venerdì 16 gennaio 2015

ROCK AND ROLL SWEDEN

Qualche tempo fa, leggendo qua e là sul web, ho rivisto una frase (onestamente non ricordo su che portale o social network) in cui credo davvero ci sia racchiusa buona parte dell'essenza del calcio: "è necessario vincere qualcosa per compiere un'impresa?". La mia risposta è no, non è necessario vincere qualcosa per iscrivere il proprio nome nella storia del calcio.
Di esempi ne è piena la storia, così su due piedi e per restare ai nostri tempi, mi viene in mente la cavalcata del Mirandes nella Copa del Rey di qualche anno fa, dove la squadra di Miranda de Ebro, allora in terza divisione, arrivò addirittura alle semifinali, salvo poi essere eliminata dal più quotato Athletic Bilbao.
Se riavvolgiamo il nastro di un paio di decenni non è difficile soffermarsi ai Mondiali del 1994 che, come ben sappiamo, vennero disputati negli Stati Uniti, paese che col calcio non ha mai avuto molto che spartire; già di per se questa può essere ritenuta un'impresa, non di campo ben inteso, ma fu la prima volta che la rassegna mondiale si disputò in un paese diverso dall'Europa o dal Sudamerica (Messico compreso).
A quel Mondiale le sorprese erano rappresentate da nazionali quali l'Arabia Saudita e la Bolivia che nell'era moderna mai avevano partecipato a tale competizione. Come non citare poi anche la Bulgaria che al pari della protagonista di questo articolo arrivò alla semifinali uscendo sotto i colpi dell'Italia trascinata da Roberto Baggio.
Va beh, ormai avete capito di chi sto parlando e quindi andremo a ripercorrere oggi lo splendido cammino della Svezia, giunta terza appena dietro al Brasile ed appunto l'Italia.


Calcisticamente parlando i Vichinghi stavano attraversando un momento storico tra alti e bassi, basti pensare alla sciagurata eliminazione con 0 punti di Italia 90 e la quasi impresa di arrivare in finale nell'Europeo casalingo di due anni dopo quando ad imporsi fu la Germania di Kalle Riedle.
A qualificare la Svezia al Mondiale americano era stata la vittoria del 13 ottobre 1993 in uno dei derby scandinavi contro la Finlandia; a farne le spese (ed a rimanere quindi a casa) fu la Francia, sconfitta nell'ultima gara dalla sorprendente Bulgaria.
La vittoria del girone di qualificazione fece della squadra guidata da Tommy Svensson una possibile mina vagante, in un girone che la vedeva confrontarsi con Brasile, Camerun e Russia.
Se da una parte il Brasile era nettamente favorito, dall'altra c'era il Camerun, arrivato ai quarti di finale 4 anni prima e la Russia, alla prima partecipazione dopo lo scioglimento dell'Unione Sovietica.
Il modulo è facilmente riassumibile in un 4-3-3 con una serie di punti fermi che Svensson considera fedelissimi.
In porta ne troviamo subito uno e si tratta di Thomas Ravelli, uno che la maglia della nazionale l'ha indossata ben 143 volte superando di gran lunga uno dei mostri sacri del calcio svedese come Bjorn Nordqvist. Vero punto di riferimento per tutti, ha quella sicurezza da grande portiere che tanto piace agli allenatori, soprattutto sulle palle alte.


