martedì 16 ottobre 2018

PATERNOSTER

Botasso, Della Torre, Paternoster, Suárez, Monti, Juan Evaristo, Mario Evaristo, Manuel Ferreira, Stabile, Varallo, Peucelle....

Se il 30 luglio del 1930 la nazionale argentina fosse riuscita a laurearsi campione del mondo, battendo i rivali dell'Uruguay all'Estadio de Centenario, la formazione sopra elencata sarebbe ancora oggi nella mente di ogni tifoso Albiceleste, quasi fosse una vera e propria filastrocca.
Non vi è dubbio sul fatto che il fattore campo ed il rovente pre-partita siano stati fattori decisivi per il risultato finale, senza per questo sminuire il valore della Celeste, indubbiamente la nazionale più forte del periodo, quale rappresentativa di campioni eccelsi.
Da questo punto di vista anche la formazione argentina non è certo da meno, come dimostra la presenza di campioni quali Luis Monti, Guillermo Stabile, Carlos Peucelle e Manuel Ferreira.
Costantemente sottovalutata è invece la figura di  Fernando Paternoster, squisito difensore mancino tanto raffinato quanto concreto, in assoluto un punto di riferimento tecnico per tutto il calcio della sua nazione.


Sin dalle prime apparizioni con la maglia dell'Atlanta si ha la percezione di essere di fronte ad un talento unico, in grado di dare un'interpretazione personale del ruolo, restando il più possibile lontano allo stile rozzo e limitativo utilizzato dai pari ruolo contemporanei.
Dotato di grande classe e di eleganza viene soprannominato El Marques (il Marchese), anche alla luce delle ricerca di un gioco pulito in fase di marcatura, basato sull'astuzia e sul senso della posizione e quasi mai sul gioco falloso.
Una vera e propria "mosca bianca" del periodo, fortemente tentato anche di partecipare alla fase di costruzione del gioco, potendo contare sulla bontà del piede sinistro, con il quale passa la palla e lancia gli avanti con apprezzabile precisione.
El Flaco, altro suo nomignolo, deve in parte limitare questa sua tendenza, essendo in voga il quel momento il Metodo, vale a dire un sistema di gioco che vede la presenza di due difensori chiamati quasi del tutto a funzioni di carattere difensivo.
Un decisivo salto di qualità lo compie quando passa al Racing Club nel 1927, dove incontra Josè Della Torre, detto  El Chepo, con il quale va a formare la miglior coppia di difensori dell'intera Argentina, finendo per replicare successivamente le prestazioni con l'Academica anche in nazionale.


In tale ambito gioca l'Olimpiade di Amsterdam accanto a Ludovico "Vico" Bidoglio, vincendo tutti gli incontri salvo la finale contro l'Uruguay, il quale, si impone nella ripetizione della stessa per 2-1, grazie alle reti di Figueroa e Scarone.
La rivincita arriva l'anno successivo al Campeonato Sudamericano giocato proprio a Buenos Aires, dove la squadra di casa si impone nella classifica finale vincendo tutte e tre le partite subendo un solo ininfluente gol contro il Paraguay: Paternoster è in assoluto uno degli artefici del successo, in una rappresentativa tignosa, ma spettacolare per la qualità del gioco espresso.
Nel 1930 si gioca in Uruguay la prima edizione del Mondiale ed è subito chiaro a tutti come le due nazioni rioplatensi siano le indiscusse favorite del torneo, come conferma la facilità con la quale si sbarazzano nei turni precedenti la finale, soprattutto in semifinale, dove Sati Uniti e Jugoslavia vengono sconfitte con due pesanti 6-1.
Paternoster gioca con il compagno Della Torre e lo fa da far suo, puntellando la difesa e coprendo le spalle ai talentuosi compagni più avanzati, giocando quando possibile la palla con il suo educato sinistro.
Proprio la sicurezza nelle sue doti tecniche lo rende protagonista di un primato non proprio edificante: contro il Messico si fa parare un rigore da Óscar Bonfiglio Martinez, finendo per entrare negli annali come il primo giocatore a sbagliare un calcio di rigore ad un Campionato del Mondo.
A sua discolpa vi è il fatto che l'arbitro boliviano Saucedo, allo stesso tempo allenatore della Bolivia, abbia fatto battere tutti i rigori della partita, ben 5, a circa quindici metri dalla porta, a causa dell'impossibilità nell'individuare il dischetto su terreno di gioco (vedi un nostro precedente articolo).
Sull'atto finale del torneo si è detto e scritto di tutto, molte volte andando al di fuori del contesto calcistico, comunque favorevole alla Celeste, vincitrice dopo i 90 minuti per 4-2, dopo essere andata al riposo sotto per due reti a una.
L'anno in questione è una spartiacque nella carriera di Paternoster, il quale abbandona la nazionale dopo 16 presenze ed anche la squadra di club, finendo per entrare nelle file del Vélez Sarsfield in prestito per giocare un lungo tour che lo porterà in vari stati del Sudamerica ed anche negli Stati Uniti.
Il ritorno ad Avellaneda lo vede sempre fiero baluardo difensivo, ma dura solo un anno, in quanto nel 1932 decide di ritirarsi dalla scena calcistica.
Quattro anni dopo ci ripensa e tanta di rilanciare la sua carriera nell'Argentinos Juniors, mettendo però piede in campo solamente una volta, dovendo fare i conti con una forma fisica lontana dai precedenti fasti, inducendolo ad abbandonare definitivamente ogni velleità di essere un calciatore.





Dall'alto della sua intelligenza calcistica la scelta più ovvia è quella di allenare, ma paradossalmente le sue esperienza in panchina lo portano fuori dalla natia Argentina, più precisamente in Colombia, terra nel quale il calcio si sta fortemente espandendo ed implementando.
Le direttive di Paternoster sono oro colato per gli ancora poco smaliziati giocatori colombiani, i quali apprendono preziosi consigli su come stare in campo e, soprattutto, l'importanza ed il piacere di saper calciare il pallone in modo propositivo.
Durante la sua carriera ha potuto constatare come la forma fisica sia altrettanto fondamentale, finendo per diventare da allenatore un meticoloso fautore della preparazione fisica e della necessità di condurre una vita equilibrata per mantenere l'efficienza.
La vittoria del campionato colombiano ottenuta con l'Atletico Nacional è la fiera concretizzazione dei suoi dettami, con particolare riferimento ad una fase offensiva altamente efficace, con l'attaccante argentino Carlos Gambina che si laurea capocannoniere.
L'ultima esperienza in panchina la vive sempre all'estero, in Ecuador, all'Emelec, da lui condotto al successo nel torneo nazionale del 1965 senza subire neppure una sconfitta e con il primato di reti segnate.
Quando nel 1964 si spegne a Buenos Aires tutto il paese piange un indimenticabile protagonista del calcio argentino, con ampio merito identificabile come uno tecnici di riferimento di quella che il grande Ricardo Lorenzo Rodríguez, alias Borocotó, divulgherà al mondo come la Nuestra.....






Giovanni Fasani
 

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