sabato 13 gennaio 2018

GRABOWSKI, LA CLASSE OPERAIA VA IN PARADISO

Il nostro gusto estetico ci costringe sovente a destinare la nostra ammirazione per i giocatori tecnici, finendo per venire ammaliati dalla giocate di classe, trascurando allo stesso tempo il contributo quantitativo dei "gregari".
Prendiamo volentieri in prestito dal ciclismo tale termine per descrivere un contesto calcistico relativo a quei calciatori in grado di correre e sgobbare per i compagni, finendo per ricevere solo in minima parte gli onori che i copiosi oneri meriterebbero.
La storia del calcio è sì piena di fuoriclasse, ma è altresì densa di giocatori dalla grande ed inesauribile corsa, dalla ferrea tenacia e dalla generosità praticamente infinita.
Tra i tanti e meritevoli esempi in tal senso, uno dei più completi è sicuramente Jürgen Grabowski, esterno offensivo inesauribile, nonché dotato di acume tattico ed ottima tecnica.
 

Nato in Germania Ovest, precisamente a Wiesbaden, dimostra sin da subito doti fisico/atletiche eccezionali, in particolare per quando riguarda l'attività podistica dove mette in mostra una resistenza allo sforzo sorprendente.
Tali caratteristiche si sposano al meglio con la sua passione per il calcio, al quale comincia a giocare in tenera età, quando le suddette doti ed un particolare estro lo segnalano come una potenziale promessa.
La sua crescita calcistica avviene inizialmente nell'FV Biebrich 02, dove gioca nel ruolo di attaccante, grazie all'eccelsa velocità che lo rende difficilmente contenibile dalla difese avversarie.
La sua definitiva maturazione si realizza nell'EIntracht Francoforte, squadra di buon livello in Germania con un titolo vinto nel 1959, da sempre considerata come uno dei migliori vivai del paese, al quale attinge per lanciare potenziali campioni in prima squadra.
Grabowski completa la trafila a livello di giovanile, arrivando ad esordire in campionato a 21 anni nel 1965,  per merito dell'allenatore Alexandru "Elek" Schwartz, il primo a credere fermamente nelle sue doti e ad indottrinarlo verso una pozione più esterna in campo. 
Nel corso di una carriera durata 15 anni non cambierà mai casacca, restando fedele alla Diva vom Main, "tradendola" solamente per indossare la maglia della nazionale tedesca.

Nel suo processo di maturazione affina un'ottima tecnica di base, che gli permette di interpretare il ruolo di ala in modo completo, consentendogli di effettuare giocate personali così come di imbeccare gli attaccanti.
La sua interpretazione, però, è davvero personale e moderna, dal momento che mette in mostra movimenti e competenze ben diverse dalla tipica ala di stampo britannico.
Se quest'ultima gioca quasi prevalentemente con i piedi sulla linea laterale, Grabowski sposta il suo raggio di azione introducendo tagli centrali, in modo da sorprendere la difesa avversaria, creando forte imprevedibilità.
Nel corso del tempo l'evoluzione riguarderà anche il suo look, che passerà dal viso sbarbato degli esordi a quello caratterizzato dai folti baffi che l'accompagneranno per il resto della carriera.


 
Non è raro vederlo accentarsi in fase di costruzione della manovra, quasi a fungere da centrocampista, liberando di fatto la corsia all'esterno basso, costringendo il terzino avversario a seguirlo in un'innaturale posizione centrale.
Potremmo parlare in teoria di una mezzala, nonostante la sua attinenza principale rimanga la fascia, dalla quale di distacca solamente per fini tattici o per sfruttare particolari vulnerabilità avversarie al centro.
Il suo ambito di azione è prevalentemente la corsia di destra, ma è molto abile in quella opposta, tanto che lo si può vedere spostarsi più volte nel corso di una match da un out all'altro.
Non è raro trovare il suo nome tra i marcatori ed i 109 gol segnati in 441 partite in Bundesliga ne rappresentano una più che valida prova, nonché una effettiva dimostrazione delle sue doti tecniche. A tal proposito basta dare un'occhiata a questa realizzazione contro il Bayern Monaco:



La sua sapienza tattica si perfeziona con quelle doti atletiche che implementa nel tempo, tanto da meritarsi la convocazione in nazionale già del 1966, anno nel quale viene anche inserito nei 22 convocati per il Mondiale.
Durante la rassegna non ha modo di scendere in campo, vedendo dalla tribuna la sconfitta in finale della Germania Ovest contro i padroni di casa dell'Inghilterra, nella partita passata alla storia per il "gol non gol" di Geoff Hurst.
La ribalta internazionale la trova con la squadra di club, attraverso il torneo della Coppa delle Fiere, alla quale l'Eintracht partecipa con risultati mediocri alla fine degli anni'60 ed all'inizio degli anni'70.
Parallelamente continua in suo rapporto con la nazionale, dalla quale viene convocato con costanza e con la quale nel 1970 vola in Messico per la nona edizione del campionato mondiale.


