martedì 23 giugno 2015

IL "PICCOLO" PLANICKA

La figura del portiere è sicuramente quella più particolare ed attraente: vestito in modo diverso ed unico deputato a toccare il pallone con le mani, l'estremo difensore trasmette storicamente un fascino particolare, lasciando ai posteri veri e propri miti in tale ruolo.
Molte volte associamo all'idea di portiere quello di un uomo alto e prestante fisicamente, inserendo l'imponenza come una delle caratteristiche basilari per chi vuole difendere i pali di un squadra.
La storia del calcio ci mette di fronte a grandissimi numeri 1, tutti accumunati da un'altezza notevole e da una fisicità dominante rispetto agli altri giocatori.
Nei primi decenni del 1900 il regolamento non protegge il portiere come ai nostri giorni, per cui quest'ultimo può subire cariche e scorrettezze di ogni tipo, con ripercussioni per la sua incolumità fisica.
Questa anacronistica applicazione normativa richiede quindi che il suddetto atleta tenga botta a spallate, calci e vere e proprie aggressioni, sopportabili solo da un fisico robusto ed appunto imponente.
Negli anni '30, però, si mette in luce un portiere che punta su altre caratteristiche, che lo rendono uno dei più forti del periodo ed in assoluto uno dei massimi riferimenti di ogni epoca.
Con la sua agilità e sui riflessi felini, Frantisek Planicka sopperisce alla scarsa altezza e diventa per tutti il Gatto di Praga.


Nato e cresciuto calcisticamente in Cecoslovacchia viene schierato come portiere in virtù delle straordinarie doti atletiche e del grande istinto che lo porta ad intuire anche le più beffarde traiettorie.
In altezza raggiunge i 172 centimetri, che sarebbe un'altezza media per gli standard dell'epoca, ma che sembrano stonare se rapportati al ruolo che interpreta.
Dotato di fisico robusto e di grande solidità, dimostra da subito la giusta attitudine nel difendere la propria porta, per nulla intimorito dagli smaliziati e corpulenti attaccanti avversari.
Planicka valuta sempre al meglio le traiettorie dei traversoni e con tempismo anticipa gli avversari, senza indugiare troppo nello scontro diretto.
A tal proposito dimostra un gran coraggio nelle uscite, buttandosi senza indugi in ogni tipo di mischia, ed eccellendo nel catapultarsi sui piedi degli avversari lanciati a rete.
Sembra davvero non aver paura di nulla e la sua personalità lo rende un leader dello spogliatoio, così come una guida fondamentale per tutta la retroguardia.
Tra i pali è altamente spettacolare, essendo in grado di compiere parate con balzi degni di un vero e proprio acrobata.
Spende la sua carriera interamente nello Slavia Praga, imponendosi giovanissimo come titolare inamovibile e vincendo otto campionati e sei Coppe di Boemia, con l'aggiunta della Mitropa Cup del 1938.
Il suo contributo è davvero notevole, in quanto uno dei fondamentali punti di forza della squadra è la solidità difensiva, dimostrata costantemente in ogni contesto.
In realtà da giovanissimo avrebbe avuto la possibilità di approdare allo Sparta Praga, ma viene scartato durante il provino di rito da un poco lungimirante selezionatore.
Come accennato in precedenza agli estremi difensori dell'epoca può accadere qualsiasi tipo di scontro e Planicka dimostra a tal proposito un'incredibile sopportazione del dolore.
Dolore che prova durante una partita giocata a Torino contro la Juventus in Mitropa Cup nel 1932: la squadra italiana è costretta alla rimonta dopo aver perso 4-0 in trasferta ed il clima si dimostra subito tesissimo. Sul 2-0 per la Juventus dagli spalti viene lanciato un sasso che colpisce alla testa Planicka, il quale stordito perde i sensi ed abbandona la partita.
Lo Slavia Praga si rifiuta di proseguire e perde la partita a tavolino; tale decisione scatena reciproche polemiche, creando un clima di forte ostilità tra Cecoslovacchia ed Italia.
Nel contesto europeo le sue gesta lo qualificano come uno dei portieri più forti in circolazione, anche se all'inizio viene conosciuto con altro nome: non avendo ancora raggiunto l'età sufficiente per espatriare. i dirigenti della squadra falsificano il documento, cambiandogli il nome e la data di nascita per aggirare la normativa.
Così le prime prodezze fuori dalla propria nazione le compie con il fantomatico nome di Wotruba.
A livello di nazionale il formidabile portiere esordisce nel 1926, giocando senza sosta come titolare fino al 1936 in 73 partite.
La sua prima partita la gioca in una sfortunata amichevole contro l'Italia, persa per 3-1.
Nel 1930 avrebbe la possibilità di disputare il primo Mondiale della storia, ma la Cecoslovacchia non può permettersi le spese di viaggio e deve rinunciare all'invito della federazione sudamericana.
Quattro anni dopo la Cecoslovacchia è una delle squadre favorite alle vittoria finale, grazie alla presenza in squadra di campioni quali Oldrich Nejedly, Antonin Puc e Frantisek Svoboda.
La rappresentativa allenata da Petru conferma le attese ed il 10 giugno 1934 affronta in finale l'Italia padrona di casa.
Come tutti sappiamo la squadra azzurra ha la meglio per 2-1, ma più volte Planicka, capitano della propria selezione, si rende protagonista di incredibili salvataggi.


