Come tutti sappiamo il 10 giugno 1934 l’Italia si laurea per
la prima volta nella sua storia campione del Mondo, a seguito della vittoria
sulla Cecoslovacchia per 2-1. Al tempo tutto il pubblico italiano celebra le
reti di Orsi e Schiavio con i quali la squadra di Pozzo ribalta il vantaggio di
Puc ed a Roma alza la Coppa Rimet.
La compagine italiana è composta da giocatori di grandissimo
livello, dimostrandosi completa in ogni
reparto: in particolare dispone di un parco attaccanti fortissimo, dove spicca
la figura di Giuseppe Meazza, per molti il più forte calciatore italiano di
tutti i tempi.
Tra le punte azzurre se ne distingue però un'altra, decisiva per le sorti della nazionale italiana nel suddetto campionato del Mondo.
Enrique (Enrico) Guaita viene ricordato per il contributo dato alla rappresentativa azzurra nel 1934 e per una particolare quanto prolifica carriera.
Enrique (Enrico) Guaita viene ricordato per il contributo dato alla rappresentativa azzurra nel 1934 e per una particolare quanto prolifica carriera.
Il nome di battesimo tradisce indubbiamente le sua origini
sudamericane ed è proprio in Argentina dove cresce e diventa un apprezzato
calciatore nelle file dell’Estudiantes.
Nella squadra di La Plata esordisce appena diciottenne,
mettendosi in mostra come punta esterna, in grado sia di trovare la rete
personalmente, sia di fornire suggerimenti per i compagni di reparto. Proprio
la sua partita d’esordio diventa subito leggendaria per il suo club e per
l’evolversi della sua carriera: nella partita contro l’Independiente segna
addirittura una tripletta che gli permette di entrare stabilmente nelle scelte
dell’allenatore e nelle grazie del pubblico.
Quest’ultimo si dimostra molto affezionato al giovane
calciatore, soprannominandolo “El Indio”
per via del colore olivastro della sua pelle.
Guaita milita nell’Estudiantes fino al 1933, giocando a fasi
alterne, ma collezionando comunque 65 presenze condite da 32 reti.
Nello
stesso anno ha la grande opportunità di approdare oltreoceano per giocare in
uno dei campionati europei più importanti del periodo, quello Italiano.
L’offerta gli arriva dalla Roma, che intende approfittare della normativa sugli oriundi per tesserare il forte attaccante: le disposizioni della federcalcio vietano l’ingaggio di calciatori stranieri, ma permettono invece di acquistare calciatori nati all’estero ma di discendenza italiana.
Guaita rientra in pieno in questa descrizione e nell’autunno del 1933 approda nella capitale italiana in compagnia di altri due calciatori argentini, Alejandro Scopelli ed Andres Stagnaro, anche loro ingaggiati dall’ambiziosa società capitolina.
L’offerta gli arriva dalla Roma, che intende approfittare della normativa sugli oriundi per tesserare il forte attaccante: le disposizioni della federcalcio vietano l’ingaggio di calciatori stranieri, ma permettono invece di acquistare calciatori nati all’estero ma di discendenza italiana.
Guaita rientra in pieno in questa descrizione e nell’autunno del 1933 approda nella capitale italiana in compagnia di altri due calciatori argentini, Alejandro Scopelli ed Andres Stagnaro, anche loro ingaggiati dall’ambiziosa società capitolina.
I dettami del governo fascista non consentono l’utilizzo di nomi di origine straniera, per cui il nome Enrique viene italianizzato in Enrico, con il quale risulta identificato in tutti i documenti ufficiali.
L’allenatore Luigi Barbesino punta fortemente sul trio
argentino per impostare una squadra palesemente offensiva, dove gli attaccanti
sono chiamati ad un notevole lavoro.
La sua idea tattica prevede che Guaita giochi da prima
punta, ruolo da lui mai ricoperto nelle precedenti esperienze.
L’idea del tecnico piemontese è brillante, in quanto in tale
ruolo l’attaccante può esprimere al meglio tutta la sua potenza unita
all’ottima tecnica ed al rinomato senso per il gol. In tale posizione ha la
possibilità di essere più lucido, risparmiando le energie spese in notevoli
azioni in posizione defilata.
I primi approcci con il calcio italiano non sono
propriamente positivi, in particolare Guiata fatica ad abituarsi alla nuova
realtà e patisce leggermente il nuovo ruolo, essendo abituato a partire da
posizione defilata.
La partita della svolta è quella di Firenze dove la punta di
origine argentina sigla una bella doppietta, sbloccandosi definitivamente.
Anche in Italia gli viene attribuito un simpatico nomignolo,
nato durante la gara contro il Livorno dove la
Roma indossa la maglia nera per distinguersi cromaticamente dagli
avversari. Tale particolare divisa unita alla tripletta segnata gli valgono il
nome di “Corsaro Nero”.
Guaita termina la stagione con 14 centri in 32 gare,
dimostrando evidenti segni di miglioramento nell’arco della stessa e
proponendosi come uno degli attaccanti più attesi per il campionato 1934/1935.