Il commissario tecnico Helmut Schön non lo schiera nelle prime quattro partite, ma decide di puntare su di lui in quella che passerà alla storia come la Partita del Secolo, vale a dire la semifinale contro l'Italia.
Nonostante la sconfitta Grabowski si mette in mostra a livello internazionale per quella resistenza che sembra quasi disumana a quell'altezza e con quelle condizioni climatiche.
In effetti la partita potrebbe essere la "sua" partita se non fosse subentrata la pirotecnica sconfitta della Germania per 4-3, che consegna la stella alla storia per altri motivi, lasciando la sua eccelsa prestazione in secondo piano.
La sua immagine che corre senza sosta sulla fascia è però una delle più emblematiche della sfida, in grado da sola di rendere al meglio in che clima le due squadra si sono sfidate per 120 minuti (l'Italia pagherà lo sforzo crollando nella finale contro un comunque superiore Brasile).
L'eco di tale fama gli permetterebbe di cambiare squadra di club, ma il suo affetto per l'Eintracht e le prevedibili proteste dei tifosi rendono inattuabile il suo trasferimento.
Tale scelta non gli permette di ambire a quelle vittorie che i compagni di squadra iniziano ad inanellare, soprattutto il Bayern Monaco, che all'inizio degli anni'70 domina la scena europea
Nel 1972 fa parte della rosa che in Belgio ottiene la vittoria dell'Europeo, limitando però la sua partecipazione ai 31 minuti giocati in semifinale contro i padroni di casa.
Al suo posto viene preferito Josef "Jupp" Heynckes, giocatore dalla caratteristiche più offensive che ben si amalgama in una squadra che riesce a rifornire al meglio il cannoniere Gerd Müller, grande artefice del successo.
Per Grabowski c'è la grande soddisfazione di mettere in bacheca il primo trofeo da professionista, gettando, per lui e per la sua nazionale, le basi per vincere anche nel successivo Mondiale giocato proprio nella Germania Ovest.
Quest'ultima è una delle favorite della vigilia e punta fortemente sulle capacità offensive dell'Eintracht Francorte, dal momento che sono proprio Grabowski ed il compagno Bernd Hölzenbein a supportare il "solito" Müller.




La partenza non è sicuramente delle migliori dal momento che nel girone la squadra ospitante perde inopinatamente un leggendario derby contro la Germania Est, a causa del celebre gol di Jürgen Sparwasser al 78° minuto.
Da quella che appare come un'onta o quantomeno una cattiva avvisaglia gli uomini di Schön traggono la linfa necessaria per cambiare decisamente passo, vincendo tutte e  tre le partite del secondo girone, contro Polonia, Jugoslavia e Svezia.
Nel successo per 4-2 contro gli scandinavi va segno anche Grabowski, autore del terzo gol che determina il definitivo sorpasso tedesco.




Nella finale di Monaco l'avversario da battere è la spumeggiante Olanda di Johan Cruijff, la quale con l'introduzione del leggendario "calcio totale" sta incantando tutto il mondo, introducendo una visione del calcio innovativa e fondamentale per l'evoluzione futura.
La partita si mette malissimo per i tedeschi, in quanto dopo un minuto e senza far toccare palla agli avversaria, l'Arancia Meccanica passa in vantaggio con un rigore di Neeskens.
La Germania Ovest ha il merito di non disunirsi e grazie alla solidità ed al pragmatismo dei quali dispone riesce già nel primo tempo a ribaltare il risultato.
Grabowski e compagni reggono l'urto nella seconda frazione, mettendo in mostra una comprovata sapienza tattica e tanta corsa, fondamentali per la vittoria del titolo.
Il giocatore dell'Eintracht raggiunge a 30 anni l'apice della sua carriera, in un'annata che lo aveva precedentemente visto ottenere il primo titolo in Germania, vincendo la coppa nazionale nella finale contro l'Amburgo.
La finale con l'Olanda è l'ultima partita giocata con la maglia della nazionale, che lascia dopo 44 partite e 5 gol. La mancanza di un sistema GPS non consente di calcolarne i chilometri percorsi, ma la cifra sarebbe sicuramente altisonante....
L'eco dei successi del 1974 ha uno strascico nella stagione successiva, quando la compagine rossonera fa il bis nella Coppa di Germania, regolando in finale il Duisburg.
Tale successo permette l'accesso alla successiva Coppa delle Coppe, giocata alla grande dagli uomini di Dietrich Wiese, eliminati solo in semifinale dal West Ham.
Da quel momento per Grabowski sempre iniziare un'inevitabile parte finale di carriera, laddove un fisiologico decremento della condizione fisica viene in parte mitigata da una maggiore sapienza tattica.
I risultati di squadra non si elevano oltre la normalità fino al 1980, quando, dopo una grande cavalcata gli uomini guidata stavolta Jupp Heynckes (proprio l'uomo che giocò al posto di Grabowski l'Europeo 1972) vincono la Coppa Uefa.
La vittoria rappresenta una grandissima soddisfazione per tutto il popolo Die Adler, ma viene vissuta in modo parziale da Grabowski, il quale non può disputare l'atto finale contro il Borussia Mönchengladbach a causa di un precedente infortunio del 15 marzo.
Il caso vuole che a provocargli il brutto incidente è proprio un giocatore del Borussia Mönchengladbach, un giovane Lothar Matthäus, il quale con un'entrate assassina in una partita di campionato lo appieda per il resto della stagione e ne mina il proseguimento della carriera.


Non sarà lui, ormai capitano da tempo, ad alzare il tanto bramato trofeo, ma il suo nome verrà comunque ricordato come componente della formazione vincitrice del massimo successo del club, accanto all'inseparabile amico Hölzenbein, ad Harald Karger, a Karl-Heinz Körbel, all'austriaco Bruno Pezzey ed al coreano Cha-Bum-Kun.
I postumi dell'infortunio mettono fine alla lunga carriera, lasciando nei ricordi di ogni appassionato la figura di un vero campione, per continuità. per completezza e per interpretazione di un ruolo a volte troppo stereotipato.
Ogni qual volta ci si trova a commentare un calciatore dalla resistenza infinita no si può non pensare " sembra proprio un Jürgen Grabowski".








Giovanni Fasani 
 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.