martedì 12 dicembre 2017

IVKOVIC IL DIFENSORE CHE PRESE A CALCI IL NAZISMO

Milutin Ivković non è il primo nome che viene in mente né quando si parla di calcio né quando si parla di eroi di guerra, eppure fu entrambe le cose: un calciatore come pochi se ne sono visti e un uomo coraggioso e degno di ammirazione, la cui leggenda vivrà per sempre.
 
 
Tutti i quasi conoscono l'ex portiere della Croazia e della Jugoslavia Tomislav Ivkovic colui che riuscì ad ipnotizzare, per ben due volte, Diego Armando Maradona parandogli altrettanti tiri dal dischetto; in pochi conoscono, invece, la storia di un altro Ivkovic, Milutin jugoslavo anche lui ma di nazionalità serba.
La sua storia è una storia di coraggio ed amore per la patria, quella Serbia, all'epoca Jugoslavia, che troppo spesso viene stereotipita e infangata. Una terra fatta si di guerre e massacri, ma anche di grandi piccoli eroismi.
Ed è di uno di quest'ultimi che voglio parlarvi oggi, l'eroismo di un uomo che disse no alla guerra, all'ingiustizia ed al giogo nazista...la storia di uomo serbo ma prima di tutto jugoslavo di nome Milutin Ivkovic di professione calciatore e nella fattispecie difensore oltre che medico.
Milutin Ivkovic nacque il 3 marzo del 1906 a Belgrado all'epoca capitale della sola Serbia. Una città dove i venti del panslavismo soffiavano forti portando una luce ed una speranza di unità per tutti gli slavi del Sud.
In questi ideali credevano fetmamente sua madre Milica nipote di Radomir Putnik, militare ma soprattutto "voivoda" serbo che, grazie ai servizi resi alla patria sul campo di battaglia, aveva costruito una florida carriera politica diventando ministro della guerra del regno di Serbia.
A nominarlo fu il re in esilio Pietro Karagjeorgjevic, subito dopo il suo rientro in patria in seguito alla caduta della dinastia degli Obrenovic.
"Milutinac", così come era soprannominato Ivkovic, era altrettanto patriottico ma aveva deciso di servire la patria attraverso lo sport e nella fattispecie il football; sport arrivato in Serbia un decennio prima della sua nascita per opera dell'ebreo Hugo Buli, che se ne era appassionato durante i suoi studi in Germania; passione che aveva trasmesso, in un battito di ciglia, a tutti i giovani serbi.
Il fanciullo Milutin Ivkovic non faceva eccezione e come tutti i suoi connazionali era un valente sportivo, ma nel fudbal eccelleva più che negli altri sport praticati grazie ad un fisico possente (188 cm di altezza) e ad una intelligenza tattica difficilmente riscontrabile in altri giocatori dell'epoca.
Nel 1922, appena sedicenne, era già una colonna del SK Jugoslavija, il club padre della gloriosa Stella Rossa di Belgrado.
L'intelligenza che mostrava in ogni occasione sul campo da gioco gli aveva consentito di far carriera anche nella vita, consentendogli di laurearsi in medicina presso l'Università di Belgrado.
Tutte queste qualità unite ad un carattere, orgoglioso e autoritario da vero leader, gli permisero ad appena 19 anni di esordire anche nella Nazionale, di cui diventò da subito uno dei punti fermi grazie ad uno stile di gioco rude ma corretto ed efficace che esaltava i tifosi.
 
 
Nel 1930 la Coppa del Mondo era diventata una realtà, Ivkovic era il leader indiscusso della nazionale dei "plavi" nonostante avesse lasciato da poco l'FK Jugoslavija, con cui aveva conquistato due titoli nazionali, dopo alcuni dissidi con l'allenatore, accasandosi nel più modesto BASK.
Lui e il portiere Milovan Jaksic furono gli unici due selezionati nella squadra che sarebbe partita alla volta del Sudamerica per difendere l'orgoglio del calcio europeo.
Gli jugoslavi, che ad onor del vero erano tutti serbi, furono l'unica compagine proveniente dal Vecchio Continente a distinguersi ed ad ottenere un risultato di prestigio: la semifinale. Francia, Romania e Belgio uscirono nei gironi eliminatori, dove invece Ivkovic e i suoi superarono sorprendentemente l'impresentabile Bolivia ed un Brasile falcidiato nelle convocazioni dalle lotte interne tra le varie federazioni calcistiche, in quello che fu il primo incontro della storia fra brasiliani e "brasiliani d'Europa".
La compagine slava, posò il piede sul suolo uriguayana solamente dopo un lungo viaggio in nave che ne aveva in parte minato le forze non aveva permesso agli uomini del C.T. Bosko Simonovic di allenarsi.
La classe era rimasta intatta ma parte dello smalto e del furore agonistico si erano affievoliti. Nonostante questo Jaksic tra i pali si distinse come uno dei migliori portieri del torneo, Ivkovic in difesa fu baluardo quasi insuperabile e in attacco Bek, Marjanovic, Vujadinovic e soprattutto Tirnanic strapparono applausi e consensi unanimi.
 
