calcio non si è certo esaurita: decide infatti di andare in Austria dove a livello amatoriale, nel ruolo di allenatore-giocatore, dispensando sapienza calcistica fino alla veneranda età di 44 anni.



Nel 2000 riceve un ulteriore quanto prestigioso premio, venendo nominato giocatore slovacco del secolo, battendo la concorrenza di tanti campioni meritevoli di essere citati come tali a livello continentale.
Prima di morire, nel 2011, trova il tempo di dare ancora prova della propria fierezza e dei suoi principi, con una dichiarazione agrodolce, critica nei confronti del "nuovo" calcio:" Quand'ero al massimo della mia carriera le condizioni per un calciatore in Cecoslovacchia erano modeste, ma venivamo ripagati dallo spirito e dall'incredibile supporto del pubblico. Non sono sicuro che i calciatori di oggi siano disposti a ritornare alla mia epoca."
Mai banale come non lo era in campo, dove ha portato il ruolo di libero ad un'evoluzione definitiva, nuovamente aggiornata da altri fenomeni nel corso dei decenni successivi.



Giovanni Fasani


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