Consultando gli albi d'oro delle più importanti competizioni calcistiche è possibile imbattersi nella cosiddetta "sorpresa", vale a dire quella squadra che mai avremmo pensato potesse vincere la competizione in oggetto.
L'elenco di tali outsiders sarebbe lunghissimo, a conferma che il gioco del calcio molte volte mal si sposa con i pronostici o con i giudizi "sulla carta".
Quando pensiamo, ad esempio, ai grandi tornei tra nazionali, ci aspettiamo di trovare tra i vincitori sempre le solite grandi squadre, storicamente abituate ad alternarsi nei successi.
Solitamente anche la Copa America non sfugge da tale tendenza, anche se è possibile notare qualche valida eccezione, come ad esempio la vittoria della Bolivia narrata in un nostro precedente articolo.
Sicuramente molti resterebbero sorpresi nel sapere che la Copa America del 1975 viene vinta dal Perù, avendo nella memoria le non brillanti prestazione di detta nazionale negli ultimi anni.
In pochi però possono ricordare o sapere che la rappresentativa di quegli anni è in assoluto la più forte nazionale peruviana di sempre e, probabilmente, una delle più forti squadre sudamericane di tutti i tempi.
Per meglio chiarire come la compagine andina sia arrivata a tale trionfo, è bene spiegare nel dettaglio la formula del torneo del 1975.
La competizione manca da 8 anni e viene deciso di non dare l'organizzazione a nessun paese, ma di suddividere nove delle dieci partecipanti in tre gironi con partite di andata e ritorno.
Le vincenti di tali raggruppamenti si uniscono all'Uruguay, già ammesso in semifinale in quanto detentore del trofeo.
Il commissario tecnico Marcos Calderon, eredita la panchina nel 1974, con il chiaro intento di far dimenticare la mancata partecipazione al Mondiale dello stesso anno
In Perù c'è grande delusione per la fallita qualificazione a tale torneo, perché la sensazione è quella di trovarsi di fronte ad una generazione di giocatori quasi irripetibile, capaci di portare la nazionale davvero in alto.
E' normale quindi che l' aspettativa per l'imminente torneo continentale sia quella di bissare l'unico successo che "La Blanquirroja" ottenne nel 1939, anno della prima edizione della competizione.
Analizzando la rosa a disposizione ci rendiamo immediatamente conto come il valore dei calciatori sia altissimo e di come lo schema tattico sia in grado di esaltarne le caratteristiche.
Tra i pali viene scelto Ottorino Sartor dell'Universitario, estremo difensore trentenne di buona esperienza e di discreta affidabilità.
La linea difensiva resta immutata in tutte le partite del torneo e viene saggiamente guidata da due autentiche leggende del calcio peruviano.
Julio Melendez è in assoluto uno dei centrali più affidabili del torneo, distinguendosi per efficacia e classe sopraffina.
In campo sembra non avere punti deboli, combinando al meglio un fisico prestante ad una notevole rapidità, figlia anche degli esordi come esterno destro.
Lega buona parte della carriera agli argentini del Boca Juniors, dei quali diventa anche capitano, vincendo due campionati ed una coppa nazionale.
Nel 1973 mette fine alla sua esperienza argentina e ritorna in patria, dimostrandosi ancora un punto di forza della nazionale.
Hector Chumpitaz è da sempre soprannominato "El Gran Capitan" e questo basterebbe ad esemplificare il carisma da lui posseduto e l'importanza che egli riveste dentro e fuori dal campo.
Si dimostra un centrale difensivo completo in grado di interpretare in modo moderno il ruolo, considerato il periodo nel quale gioca.
Nonostante il ruolo ha un grande feeling con il gol, tanto da segnare 77 reti ufficiali in carriera.
A livello assoluto viene considerato uno dei migliori difensori sudamericani di tutti i tempi, in virtù di quanto dimostrato anche a livello di club.
In tale contesto lega il suo nome a quello dell'Universitario, con il quale vince ben 8 campionati.
A 31 anni e dopo le ultime delusioni patite in relazione agli ultimi Mondiali, Chumpitaz ha un grande desiderio di vincere, dimostrandosi ancora di più vero leader del gruppo, nonché elemento fondamentale per la retroguardia peruviana.
Lo schema di Calderon prevede la presenza di due mediani ai quali viene dato il compito di bilanciare al meglio la squadra e sostenere con profitto la manovra.