 
La corsa si interruppe in semifinale, quando dopo essere addirittura passati in vantaggio gli jugoslavi si sciolsero come neve al sole finendo per soccombere per ben 6 reti a 1 ai padroni di casa e futuri campioni del mondo dell'Uruguay.
Un risultato tennistico che Ivkovic e compagni contestarono in quanto frutto di un calo fisico e nervoso (l'Uruguay segnò tre reti nell'ultima mezz'ora di gioco) conseguente ad un gol annullato sul 2 a 1 che essi giuravano fosse regolare e che avrebbe potuto cambiare la storia.
Queste recriminazioni portarono i Plavi a fare, per protesta, immediato ritorno in patria senza disputare la finale valida per il 3° posto, che oltretutto consideravano moralmente loro in quanto sconfitti dalla Nazionale futura campione.
La leggenda narra che durante la manifestazione iridata Milutin avesse ricevuto molte proposte da compagini argentine, uruguayane e brasiliane per rimanere giocare in Sud America , a oltre all'amore per la patria balcanica, Ivkovic in Serbia aveva anche lasciato un pezzo di cuore ed una promessa sposa che rispondeva al nome di Ella ed era figlia di uno stimato avvocato belgradese.
Si sposò subito dopo il mondiale uruguayano mettendo negli anni successivi al mondo due figlie, svolgendo contemporaneamente il servizio di leva.
Nel 1934 il mondo gli cascò addosso infatti proprio poco dopo essere diventato a tutti gli effetti dottore, Ivkovic vide la moglie morire di tubercolosi e decise nemmeno trentenne di abbandonare il calcio.
Diventò un medico rispettato, dando anche l'addio alla Nazionale continuando però a lottare attivamente per il suo Paese, come nel 1936 quando fu uno dei protagonisti del boicottaggio del Regno di Jugoslavia ai Giochi Olimpici di Berlino attirandosi parecchie antipatie fra i sostenitori slavi del Reich.
Boicottaggio che 5 anni più tardi, nel 1941, allorché i nazisti invasero la Jugoslavia li costò carissimo. Lo stato degli slavi del Sud fu smembrato ancora una volta in tanti Paesi distinti e la Serbia finì nelle mani di Milan Nedic, un fantoccio al servizio del Führer.
Nedic ed suoi accoliti decisero subito di eliminare le persone scomode, al di la del loro passato. Nelle liste di nomi "incriminati" vi era naturalmente scritto a chiare lettere anche quello di Milutin Ivkovic che nel frattempo aveva fondato il giornale "Mladost", ovvero "Gioventù" da subito inviso al regime e quindi chiuso.
Ma a consegnare Ivkovic alla leggenda non fu la Coppa del Mondo e neanche i titolo vinti in patria ne tanto meno il boicottaggio alle Olimpiadi berlinesi.
Il 6 maggio del 1943 scese in campo per l'ultima volta nella partita in cui si celebrava il 40° anniversario del BSK Belgrado, la maggior squadra dell'epoca.
 
 
Ivković venne convinto dagli amici a partecipare alla gara. Due settimane dopo, quando mancavano pochi minuti alla mezzanotte del 24 maggio, venne arrestato con l'accusa di collaborazionismo con il fronte di liberazione nazionale.
Già in passato era stato accusato dalle autorità serbo-naziste di Nedic, ma stavolta i soldati avevano ricevuto ordini ben precisi: Ivković doveva essere eliminato a qualsiasi costo. L'esecuzione avvenne il mattino successivo, Ivkovic morì come aveva vissuto e giocato, con orgoglio e coraggio.
I testimoni, in seguito raccontarono che, poco prima di essere fucilato, riuscì ad avvicinare il comandante del campo, Svetozar Vujkovic, e a sputargli in faccia.
Le guardie rimasero sorprese tale gesto, e quando riuscirono a bloccarlo il grande calciatore fece in tempo anche a prendere a calci quel traditore codardo. Un vero calcio al nazismo. Poco dopo una pallottola mise fine alla sua vita consegnandolo per sempre alla leggenda e all'immortalità.
 
 
 
Danilo Crepaldi
 
 
(Fonti :Prvi fudbalski momenti e minuto settantotto)
 
 
 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.