Per poco addirittura non riesce a deviare anche la vincente conclusione di Schiavio, arrivando davvero vicino a compiere una delle parate più incredibili della storia del calcio.
Il suo tentativo di evitare la sconfitta è immortalato in una memorabile e leggendaria istantanea.


La partita termina anche con qualche polemica da parte degli sconfitti, dove proprio il capitano Planicka si fa portavoce di presunti favoritismi avuti dall'Italia dall'arbitro svedese Eklind durante l'incontro.
Nel 1938 la Francia ospita la terza edizione del Campionato del Mondo ed ancora una volta la Cecoslovacchia è chiamata ad un ruolo da protagonista, capitanata nuovamente dall'ormai trentaquatrenne portiere dello Slavia Praga.
L'avventura si ferma questa volta ai quarti di finale contro il Brasile, dopo una partita che sarebbe meglio definire una battaglia.
In campo le due squadre si picchiano letteralmente e a farne le spese sono Nejedly, uscito con una gamba rotta e proprio Planicka.
Dopo uno scontro con Peracio l'estremo difensore riporta la frattura del braccio e della clavicola, ma nonostante la forte menomazione porta a termine la gara, mantenendo inviolata la porta dopo l'infortunio e contribuendo al pareggio finale per 1-1.
Nella ripetizione due giorni dopo la squadra sudamericana vince 2-1, ma Planicka non è in campo a causa dei postumi della precedente partita.
Al termine del torneo viene premiato con il titolo di miglior portiere, riconoscimento che lo include tra i più grandi portieri di ogni epoca.
A prescindere dagli infortuni, le statistiche lo danno in campo in più di 1000 partite ufficiali, nobilitate da un significativo quanto prestigioso record: Planicka non è mai stato espulso, né tantomeno ammonito.
Un sorta di gentiluomo, che però in campo sa farsi sentire e sa essere decisivo in ogni fondamentale del ruolo di portiere.
Il calcio nel corso del tempo è cambiato tanto e lo stile di un estremo difensore si è fisiologicamente modificato, non rendendo però obsoleta la tecnica di Planicka.
In un'epoca in cui i portieri denotano stile ed una certa staticità, il portiere cecoslovacco regala una più spontanea ed atletica interpretazione di quello che sarà per sempre il ruolo più particolare del gioco del calcio.


Giovanni Fasani

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