venerdì 25 agosto 2017

IL VERROU QUESTO SCONOSCIUTO

Uno dei più antichi luoghi comuni attinenti al calcio italiano è quello di ritenerlo un calcio eccessivamente difensivistico, finalizzato nel modo più pragmatico possibile all'ottenimento del risultato.
Storicamente in campo internazionale le compagini italiche sono state più volte tacciate di "catenaccio", intendo in tal senso mettere in risalto una condotta di gara rinunciataria, intervallato solamente da sporadici quanto subdoli contropiedi.
E' bene precisare, però, che tale appellativo trova la sua origine non nella nostra penisola, ma bensì in Svizzera, dove l'arguto allenatore austriaco Karl Rappan per primo ha sviluppato i presupposti del tanto bistrattato Verrou (appunto catenaccio in francese).


Ma in cosa consiste in soldoni questo famigerato catenaccio? In termini pratici risulterebbe una versione modificata del Sistema, laddove viene arretrato un centrocampista alle spalle della linea difensiva, con il compito di coprire letteralmente le spalle ai difendenti impegnati nella marcature diretta.
 

Nasce così il ruolo definito dal grande Gianni Brera come "libero", in quanto svincolato da compiti di controllo di uno specifico avversario, ma deputato agli interventi in seconda battuta ed agli indispensabili raddoppi di marcatura in determinati frangenti del match.
Nella sua accezione inglese tale mansione viene invece indicata con il nome "sweeper", letteralmente spazzatore, mettendo in risalto la principale funzione di liberare senza tanti fronzoli la propria area di rigore.
Rappan arriva a tale modulo nel 1932, quando sulla panchina del Servette riconosce con estrema umiltà i limiti della propria squadra, decidendo di rinunciare di fatto ad un giocatore nella metacampo per puntellare la difesa.
Quest'ultima prevede che i quattro componenti (libero, stopper ed i due terzini) restino di fatto bloccati, lasciando ai due mediani il compito di costruire l'azione a favore degli avanti; il numero di questi ultimi varia a seconda dell'impostazione tattica, quindi con 2 attaccanti o con 3.



 
In fase di non possesso è bene notare come le mezzali abbassino invece di 20 metri la propria posizione, andando a comporre un muro di interdizione davvero molto spesso.
Appare evidente come con tale ordine tattico ci si conceda di fatto al possesso di palla avversario, a causa anche dell'inferiorità numerica a centrocampo.
Al tecnico austriaco poco importa dello spettacolo e del possesso palla e i risultati sembrano dargli ragione, dal momento che il suo Verrou porta il modesto Servette a giocarsela anche con squadre sulla carta superiori.
Addirittura Les Grenats vincono due titoli nazionali, costruiti prevalentemente su questo schema difensivo, che fa ovviamente storcere il naso agli amanti dello spettacolo, ma che risulta redditizio e fortemente efficace nel limitare l'estro dei più forti avversari.
Rappan applica il "suo" Verrou anche nel 1938, quando con una formazione poco accreditata dai critici si presenta con la nazionale svizzera al via del Mondiale in Francia.
Pur con una rosa inferiore riesce ad eliminare la Germania negli ottavi di finale, ribaltando il pronostico della vigilia e la volontà nazista di vincere il Mondiale (anche grazie all'inclusione nella rosa dei giocatori austriaci).




Dopo il pareggio per 1-1 della prima partita, si rende necessario la ripetizione della stessa, che vede la rappresentativa svizzera imporsi per 4-2.
La squadra tedesca fa davvero fatica a trovare varchi nell'attenta divisa rossocrociata, lasciando inevitabilmente il campo alle rapide manovra di ripartenza di Alfred Bickel e compagni, delle quali beneficia Andrè Abelgglen (tre reti nel doppio match).
Nonostante il prestigioso quanto impronosticabile risultato, il pubblico transalpino poco apprezza la condotta difensiva della Svizzera, tanto che in molti parlano candidamente di "non gioco".
I più attenti esaltano invece la determinazione e l'ordine tattico ottenuto con il bistrattato Verrou, che sembra davvero fungere da strumento in grado di livellare (verso il basso) le differenze tecniche.
Nel turno successivo, comunque, tale schema non riuscirà a fermare la superiorità della fortissima Ungheria, che, seppur con qualche problema, si imporrà per 2-0, facendo la gioia di ogni esteta  e di ogni amante del calcio di matrice danubiana.
Rappan prosegue senza variazioni con il suo credo calcistico, dividendosi tra la panchina del Servette e quella della nazionale, della quale è commissario tecnico nel 1954 per il Mondiale giocato in casa.
Con una versione rivista del Verrou la Svizzera passa il turno di qualificazione battendo l'Italia allo spareggio (4-1), salvo poi arrendersi all'Austria in un pirotecnico quarto di finale terminato 7-5.
Che sia finita l'era del catenaccio? La risposta è no, dal momento che versioni differenti di tale schema verranno riproposte prevalentemente in Italia, dove ancora oggi si discute su chi l'abbia introdotto per primo.
Già negli anni'40 Mario Villini con la Triestina e Ottavio Barbieri con i VV.FF. di La Spezia avevano dato concretezza al Catenaccio, ma sarà alla fine del decennio con Gipo Viani, Nereo Rocco ed Alfredo Foni che tale sistema troverà un'applicazione più strutturata. Successivamente la città di Milano vivrà un intenso dualismo interno tra il Milan di Nereo Rocco e l'Inter di Helenio Herrera, che si contenderanno vittorie puntando il larga misura sul Catenaccio scatenando un forte contraddittorio tra sostenitori dello stesso ed amanti di un calcio più offensivo.




Evitando di schierarsi dal punto di vista tattico e di attribuire la paternità del Catenaccio, va rimarcato come tale schema ha di fatto segnato buona parte della nostra storia calcistica, etichettandoci tal volta in male maniera, ma permettendoci di crescere e vincere a livello internazionale.
Per molti anni il catenaccio ha infatti rappresentato una nostra peculiarità, laddove molti tecnici in modo più o meno palese lo hanno messo in pratica con continuità, salvo poche eccezioni.
Solamente l''avvento alla fine degli anni'80 di Arrigo Sacchi ha poi rappresentato un punto di rottura in di tale visione tattica, finendo per indottrinare i tecnici futuri e portando il calcio ai dettami ancora oggi in vigore.
Ancora oggi c'è chi storce il naso al parlare di "gioco all'italiana", ma tutto è partito dalla vicina Svizzera, dove l'intuizione di un tecnico esperto ha dato il via ad un sistema di gioco criticato, poco spettacolare, ma sicuramente redditizio per buona parte del calcio del XX secolo.





Giovanni Fasani
 

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