Ma
nell’estate del 1934 ad attenderlo c’è la grande occasione di disputare il
Campionato del Mondo con la nazionale italiana, approfittando del suo ruolo di
oriundo. In realtà avrebbe già giocato due partite (con un gol) con la
selezione argentina, ma i regolamenti vigenti consentono alla nazionale
italiana di convocarlo.
Il commissario tecnico Vittorio Pozzo imposta la squadra con
il canonico metodo, presentando cinque punte di ruolo, destinando Guaita
all’originario ruolo di attaccante esterno destro. Nel suddetto schema la punta centrale è Angelo Schiavio, mentre Giuseppe Mezza e Giovanni Ferrari agiscono alle sue spalle, con Raimundo "Mumo" Orsi sulla fascia sinistra.
I contenuti tecnici del reparto offensivo italiano sono notevoli e nonostante la dura concorrenza, gli azzurri sono in assoluto una delle rappresentative dalle possibilità realizzative maggiori.
Nella prima partita l'Italia vince 7-1 contro gli Stati Uniti, nonostante Guaita non prenda parte alla gara, avendo la possibilità di diventare titolare inamovibile solo a partire dalla doppia partita dei quarti contro la Spagna.
I contenuti tecnici del reparto offensivo italiano sono notevoli e nonostante la dura concorrenza, gli azzurri sono in assoluto una delle rappresentative dalle possibilità realizzative maggiori.
Nella prima partita l'Italia vince 7-1 contro gli Stati Uniti, nonostante Guaita non prenda parte alla gara, avendo la possibilità di diventare titolare inamovibile solo a partire dalla doppia partita dei quarti contro la Spagna.
Il giocatore della Roma si dimostra decisivo soprattutto
nella combattuta semifinale quando un suo gol consente agli azzurri
si superare la forte Austria per 1-0.
In finale Guaita non va a segno, ma è decisivo con l’assist
per il gol vittoria di Angelo Schiavio che
regala alla rappresentativa italiana la sua prima Coppa Rimet.
Sulle ali dell’entusiasmo per tale storica vittoria, la nuova stagione lo vede capocannoniere con
28 reti in 29 partite, record ancora in essere per il campionato italiano a
sedici squadre.
Tale brillante prestazione lo impone come uno degli
attaccanti di riferimento dell’epoca, avendo tratto giovamento dalla modifica
della posizione in campo, che gli consente di essere quasi immarcabile
nell’area di rigore.
La Roma termina il campionato al quarto posto, ma è opinione unanime che la compagine giallorossa abbia ampi margini di miglioramento e possa essere tra le favorite per lo scudetto nel successivo anno agonistico.
A conferma di tale previsione la dirigenza capitolina
ingaggia nell’estate giocatori del calibro di Luigi Allemandi e Renato
Cattaneo, rinforzando ancora di più una già molto competitiva rosa.
Ma il 20 settembre 1935 succede un fatto clamoroso che segna
per sempre la carriera di Guaita: a seguito dell’arruolamento forzato in vista
della Guerra di Etiopia, i tre argentini della Roma decidono di tornare di
nascosto in Argentina, appunto per evitare la chiamata alle armi.
La cosa suscita infinite polemiche, soprattutto per il fatto
che i calciatori possono godere di un trattamento speciale che consentirebbe
loro di non essere chiamati sul fronte: alcune voci parlano di un riuscito
tentativo di danneggiare la squadra capitolina, attraverso false informazioni
fornite ai calciatori per indurli ad abbandonare il paese.
Le autorità italiane accusano i tre argentini di traffico di
valuta e precludono loro qualsiasi possibilità di rientrare nel suolo italico
anche negli anni successivi.
I tifosi giallorossi vivono una stagione esaltante terminata
al secondo posto, ma condita dal rammarico di non aver goduto delle prestazioni
dei sudamericani rientrati in Argentina. In particolare il solo punto di
distacco dal Bologna campione alimenta più di un rimpianto per l’assenza del
proprio cannoniere, che avrebbe senz’altro colmato tale esiguo margine.
Guaita trova ingaggio nel Racing Club nel 1936
per giocarvi due ottime stagioni condite da 31 reti in 57 apparizioni.
Nel 1937 arriva per lui una nuova convocazione
dall’Argentina, andando così a rendere più tortuoso il suo percorso con le
rappresentative nazionali.
L’occasione è quella della Copa America 1937 vinta proprio
dalla rappresentativa “Albiceleste” per la quale l’attaccante del Racing gioca
due partite senza comunque andare a segno.
Nel 1938 ritorna alla sua società di origine, l’Estudiantes,
dove gioca un’unica stagione che si rivela l’ultima della sua carriera, Dopo 27
partite e 9 gol appende definitivamente le scarpe al chiodo, nonostante abbia
solo trent’anni e sia ancora in discrete condizioni atletiche.
Senza nulla aggiungere alle questioni personali che l'hanno portato ad allontanarsi dall'Italia, si può considerare Enrique Guaita come una delle punte più forti del suo tempo, entrato nella storia italiana come oriundo, ma consegnato alla leggenda per il contributo al Mondiale del 1934 e per essersi distinto con la maglia della Roma.
Purtroppo per un tempo molto limitato....
Giovanni Fasani
Purtroppo per un tempo molto limitato....
Giovanni Fasani
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