domenica 5 novembre 2017

DINO DA COSTA

I magnifici tifosi del Botafogo sono universalmente ammirati ed invidiati per avere avuto la possibilità di bearsi della giocate del grande Garrincha per ben  dodici anni, applaudendo un autentico fuoriclasse dal dribbling incontenibile.
In molti ancora oggi ritengono il piccolo Manè addirittura superiore all'icona Pelè, attribuendogli quella nomea di leggenda che la sregolata vita e la  candida spontaneità hanno alimentato nel tempo.
All'inizio degli anni'50 la prodigiosa ala brasiliana viene affiancata da altri due notevoli giocatori, diversi per caratteristiche, ma con in comune il futuro nel campionato italiano.
La punta centrale è Luis Vinicio, micidiale attaccante protagonista con più squadra nel nostro campionato, dove arriva a realizzare 155 complessivamente.
L'altro componente del tridente è una mezzapunta dalla falcata ampia e dalla tecnica sublime, teoricamente impiegabile come esterno destro, ma praticamente a sua agio in ogni zona del campo.
Stiamo parlando di Dino Da Costa, talento purissimo ritenuto con ragione uno dei giocatori più completi ad aver giocato nel nostro campionato.




Con la maglia bianconera del Botafogo fa il suo esordio nel 1951 a vent'anni, anche se il suo nome viene preso in considerazione per la prima squadra già da qualche anno.
Per la famiglia la possibilità di aver un componente calciatore professionista è una benedizione, dal momento che le difficoltà a sfamare sette figli sono fortissime.
Sin dalle prime partite il suo spunto appare irresistibile, tanto da finire ben presto sul taccuino di molti osservatori, piacevolmente colpiti dall'apparente facilità con la quale effettua qualsiasi giocata.
Pur partendo da una posizione lontana dalla porta, Da Costa trova la via della rete con buona continuità, arrivando a vincere la classifica cannonieri del Campionato Carioca del 1954 con 24 gol in 26 partite.
Considerate tutte le competizioni le statistiche riportano un totale di 144 reti realizzate dal 1951 al 1955, sono in effetti numeri da centravanti più che da mezzapunta, a dimostrazione di una capacità realizzativa sbalorditiva.
Nel 1955 il Botafogo effettua una tournèe in Italia, dove gli osservatori della Roma rimangono folgorati dal talento di Da Costa, tanto da presentare alla squadra brasiliana una ricca offerta.
La trattativa va a buon fine e l'asso brasiliano arriva a disposizione del tecnico ungherese György Sárosi, allenatore di una squadra ambiziosa che vede tra gli altri l'asso uruguaiano Alcides Ghiggia , il fuoriclasse apolide Istvan Nyers e la prolifica punta Carlo Galli.
Con questi ultimi Da Costa è chiamato a comporre un reparto offensivo dove non mancano sicuramente talento e doti tecniche.




Nella partita d'esordio la compagine giallorossa si impone in casa per 4-1 contro il Vicenza, mettendo in mostra tutto il suo potenziale offensivo; in tale incontro va in rete anche Da Costa, dimostratosi subito a suo agio al cospetto nel nuovo campionato.
Nonostante i favori della vigilia, il reparto offensivo non si conferma così realizzativo per tutto il campionato, tanto che il miglior realizzatore risulta proprio essere il brasiliano con 12 reti.
La stagione successiva è addirittura peggiore per la squadra di Sarosi, che si classifica  quattordicesima, ben lontana dal quarto posto ottenuto in quella precedente.
La delusione per il pessimo piazzamento viene in parte mitigata dal perfetto affiatamento tra Da Costa ed il nuovo partner d'attacco, il Pompiere Gunnar Nordahl.
Quest'ultimo si dimostra l'elemento perfetto per aprire invitanti spazi per il brasiliano, abile a sfruttarli perfettamente arrivando a segnare ben 22 reti, che lo rendono il capocannoniere del campionato.
Molte della sua segnatura arrivano dopo ficcanti penetrazioni concluse con precisi e secchi tiri, principalmente scagliati con il piede sinistro, anche se risulta efficacissimo anche con il destro.



In molte partite appare letteralmente immarcabile, confermando tale impressione anche nell'annata successiva dove segna in totale 23 reti (19 in campionato), sostenendo da solo il peso dell'attacco privato per motivi fisici ed anagrafici del contributo di Nordahl e del rientrante Ghiggia.
La stagione 1957/1958 lo vede ancora nelle vesti di trascinatore di una squadra che non riesce ad elevarsi oltre il sesto posto, dimostrando  una certa difficoltà a trovare con continuità la via della rete.
Da Costa segna 15 reti in campionato e 3 nella Coppa della Fiere, mettendosi ancora in luca come top scorer della squadra giallorossa.
Ormai tutta la penisola lo considera uno dei migliori giocatori del campionato e l'attenta federazione italiana non esita a proporlo per la nazionale, sfruttando le radici italiche della sua famiglia.
L'esordio avviene nella partita più importante per l'Italia in quell' anno, vale a dire la sfida con l'Irlanda del Nord decisiva per l'accesso al Mondiale in Svezia.
La nazionale allenata da Alfredo Foni viene clamorosamente sconfitta per 2-1 a Belfast, con Da Costa che accorcia inutilmente le distanze al 56° minuto.