La difesa era rigorosamente a 4 con Roland Nilsson a fare il terzino destro. Dotato di grande sapienza tattica, si erge a leader della difesa anche dall'alto della sua naturale calma negli interventi. In patria ha vinto 4 scudetti e la Coppa UEFA 1987 con la maglia del Goteborg.
Sulla sinistra Roger Ljung, uno che aveva il fisico da centrale ma che agiva egregiamente sulla fascia di competenza. A differenza di Nilsson, Ljung amava spingere sino ad arrivare nei pressi della porta avversaria; a testimonianza di ciò era giocatore col vizio del gol, avendone messi a segno ben 45 in 12 anni di carriera.
Al centro della difesa un giovane 23enne conquista il posto da titolare forte della grande stagione disputata col Borussia Moenchengladbach, si chiama Patrik Andersson (FOTO) e nell'arco della sua carriera vestirà anche le maglie di Bayern Monaco e Barcellona, togliendosi l'enorme soddisfazione di vincere la Champions League del 2001 con la maglia dei bavaresi. Molto attento in fase di copertura, sin dalla giovane età dimostra di avere grande carisma anche in palcoscenici di alto livello.
Suo compagno al centro della difesa una vecchia conoscenza del calcio italiano: Joachim Bjorklund, che dopo la kermesse americana venne ingaggiato dal Vicenza con cui giocò l'intera stagione prima di passare ai Rangers Glasgow. Molto presente fisicamente, alternava grandi prestazioni a cali di tensione abbastanza notevoli che non gli permisero di avere un rendimento costante; tuttavia nella sua lunga carriera riuscì a vestire la maglia della nazionale ben 78 volte, mentre a livello di club vinse una Coppa del Re con la casacca del Valencia.
C'era anche un jolly a disposizione di Svensson, rispondeva al nome di Pontus Kamark che agiva indifferentemente da centrale o da terzino. Spese la maggior parte della carriera col Goteborg con cui vinse 5 campionati nazionali ed una Coppa di Svezia. Terzino destro naturale, ha ben presto imparato anche a fare il centrale il che gli garantiva il posto fisso per lo meno nella squadra di club; un'arma in più a disposizione del CT svedese.


Il centrocampo a 3 mischiava grande tecnica e sostanziale presenza fisica. A dettare tempi e ritmi ci pensava il capitano Stefan Schwarz, uno dei calciatori più vittoriosi della storia svedese e con un passato anche nella Fiorentina dove rimase 3 anni sul finire degli anni 90. Aveva nel senso della posizione la sua arma migliore e, forte del suo tocco morbido, era quasi sempre lui ad iniziare l'azione.
Col tempo le difese avversarie tentavano di bloccare Schwarz sul nascere dell'azione, cosicché Svensson ritenne opportuno affiancargli un altro giocatore con un buon tocco di palla; ben inteso, non come quello dell'ex Fiorentina ma comunque in grado di garantire una discreta tecnica.
Si tratta di Jonas Thern, vero e proprio frangiflutti che oltre a quanto appena detto, aveva nelle sue corde una grande corsa che ne faceva uno degli incontristi più apprezzati. Si guadagnò il posto al mondiale dopo le ottime prestazioni al Napoli che cedette all'offerta della Roma subito dopo l'impegno americano.
A completare il reparto il vero e proprio spacca-azioni, Klas Ingesson (FOTO), gigante in grado di fare il lavoro sporco; molto disciplinato tatticamente, raramente andava in difficoltà, forte dei suoi 190 cm che gli permettevano di arrivare sul pallone con grande facilità, essendo anche agile nel leggere le varie situazioni.
Al pari di Nilsson vinse la UEFA 1987 guadagnandosi dopo l'Europeo del 1996 la chiamata del Bari e successivamente quella del Bologna con cui partecipò alla grande cavalcata della Coppa UEFA 1998-1999.
Il jolly di centrocampo era Hakan Mild, centrocampista centrale anch'esso cresciuto nel Goteborg, un altro elemento su cui Svensson faceva affidamento per via della già enorme esperienza (nonostante avesse solo 23 anni) ottenuta proprio con la squadra biancoblu.


L'attacco era composto da due mezzepunte (o seconde punte se preferite) che partivano larghe e da un "classico 9". I 3 attaccanti in questione realizzarono 12 dei 15 gol realizzati nel torneo.
La prima furia sulla fascia rispondeva al nome di Tomas Brolin, prolificissimo attaccante che ha fatto anche la fortuna del Parma, non tanto in termini di gol quanto in fatto di presenza nei momenti chiave delle azioni offensive. Molto più prolifico in termini di gol con la maglia della nazionale, ben 26 in 47 partite.
Dalla parte opposta Martin Dahlin, all'occorrenza anche prima punta che ha fatto le sue fortune sul finire degli anni 80 con la maglia del Malmo, prima di approdare al Borussia Moenchengladbach con cui giocò 6 stagioni inframezzate da una non felice esperienza alla Roma. Il compito di Dahlin era quello di prendere palla, accentrarsi e dialogare il più possibile con il terminale di questo formidabile trio, Kennet Andersson (FOTO), classica prima punta dal grande fisico (193 cm) che ha sempre segnato con una discreta frequenza nelle numerose squadre in cui ha giocato, comprese quelle italiane dove ha fatto la fortuna soprattutto del Bologna. Dotato anche di una discreta tecnica (lo vedremo nel corso dell'articolo) era colui che aveva il compito di fare da boa per gli inserimenti degli esterni, cosa che gli riusciva al meglio vista anche la rapidità di pensiero di cui disponeva.
Il 4-3-3 non fu però il modulo utilizzato nella prima partita dove Svensson optò per un più cauto 4-4-2 che vedeva sulla fascia sinistra l'impiego di Jesper Blomqvist che in quel periodo bene stava facendo con la maglia del Goteborg, prima di passare poi al Milan ed al Manchester United senza troppe fortune.
C'era un ricambio di lusso in questa frizzante Svezia, era un ragazzo di appena 23 anni che stava stupendo in Olanda con la maglia del Feyenoord, si trattava di Henrik Larsson, una specie di sesto uomo cestistico utile sia nel ruolo di esterno d'attacco che in quello di prima punta. A riprova dell'utilità e della buona considerazione che ne aveva Svensson, mise assieme 5 presenze con la soddisfazione di un gol alla Bulgaria nella finale 3°-4° posto.


