Nel 1922 uno dei più grandi portieri di sempre, El Divino Ricardo Zamora, abbandona il Barcellona per fare ritorno all'Espanyol, lasciando senza guardiano la porta della squadra campione di Spagna in carica.
Sembra a quel punto difficile trovare un sostituto all'altezza di quello che è ancora oggi una leggenda, ma, complice un'amichevole contro l'MTK Budapest, la dirigenza Blaugrana si imbatte in Franz Platko, impavido numero uno ungherese subito investito del ruolo di successore di Zamora.
In merito al suo nome va immediatamente specificato come lo possa trovare leggermente diverso, più precisamente nelle accezioni Ferenc e Francisco, a causa delle normative anagrafiche magiare e dei dettami del franchismo volti a rendere spagnoli i nomi ne hanno cambiato i caratteri.
La sua carriera inizia nella natia Budapest, salvo espandersi anche la di fuori dei confini ungheresi, come dimostrano le esperienza in Austria (al Wiener AF) ed addirittura in Serbia dover svolge temporaneamente il ruolo di allenatore-giocatore per il KAFK.
Tecnicamente si forma nel Vasas si Budapest, ma la svolta per la sua carriera, ma anche se non soprattutto per la sua vita, avviene con il passaggio all'MTK Budapest nel 1921.
E' proprio a difesa della formazione biancoblu che ha l'opportunità di sfidare il Barcellona in una doppia amichevole nel 1923, mantenendo con parate sensazionali la porta inviolata in entrambe le sfide.
Le sue prestazioni inducono il Barça a tesserarlo immediatamente, consegnandogli quella maglia nera che rappresenta un eredità tanto prestigiosa quanto pesante.
La possibilità di cimentarsi in un calcio nuovo e la garanzia di un lauto salario lo induce ad accettare tale compito, dovendo però di fatto rinunciare alla nazionale ungherese: con quest'ultima aveva esordito a soli 19 anni in un match contro l'Austria, imponendosi come titolare nelle amichevoli precedenti il suo trasferimento in Spagna.
Come compagni di Spagna trova elementi quali Emilio Sagi Liñán, meglio noto come Sagibarba, Josep Planas,Josep Samitier, il centrocampista Sancho ed il fenomeno di nazionalità filippina Paulino Alcántara. senza dubbio tra i migliori giocatori del continente.
Insieme a talenti di questo livello forma una squadra che si impone come la migliore della Catalogna, come dimostrano i sei campionati vinti in tale contesto durante i setti anni di permanenza con il Barcellona.
A livello nazionale la squadra non ha mai vinto il campionato e per quanto riguarda i successi nella Coppa di Spagna essi ammontano a cinque, a conferma come sia atteso un deciso salto di qualità.
Grazie anche alle parate di Platko il Barça si impone tre volte nella coppa nazionale, con l'ultima affermazione salita aglio onori sportivi e letterari proprio grazie al portiere magiaro.
Nella sfida finale contro la Real Sociedad le sue parate ed il suo coraggio inducono il poeta Rafael Alberti a dedicargli un componimento, intitolato appunto Oda a Platko:
Ni el mar,
que frente a ti saltaba sin poder defenderte.
Ni la lluvia. Ni el viento, que era el que más rugía.
Ni el mar, ni el viento, Platko,
rubio Platko de sangre,
guardameta en el polvo,
pararrayos.
No nadie, nadie, nadie.
Camisetas azules y blancas, sobre el aire.
Camisetas reales,
contrarias, contra ti, volando y arrastrándote.
Platko, Platko lejano,
rubio Platko tronchado,
tigre ardiente en la yerba de otro país.
¡ Tú, llave, Platko, tu llave rota,
llave áurea caída ante el pórtico áureo !
No nadie, nadie, nadie,
nadie se olvida, Platko.
Volvió su espalda al cielo.
Camisetas azules y granas flamearon,
apagadas sin viento.
El mar, vueltos los ojos,
se tumbó y nada dijo.
Sangrando en los ojales,
sangrando por ti, Platko,
por ti, sangre de Hungría,
sin tu sangre, tu impulso, tu parada, tu salto
temieron las insignias.
No nadie, Platko, nadie,
nadie se olvida.
Fue la vuelta del mar.
Fueron diez rápidas banderas
incendiadas sin freno.
Fue la vuelta del viento.
La vuelta al corazón de la esperanza.
Fue tu vuelta.
Azul heróico y grana,
mando el aire en las venas.
Alas, alas celestes y blancas,
rotas alas, combatidas, sin plumas,
escalaron la yerba.
Y el aire tuvo piernas,
tronco, brazos, cabeza.
¡ Y todo por ti, Platko,
rubio Platko de Hungría !
Y en tu honor, por tu vuelta,
porque volviste el pulso perdido a la pelea,
en el arco contrario al viento abrió una brecha.
Nadie, nadie se olvida.
El cielo, el mar, la lluvia lo recuerdan.
Las insignias.
Las doradas insignias, flores de los ojales,
cerradas, por ti abiertas.
No nadie, nadie, nadie,
nadie se olvida, Platko.
Ni el final: tu salida,
oso rubio de sangre,
desmayada bandera en hombros por el campo.
¡ Oh, Platko, Platko, Platko
tú, tan lejos de Hungría !
