sabato 26 novembre 2016

ANCHE IL GHANA HA IL SUO JAIRZINHO

Nell'eterogeneo panorama calcistico africano il Ghana rappresenta una della componenti più spettacolari e tecniche, tanto da essere soprannominato il "Brasile d'Africa".
L'elenco dei giocatori che si sono imposti anche in un contesto internazionale sarebbe molto lungo, soprattutto negli anni recenti: negli anni 80 e 90 le Stelle Nere vivevano sul dualismo interno tra Anthony Yeboah ed Abedi Pelè, mentre nel Mondiale 2010 sfioravano un clamoroso e storico accesso alle semifinali, perdendo solamente ai calci di rigore contro l'Uruguay.
In quest'ultima manifestazione sono prevalentemente le gesta di Asamoah Gyan a determinare, nel bene (3 gol in totale) e nel male (rigore sbagliato al 122' in semifinale) il cammino del Ghana.
Se si guarda alle vittorie non si può non notare le 4 affermazioni in Coppa d'Africa, delle quali le ultime 2 (1978 e 1982) legate indiscutibilmente al nome di George Alhassan.





Se nell'edizione del 1978 il suo contributo si limita ad una strepitosa doppietta contro l'Alto Volta, è nell'edizione di quattro anni dopo in patria che la geniale ala ghanese spiega a tutto il continente il perché dalle parti di Accra è chiamato Jairzinho.
Tale soprannome gli viene attribuito per l'imprevedibilità delle sue giocate, effettuate a grande velocità e sorrette da un fisico possente.
Nella manifestazione continentale appare quasi immarcabile ed il suo spunto diventa il vero punto di forza del Ghana, vincitore del torneo dopo la pessima prova offerta nella coppa del 1980.
La selezione ghanese è davvero di alto livello e già nei proclami della vigilia viene vista come una delle possibili protagoniste della rassegna.



Insieme al "gemello" Samuel Opoku Nti forma una coppia di mezzepunte/ali letali per le difese avversarie, sia per le caratteristiche tecniche, sia per la capacità di non offrire punti di riferimento.
Alhassan è quel che si dice un attaccante completo, che fa dello spunto personale la sua arma migliore, considerando che molte delle sue cavalcate si concludono sovente con un'apprezzabile realizzazione.
Dopo la rete segnata nel primo incontro contro i padroni di casa della Libia, il ventisettenne attaccante ghanese si scatena nella semifinale contro l'Algeria, segnando una doppietta decisiva nel 3-2 finale ottenuto dopo i tempi supplementari.
Tale risultato diventerà presto di prestigio considerando il brillante mondiale  giocato dalla formazione algerina qualche mese dopo in Spagna.
L'atto finale vede la squadra di Charles Kumi Gyamfi di nuovo contro la Libia, dopo che la partita d'esordio nel girone si era chiusa con un giusto 2-2.
Il match giocato il 19 marzo a Tripoli non è da meno e dopo i tempi supplementari il risultato è ancora di 1-1, dopo che proprio Alhassan aveva portato in vantaggio i suoi con un gol da opportunista.


Ai calci di rigore il Ghana prevale dopo ben 8 tentativi, mettendo in bacheca quello che risulta ancora essere il suo ultimo alloro continentale (tale match è ricordato anche in un nostro precedente articolo sul cammino della squadra libica).
Alshassan si prende la responsabilità di calciare con profitto uno dei rigori, rendendo ancora più indelebile la sua firma sul prestigioso successo, finendo giustamente nella Top 11 del torneo al pari del compagno Opoku Nti e ai difensori Sampson Lamptey e Haruna Yusif.
Se a livello di nazionale diventa una sorte di eroe, la stessa cosa non si può dire per la sua carriera nei club, che rimane sempre di livello mediocre.
All'inizio degli anni 80 l'Africa non è ancora vista come un punto di riferimento per le blasonate società europee e per molti calciatori il trasferimento nel vecchio continente resta un sogno e niente più.
Anche un calciatore celebrato come Alhassan deve accontentarsi inizialmente del contesto ghanese, salvo approdare nel 1981 al FC 105 Libreville, club situato nella capitale del Gabon.
Solamente nel 1984 ha la possibilità di cambiare continente, decidendo a sorpresa di trasferirsi in Corea del Sud per giocare con lo Hyundai Horangi.
Inutile dire come la differenza di cultura ed abitudini si fa ovviamente sentire, in un periodo nel quale la globalizzazione è ancora ben lontana dal manifestarsi.
Il giocatore ghanese scende comunque in campo 11 volte, riuscendo ad andare a segno in 4 occasioni, mettendo in mostra quello che è un talento oggettivamente sprecato per il campionato coreano.
L'avventura in Asia dura solamente una stagione, al termine della quale decide di ritornare al Great Olympics, squadra nella quale è cresciuto, non considerando la possibilità di sfruttare la popolarità del suo nome per strappare un contratto migliore in qualche altra parte del mondo.
Inutile dire come tale passo indietro porti il suo nome ad essere ben presto dimenticato, lasciando l'exploit della Coppa d'Africa 1982 come apice di una carriera potenzialmente di alto livello.
Fosse nato qualche hanno dopo, Alhassan avrebbe potuto fare le fortune di qualche blasonata squadra europea, affinando maggiormente un talento grezzo apparso devastante a livello africano.
Nella realtà dei fatti il suo nome resta circondato da quell'alone di sconosciuto che rende la sua storia più accattivante e meno affine alle pessime consuetudini odierne in materia di trasferimento di giocatori dal continente africano.
Ma questa è un'altra storia, fortunatamente non inerente alla sgroppate del Jairzinho del Ghana.


Giovanni Fasani

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