In tali ruoli vengono schierati Santiago Ojeda e Raul Parraga, con Alfredo Quesada a rappresentare molto di più di una semplice alternativa.
Nonostante tali giocatori non brillino per qualità tecniche, si dimostrano fondamentali per il lavoro di raccordo nella fase mediana, oltre a garantire corsa e sostegno alla poderosa fase offensiva che stiamo per descrivere.
Appena più avanti della zona mediana troviamo quello che viene riconosciuto come il più forte giocatore peruviano di tutti i tempi, Teofilo Cubillas.
Sarebbe a tutti gli effetti un centrocampista, ma in realtà lo si può trovare in ogni zona del campo, specie in quella offensiva, dove si disimpegna come un attaccante.
In relazione a tutto questo, segna ben 338 reti in carriera, delle quali 26 in nazionale. Tra queste ultime ben 10 le mette a segno nei tre Campionati del Mondo da lui disputati (1970, 1978 e 1982).
Dal 1974 milita nel Porto, dopo aver incantato in patria con la maglia dell'Alianza Lima.
Anche in Portogallo ha modo di distinguersi, specie nel 1976, quando segna ben 28 reti in sole 29 apparizioni.
Inutile dire che il successo del Perù nella competizione dipenda in buona ragione dal suo stato di forma e dalla sua inclinazione a mettersi anche al servizio del trio offensivo voluto dal tecnico.
Nel reparto offensivo troviamo Percy Rojas, soprannominato "El Trucha", attaccante dal profilo completo e dal buon fiuto del gol.
Il 1975 è decisamente il suo anno: nella sua prima stagione con gli argentini dell'Independiente vince la Copa Libertadores e la Copa Interamericana, oltre al suddetto trofeo con la nazionale.
E' una punta rapida e versatile, in grado di adattarsi al meglio ai movimenti offensivi richiestigli.
Calderon ha grande stima anche di Enrique Casaretto, attaccante dello Sporting Cristal ed in possesso di una notevole esperienza nel campionato peruviano.
Al centro dell'attacco troviamo Oswaldo Ramirez, secondo realizzatore di tutti i tempi della selezione ed ovviamente massimo punto di riferimento della stessa.
Attaccante non altissimo ma ottimamente strutturato è il terminale ideale per il Perù, dimostrandosi abile a sfruttare al meglio la mole di gioco garantita dai compagni.
Con i suoi gol fa le fortune dell'Universitario e nel 1975 si trasferisce in Messico, per giocare nell'Atletico Espanol. Al termine dell'esperienza messicana rientra in patria nelle file dello Sporting Cristal.
Nel solo campionato peruviano segna ben 195 reti ed in 50 apparizioni in Copa Libertadores realizza 26 reti. Con la nazionale la media è leggermente inferiore, fermandosi a sole 17 reti in 57 partite, ma il suo nome è legato ad una grande delusione inflitta all'Argentina: una sua doppietta ai Mondiali del 1970 determina proprio l'eliminazione dell'"Albiceleste" durante le qualificazioni.
Completa il tridente Juan Carlos Oblitas, attaccante esterno tutto mancino dai notevoli fondamentali tecnici.
Nonostante parta esterno riesce con abilità a convergere verso per il centro per poi provare la soluzione personale ed è a tutti gli effetti una mezzapunta dal gol facile.
In carriera ha anche l'opportunità di cimentarsi senza grande fortuna in Europa, ma sono le prestazioni in patria a renderlo un valido elemento per la nazionale, per la quale gioca ben 62 volte.
Nello schema precedente notiamo come sua alternativa Hugo Sotil, mezzapunta dal talento cristallino e dalla classe purissima, al momento della competizione in forza al Barcellona.
A dimostrazione delle sue straordinarie qualità si può citare il suo esordio con la nazionale: nel match contro la Bulgaria giocato nel 1969 entra nel secondo tempo e segna 3 reti, decise nella vittoria del Perù per 5-3.
In Spagna mette in mostra tutte le sue qualità e diventa un elemento di fondamentale importanza per la squadra "blaugrana", completando il suo bagaglio tecnico giocando vicino ad un certo Johan Crujff.
Il fatto che non venga inserito nell'undici ideale di questa Copa America dipende proprio dall'atteggiamento della dirigenza catalana, che gli vieta sistematicamente il permesso di volare oltreoceano per le relative partite.
In aggiunta sembra essere non al massimo della forma, anche a causa di qualche vizio di troppo.