¿ Qué mar hubiera sido capaz de no llorarte ?
Nadie, nadie se olvida,
no, nadie, nadie, nadie.
que frente a ti saltaba sin poder defenderte.
Ni la lluvia. Ni el viento, que era el que más rugía.
Ni el mar, ni el viento, Platko,
rubio Platko de sangre,
guardameta en el polvo,
pararrayos.
No nadie, nadie, nadie.
Camisetas azules y blancas, sobre el aire.
Camisetas reales,
contrarias, contra ti, volando y arrastrándote.
Platko, Platko lejano,
rubio Platko tronchado,
tigre ardiente en la yerba de otro país.
¡ Tú, llave, Platko, tu llave rota,
llave áurea caída ante el pórtico áureo !
No nadie, nadie, nadie,
nadie se olvida, Platko.
Volvió su espalda al cielo.
Camisetas azules y granas flamearon,
apagadas sin viento.
El mar, vueltos los ojos,
se tumbó y nada dijo.
Sangrando en los ojales,
sangrando por ti, Platko,
por ti, sangre de Hungría,
sin tu sangre, tu impulso, tu parada, tu salto
temieron las insignias.
No nadie, Platko, nadie,
nadie se olvida.
Fue la vuelta del mar.
Fueron diez rápidas banderas
incendiadas sin freno.
Fue la vuelta del viento.
La vuelta al corazón de la esperanza.
Fue tu vuelta.
Azul heróico y grana,
mando el aire en las venas.
Alas, alas celestes y blancas,
rotas alas, combatidas, sin plumas,
escalaron la yerba.
Y el aire tuvo piernas,
tronco, brazos, cabeza.
¡ Y todo por ti, Platko,
rubio Platko de Hungría !
Y en tu honor, por tu vuelta,
porque volviste el pulso perdido a la pelea,
en el arco contrario al viento abrió una brecha.
Nadie, nadie se olvida.
El cielo, el mar, la lluvia lo recuerdan.
Las insignias.
Las doradas insignias, flores de los ojales,
cerradas, por ti abiertas.
No nadie, nadie, nadie,
nadie se olvida, Platko.
Ni el final: tu salida,
oso rubio de sangre,
desmayada bandera en hombros por el campo.
¡ Oh, Platko, Platko, Platko
tú, tan lejos de Hungría !
¿ Qué mar hubiera sido capaz de no llorarte ?
Nadie, nadie se olvida,
no, nadie, nadie, nadie.
La ode sopra riportata viene pubblicata il 27 maggio del 1928 sul quotidiano "La Voz de Cantabira", contribuendo a conferire a Platko meriti ben superiori a quelli attribuibili ad un semplice portiere.
Sono molti i riferimenti ad una sfida tra una squadra legata alla monarchia ed una radicata al contesto catalano, con il prode Platko visto come baluardo della fazione repubblicano contro gli attacchi dei fedeli al contesto monarchico.
La sua prestazione è davvero eroica, dal momento che gettandosi con la solita spavalderia sui piedi dell'attaccante della Real Sociedad Cholin si procura sei punti di sutura alla testa, mettendo in dubbio la possibilità di proseguire la contesa: Platko non è però persona da farsi impressionare per un po' di sangue e dopo essersi fatto applicare i punti necessari ed essere agghindato con un vistoso turbante di bende conclude la partita.
Proprio durante le tre sfide, sono infatti necessarie due ripetizioni per decretare il vincitore, Alberti conia il soprannome di Oso Rubio, vale a dire Orso Biondo, a conferma di come le sue temerarie gesta tra i pali siano state decisive per il successo finale del Barcellona.
Nella successiva stagione gli uomini di Romà Forns si impongono per la prima volta in campionato, precedendo di soli due punti gli atavici rivali del Real Madrid, in un momento nel quale i venti della futura guerra civile inizialmente a spirare.
La carriera dell'ormai noto Oso Rubio si avvia verso la fine, come certifica il suo trasferimento al Ricreativo Huelva nel 1930, atto che sembra conclusivo del proprio percorso agonistico.
Che sia un personaggio sui generis lo dimostra diventando un allenatore "nomade", disposto a cambiare stato e continente a seconda della richiesta pervenuta: allenerà infatti in Svizzera, Francia, Spagna, Romania, Polona, Inghilterra, Argentina e Cile, raccogliendo importanti affermazioni soprattutto sulla panchina del Colo Colo, condotto alla vittoria di tre campionati.
Il Cile diventa la sua dimora fissa nella parte finale della sua vita ed il giorno della sua morte, il 2 settembre 1983, sono in tanti a rendere omaggio al sua carisma ed alla sue doti di allenatore. Significativo in tal senso è la decisione della dirigenza di spostare le sue spoglie al museo Los Viejos Cracks del Colo Colo, nell'ambito della celebrazioni per i 90 anni del club di Santiago.
In Spagna, soprattutto a Barcellona, il suo ricordo concerne le grandi parate con le quali si è imposto come uno dei portiere più forti della sua epoca, con la poesia di Alberti a decretarne l'immortalità non solo sportiva.
El Divino Zamora è probabilmente ineguagliabile, ma quanti possono dire di avere una poesia dedicata al proprio coraggio ed alla propria abilità?
Giovanni Fasani
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