martedì 6 ottobre 2015

IL PERUVIANO DI FUOCO

Nel 1962 i tifosi del Milan vedono approdare nel capoluogo lombardo un giocatore proveniente dal Perù, appena acquistato dalla squadra argentina del Boca Juniors.
Il pubblico italiano è ormai avvezzo all'arrivo di calciatori sudamericani, essendo diffusa la tendenza di acquistare, da detto ambito, prolifici attaccanti o raffinati giocolieri.
Tuttavia la dirigenza rossonera decide di tesserare un calciatore dalle caratteristiche completamenti differenti, un centrocampista difensivo tignoso, versatile e dalla grande intelligenza tattica.
Tra lo stupore ed un iniziale scetticismo la squadra allenata da Nereo Rocco accoglie tra le proprie fila Victor Benitez, destinato ad intraprendere una fulgida carriera nel campionato italiano.


Nell'estate del suddetto anno la dirigenza rossonera è alle prese con il caso di Josè Germano, attaccante brasiliano molto più noto per le sue vicende sentimentali che per il rendimento in campo.

Per ovviare a tale situazione, l'allenatore triestino opta per avallare la cessione di Germano al Genoa e per inserire nella lista del campionato proprio Benitez, inizialmente considerato solo come lo straniero in più da schierare nelle coppe europee (così come prevedeva il regolamento).
Nel contesto sudamericano il calciatore del Boca Juniors è molto apprezzato, tanto da essere stato un elemento importante per la conquista del campionato argentino del 1962.
Già in precedenza con l'Alianza Lima si era reso protagonista di ottime stagioni, dove si era distinto come un abile mediano e dove aveva vinto due volte il campionato peruviano.
L'aver abbandonato il Perù gli costa l'esclusione dal contesto della nazionale, per la quale gioca solo 11 partite fino al 1959, anno nel quale accetta l'offerta del Boca Juniors.
Rocco apprezza la serietà e l'atteggiamento di Benitez e ne esalta al massimo la grande attitudine difensiva, impostandolo con continuità anche come marcatore.
Sul campo il calciatore denota un grande spirito combattivo ed una grande vitalità, che gli permette di tenera testa a qualsiasi tipo di avversario.
Il pubblico di fede milanista prende subito in simpatia questo sudamericano dal carattere arcigno e dall'impegno costante e gli attribuisce il soprannome di Baltosecco.
Tale nomignolo si associa a quello da lui avuto appena arrivato, vale a dire Peruviano di Fuoco, retaggio delle sue esperienze in Sudamerica.
Non siamo di fronte al classico "portatore d'acqua", ma ad una calciatore completo che, conscio dei suoi limiti, ben si presta ad ogni fase, specializzandosi ottimamente in quella di contenimento.
La sua lucidità tattica unita al grande dinamismo lo rendono un elemento importante per la squadra, tanto da essere schierato titolare nella finale di Coppa Campioni contro il Benfica del 1963.
Benitez deve occuparsi di Eusebio e le cose si mettono subito male, quando la Pantera Nera supera in velocità il giocatore peruviano e batte Cudicini al 18°minuto.
Quello che sembra l'inizio di un clamoroso sbandamento si trasforma in una perfetta dimostrazione di saggezza tattica: Benitez e Trapattoni si scambiano gli uomini da marcare, con il peruviano che passa ad occuparsi di Torres, limitando al meglio la sua proverbiale fisicità.
La mossa si rivela vincente ed il nuovo assetto difensivo garantisce la giusta stabilità, permettendo ad Altafini di realizzare la doppietta che consegna la prima Coppa dei Campioni al Milan.
Al termine della stagione Nereo Rocco va a sedersi sulla panchina del Torino ed il successivo allenatore Carnaglia gli concede progressivamente meno spazio, tanto che nel febbraio del 1964 si trasferisce in prestito al Messina.
In Sicilia gioca una parte di stagione ad altissimi livelli, contribuendo anche con tre gol alla salvezza della squadra giallorossa.
Benitez ha una grande personalità e diventa il grande trascinatore della squadra, ponendosi con acume come una sorta di allenatore in campo.
Rientra al Milan per un'altra positiva stagione, nonostante la squadra si faccia rimontare nelle ultime giornate dall'Inter per la vittoria dello Scudetto.
In panchina siede Nils Liedholm che non lo considera parte integrante del suo successivo progetto, nonostante Benitez sia uno dei più positivi della squadra.
Tale epilogo mette la parola fine anche alla sua esperienza a Milano e nel 1965 passa alla Roma, dove però gioca solo 10 partite, lasciando qualche dubbio sulla sua integrità fisica.
Tali dubbi vengono dissipati nella stagione 1966/1967 dove gioca un'eccellente stagione con la maglia del Venezia, pur non riuscendo ad evitare la retrocessione dei lagunari.
Durante tale annata segna anche 6 reti in campionato, la metà delle quali su calcio di rigore; a riprova della grande personalità e dell'importanza da lui avuta in tale contesto viene anche nominato capitano della squadra.
Nel 1967 cambia nuovamente maglia e si trasferisce all'Inter, dove gioca solamente 8 gare di campionato segnando un gol.
Siccome il calcio è uno sport particolare, tale marcatura la segna proprio contro il Milan, prendendosi una sorta di personale rivincita nella partita più sentita da tutto l'ambiente milanese.

L'avventura con la compagine nerazzurra termina nel giugno del 1968, anno nel quale ritorna alla Roma, con la quale vince la Coppa Italia 1968/1969, suo primo trofeo italiano ed ultimo in ordine di tempo.


Ormai relegato al ruolo di riserva, nel 1970 decide di rientrare in patria per giocare tre stagioni nello Sporting Cristal, dove vince il campionato nel 1972.
Tante volte la qualità di un calciatore risiede anche nel giocare in modo semplice e nella puntigliosità con la quale si ricopre un determinato ruolo.
Da questo punto di vista Victor Benitez è sicuramente un grande calciatore, ben consci di essere comunque lontani dal concetto di fenomeno.
L'essersi meritato la fiducia di un grande tattico come Nereo Rocco dimostra quanto la sua dimensione tecnico-tattica meriti visibilità ed il rispetto che si è guadagnato con il passare del tempo.
Senza concedere spazio a fronzoli o tecnicismi, Victor Benitez si è imposto come uno dei centrocampisti arretrati più completi del periodo, in una nazione che ha sempre fatto dell'impostazione difensiva un'importante risorsa.


Giovanni Fasani

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