Anche per questo motivo trova un discreto spazio Cesar Cueto, giovane esterno dalle grandi potenzialità, che ha modo di maturare definitivamente nell'Atletico Nacional e nell'America de Calì negli anni a venire.
Nel 1975, a soli 23 anni, viene utilizzato con il contagocce dal tecnico peruviano.
Della rosa fa parte anche Geronimo Barbadillo, veloce ala che noi italiani ammireremo qualche anno dopo nelle file di Avellino ed Udinese.
Il Perù viene inserito nel gruppo C, con Cile e Bolivia, rappresentative sicuramente non nel massimo splendore della loro storia calcistica.
Dopo il pareggio a Santiago del Cile per 1-1 (rete di Rojas), per la squadra di Calderon arrivano tre vittorie che le garantiscono la vittoria del raggruppamento : il Perù vince in Bolivia per 0-1 (Ramirez), batte il Cile 3-1 in casa (Rojas e doppietta di Oblitas) e con lo stesso punteggio sconfigge la Bolivia sempre a Lima (rigore Ramirez, Cueto e Oblitas).
Ad attendere il Perù in semifinale c'è il Brasile, in quella che sembra essere a tutti gli effetti una rivincita del Mondiale 1970.
Nell'andata a Belo Horizonte Chumpitaz e compagni regalano una delle gioie più grandi ai proprio tifosi: battono i verde-oro per 1-3 con doppietta di Casaretto e gol di Cubillas nel finale.
Non è a dire il vero un grandissimo Brasile, ma è comunque una squadra temibile, tanto che al ritorno batte per 0-2 la squadra di Calderon, equilibrando l'esito della qualificazione.
Nel regolamento non vengono conteggiati i gol segnati in trasferta e non è previsto uno spareggio nelle semifinali, perciò ci si affida al sorteggio.
L'accesso alla finale è deciso dal lancio della monetina; in questo caso la dea bendata strizza l'occhio al Perù, che si guadagna la finale contro la Colombia.
I "Cafeteros" hanno dominato il proprio girone ed in semifinale hanno letteralmente annientato l'Uruguay, vincendo in casa addirittura per 3-0.
La squadra allenata da Sanchez è trascinata da giocatori del calibro di Willington Ortiz , Diego Umana, il bomber Josè Ernesto Diaz e Ponciano Castro.
Un gol proprio di quest'ultimo decide il match di andata giocato a Bogotá, rivelatosi molto sofferto per la nazionale peruviana.
Sei giorni dopo si gioca in un Estadio Nacional gremito che trascina il Perù alla vittoria per 2-0, grazie alle marcature di Oblitas e Ramirez.
Ancora una volta ci troviamo in una situazione di stallo, ma in questo caso il regolamento prevede la disputa di una spareggio, da giocarsi in campo neutro.
Viene scelta la sede di Caracas in Venezuela ed in tale contesto lo staff tecnico può contare sulle prestazione di Sotil, liberatosi per una volta dal vincolo impostogli dalla squadra di club.
Come nella migliore delle fiabe è proprio il giocatore del Barcellona e segnare l'unica rete dell'incontro ed a decretare il successo per la squadra di Lima, scatenando la gioia di tutto il popolo peruviano.
La leggenda vuole che Sotil arrivi allo Stadio Olimpico di Caracas solo pochi minuti prima dell'inizio del match, raggiungendo i compagni direttamente nello spogliatoio, appena prima che venga consegnata all'arbitro la distinta ufficiale.
Potremmo parlare di impresa e tessere le lodi di una squadra che ha saputo inserirsi tra le grandi almeno per una volta.
Ma l'opinione comune, non solo tra le strade di Lima, è quella che quel Perù è stato davvero una grande squadra.
Certo non sono mancati gli episodi fortunati, vedi la monetina, ma sicuramente tutto il popolo peruviano è convinto che tali avvenimenti siano solo in parte un risarcimento per lo sfortunato Mondiale del 1970, dove, per loro, il Brasile di poteva davvero battere.
L'hanno fatto 5 anni dopo, dimostrando davvero che la generazione peruviana degli anni '70 merita di essere annoverata nel novero delle grandi nazionali sudamericane.
Giovanni Fasani
L'hanno fatto 5 anni dopo, dimostrando davvero che la generazione peruviana degli anni '70 merita di essere annoverata nel novero delle grandi nazionali sudamericane.
Giovanni Fasani
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