sabato 18 gennaio 2020

L'UNGHERIA CONCEDE LA RIPERDITA

E' opinione comune considerare la data del 25 novembre 1953 come una sorta di spartiacque nella storia del calcio, come se esistesse un periodo pre e post il match tra Inghilterra ed Ungheria, terminato come noto con la vittoria per 3-6 della compagine magiara.
La sfida di Wembley, il suo incredibile risultato e la prestazione complessiva della squadra di Gusztáv Sebes hanno nel tempo alimentato la leggenda, finendo per diventare argomento di discussioni e libri, diventando universalmente massima espressione dell'Aranycsapat, la squadra d'oro simbolo del calcio internazionale degli anni'50.
Tale risultato, al quale è stato dedicato anche un locale a Budapest, ha messo in chiaro come il calcio Danubiano di matrice ungherese fosse al momento il migliore d'Europa, per non dire del mondo, privando il contesto inglese di tale autoproclamato attestato.
Quest'ultimo invece di imparare da tale débâcle e rinnovare il proprio credo calcistico, arriva a chiedere un'immediata rivincita, ottenendo di poter giocare a Budapest il 23 maggio del 1954, contando nella causalità dell'avverso risultato ottenuto a Wembley.
Se possibile il risultato di questa talvolta dimenticata partita è ancora più pesante della prima: Ungheria-Inghilterra finisce infatti con un sonante 7-1, peggior sconfitta di sempre della rappresentativa britannica.


Come anticipato il commissario tecnico britannico Walter Winterbottom si dimostra sordo ai suggerimenti di stampa ed addetti ai lavori e, soprattutto, per una volta miope alla situazione tattica evidenziata dal primo incontro, decidendo di impostare la gara allo stesso modo, cambiando nove uomini schierati in campo con la medesima struttura tattica.

In particolare il tecnico di Oldham non prende spunto dai consigli di colleghi quali Don Revie, Ron Greenwood, Bill Nicholson e Matt Busby, i quali concordano nel cambiare atteggiamento e strategia, accettando di adattarsi al gioco di una squadra che al momento è semplicemente più forte e devastante se lasciata esprimere liberamente la propria manovra.
La grande fiducia nelle proprie idee è ammirevoli, ma risulta altresì evidente come il commissario tecnico non riesca ad imparare dai propri errori, non cogliendo i segnali che anche le deludente Coppa del Mondo del 1950 aveva evidenziato; clamorosa in tal senso la sconfitta per 1-0 contro la matricola Stati Uniti.
Nuovamente la mancata lettura preventiva dei movimenti di Nándor Hidegkuti, abile centravanti arretrato, lascia spazio alle rapide e combinate manovre offensive ungheresi, che di fatto fanno a fette la retroguardia inglese.
Sul terreno amico la compagine di Sebes sembra passeggiare, segnando tre reti nel primo tempo e dando ancora di più la sensazione di assoluta superiorità e di facilità nell'aggirare con classe l'opposizione di Billy Wright e compagni.
Le reti di Mihály Lantos, Ferenc Puskás e Sándor Kocsis mandano le squadre al riposo con il morale completamento opposto: entusiasti ed un po' tronfi i magiari, avviliti e con poche speranze gli inglesi, con il pensiero comune che la seconda frazione sarà anch'essa colma di avvenimenti.
Rispetto alla gara giocata a Londra l'Inghilterra non riesce a farsi trascinare dal pubblico per salvare quantomeno l'onore, finendo ben presto per subire altre tre reti, ad opera ancora di Kocsis, dell'incubo Hidegkuti e di József Tóth, quest'ultimo unica novità di schieramento rispetto alla vittoria di Wembley, essendo stato preferito a László Budai.



La sconquassata compagine di Winterbottom ha un piccolo barlume di orgoglio mettendo a segno il gol della bandiera con Ivor Broadis, prima che un famelico Puskás metta a segno l'ultima rete della gara e la sua personale doppietta.
Al termine della sfida i 90000 spettatori del Népstadion si lasciano andare ad un'autentica ovazione, consapevoli di aver appena visto all'opera la squadra più forte del mondo in una delle sue migliori performance.


L'Inghilterra dal canto suo rientra con il morale sotto i piedi e con poche certezze, se non quella di dover cambiare registro ed adeguarsi ai principi di una calcio nuovo praticato con bravura in buona parte d'Europa.
Nonostante il famoso 3-6 sia entrato nelle leggenda e nelle memoria collettiva, il successivo 7-1 merita di essere ricordato non tanto per la scoppola rimediata dalla formazione inglese, quanto per la clamorosa prestazione magiara, ancora una volta prova effettiva delle superiorità tecnico-tattica degli uomini di Sebes.
Paradossalmente questi ultimi non vinceranno il Mondiale dello stesso anno, forse anche per una certa dosa di supponenza, mentre nella vecchia Albione si inizia un lento miglioramento che porterà al titolo mondiale dodici anni dopo.


Giovanni Fasani


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