Stampa e appassionati si scagliano pesantemente contro commissario tecnico e giocatori e sull'onda del risentimento, le seguenti gestioni tecniche non lo prenderanno più in considerazione; paradossalmente, nonostante sia un campione affermato e stimato, quella con l'Irlanda del Nord resterà la sua prima ed unica partita giocata in maglia azzurra.
Le soddisfazioni sono poche anche con la maglia giallorossa, dal momento che nelle due seguenti stagioni la squadra ottiene un sesto ed un nono posto: in particolar modo la stagione 1959/1960 è negativa anche per Da Costa, il quale scende in campo solamente 17 volte segnando in due occasioni.
La presenza di attaccanti quali Pedro "Piedone" Manfredini e di Arne Salmosson inducono la dirigenza romanista a prendere in considerazione di privarsi dell'italo-brasiliano, ritenendolo ormai in una fase calante della carriera.
I tifosi restano sconvolti da tale prospettiva, un quanto Da Costa è ormai un idolo, soprattutto per la sua abitudine nel segnare nei derby contro la Lazio, da sempre la partita più sentita ed importante della capitale.




A tal proposito va ricordato come ancora oggi detenga il record di gol segnati nella stracittadina, ben 12, dei quali 9 in campionato e 3 in Coppa Italia.
All'appello manca una rete realizzata nel 1960, considerata dagli statistici come autorete di Janich, ma che il giocator ritiene essere sua a tutti gli effetti.
E' così spiegato lo sgomento della tifoseria alla notizia della sua cessione alla Fiorentina, seppur con la formula del prestito per una stagione.
La reazione del giocatore all'inaspettata cessione è al tempo stesso un esempio di professionalità e di carattere: impiegato come attaccante in un tridente con Kurt Hamrin e Gianfranco Petris, Da Costa contribuisce al meglio alla conquista della Coppa Italia e della Coppa delle Coppe , ottenendo così i primi trofei della sua esperienza italiana.
Nel 1961 ritorna alla Roma, ma la sua nuova esperienza nella capitale dura lo spazio di 5 partite, prima di essere ceduto a titolo definitivo all'Atalanta.





Lascia la Roma dopo 163 presenze 76 reti complessive, numeri notevoli che però riassumono solamente in parte il suo valore, impresso nelle menti dei tifosi romanisti grazie alla infinite giocate regalate in sei anni.

Arrivato a Bergamo gioca un ottimo spezzone di stagione (6 reti in 18 partite di campionato), ponendo le basi per quella successiva, indimenticabile per ogni sostenitore orobico.
I nerazzurri, infatti, vincono  la loro prima e finora unica Coppa Italia, battendo in finale il Torino con una tripletta di Angelo Domenghini.
L'ex romanista è decisivo con le sue reti nei turni precedenti a Como, Padova e soprattutto Bari in semifinale, dimostrando ai critici di poter ancora essere decisivo a trentadue anni.
Di tale aspetto di accorge la Juve, che decide di mettere a disposizione la sua qualità e la sua esperienza al nuovo allenatore, il brasiliano Amaral.




Sulla carta dovrebbe fungere da preziosa alternativa a Nenè o Zigoni, ma in pratica si trova a giocare in più ruoli, compreso quello inedito di mediano.
In una stagione tribolata, che vede la Juve cambiare tre allenatori, inizia a patire di qualche malanno fisico, arrivando a saltare qualche partita.
Il pubblico e la società bianconera ne apprezzano l'impegno e l'utilità, doti essenziali per la sua conferma per l'annata successiva, agli ordini dell'allenatore paraguaiano Heriberto Herrera.
Quest'ultimo, fanatico della preparazione fisica, introduce quello che lui chiama Movimiento, vale a dire un sistema di gioco dove tutta la squadra partecipa alla fase difensiva, attraverso un pressing continuo e l'abolizione dei singoli ruoli, chiedendo in tal senso l'assorbimento di precisi movimenti sul campo.
A Da Costa chiede di giocare come centrocampista, sfruttandone in tal senso la tecnica di base e la sagacia tattica, che lo rendono un ottimo base di partenza per la costruzione della manovra.
In campionato l squadra arriva quarta, ma riesce ad imporsi in Coppa Italia, battendo in finale l'Inter con un gol di Menichelli.
La squadra bianconera arriva anche in finale di Coppa delle Fiere, arrendendosi solamente al forte Ferencvaros per 1-0.
La stagione successiva è l'ultima di Da Costa con la maglia della Juve, da lui spesa con la consueta disponibilità ed il solito contributo di classe al servizio dei compagni.
Chiude la sua esperienza a Torino dopo 51 partite ed 11 gol nel solo campionato, lasciando un ottimo ricordo agli spettatori del Comunale, ma denotando una condizione fisica via via sempre più carente.
Incurante di tale aspetto continua la sua carriera in Italia in Seria B, con le maglie di Verona ed Ascoli, mostrando solamente a sprazzi quelle giocate che ad inizio carriera lo avevano giustamente eletto ad eccelso campione.





Tutta l'Italia calcistica lo ricorda in tale modo, avendo avuto la possibilità di ammirare un campione dal profilo tecnico completo e dalla professionalità irreprensibile.

Per i romanisti resterà per sempre l'uomo del derby, appellativo che il giocatore ha sempre apprezzato, rivendicando come sua no solo la famosa autorete attribuita a Janich, ma anche un gol realizzato in una partita tra vecchie glorie: "Altro che 12 o 13. Io alla Lazio ho segnato 14 gol e senza rigori. L'ultima volta ho fatto gol a Lovati in una partita di vecchie glorie a Frascati. E lui se n'è andato "
I 108 gol segnati in campionato lo inseriscono nel prestigioso club dei "centenari", accanto all'eccellenza calcistica del nostro paese, ma crediamo che il valore di Da Costa vada addirittura oltre tale dato statistico.
Nel rettangolo di gioco ha saputo coniugare le tecnica tipica brasiliana con la perizia tattica e la capacità di fare davvero la differenza in ogni zona dello stesso.
Forse gli unici detrattori potremmo trovarli nella frangia biancoceleste della capitale...




Giovanni Fasani




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