Nonostante un buon avvio nella gara d'esordio contro il Camerun grazie al gol di Ljung dopo appena 8 minuti, la Svezia fa fatica a raggiungere il 2-2 finale per via di un paio di disattenzioni difensive che spianarono la strada ai gol di Embe ed Omam-Biyik. Più che errori dovuti al modulo, sono proprio errori dovuti alla poca concentrazione; ma Svensson decide comunque di cambiare nella partita contro la Russia conquistando i 3 punti abbastanza agevolmente dopo l'iniziale vantaggio dagli 11 metri di Salenko che aveva messo la strada in salita. Con l'andare della partita torna sempre più utile il 4-3-3, il tutto testimoniato dal pareggio di Brolin (rigore) e dalla doppietta di Dahlin nella ripresa con due azioni davvero degne di nota e tipiche della manovra svedese. Nella prima possiamo notare la spinta in avanti di Ljung ed il buon dialogo con Thern, mentre nella seconda è Nilsson a servire Andersson (ecco la mobilità nonostante il ruolo di prima punta) che con un perfetto cross pesca Dahlin che insacca con un bel tuffo di testa.



Nell'ultima gara contro il Brasile già qualificato sarà sufficiente un punto per avere la matematica certezza di approdare agli ottavi di finale ed avere un sorteggio più morbido contro una delle terze.
Ne venne fuori un 1-1 dalle tante occasioni, con il vantaggio svedese confezionato dalla coppia Brolin-Andersson: assist del primo e colpo da biliardo del secondo.



L'avversario negli ottavi di finale è una delle sorprese del torneo, l'Arabia Saudita trascinata dal gran gol di Al-Owairan nella terza gara del girone contro il Belgio.
Quella contro i mediorientali sarà la gara più facile del girone, la Svezia sarà superiore in ogni settore del campo e verrà trascinata dalla doppietta di Andersson, definitivamente sbloccatosi dopo il gol al Brasile.
Certamente più impegnativo il quarto di finale contro la Romania, risolti ai calci di rigore dopo una partita epica giocata sotto il sole cocente di Stanford.
Per la prima volta nel torneo la squadra di Svensson si ritrova di fronte una squadra che gioca anch'essa con due seconde-punte (Dumitrescu e Hagi) ed una punta (Raducioiu), quest'ultimo autore della doppietta che ha mandato in difficoltà gli svedesi ad inizio gara e nei tempi supplementari.
La partita è molto tesa, nell'arco dei 90 minuti è la Svezia ad avere più occasioni trovando la via della rete solamente al 78' minuto per merito di Brolin abile a sfruttare una punizione battuta furbescamente, prima che Raducioiu spedisca tutti all'extratime a due minuti dal termine.
Caldo, paura e stanchezza la fanno da padrone ma ad avere la meglio è ancora la Romania che dopo aver sprecato un paio di occasioni, trova il vantaggio al minuto 101.
Ma i balcanici non hanno fatto i conti con Kennet Andersson che troverà il pareggio al 115' grazie anche ad un'uscita sciagurata del portiere romeno Prunea.
Il resto è affidato alla lotteria dei rigori dove sarà decisivo l'errore di Belodedici e la parata di Ravelli che a fine gara  commenterà così: "E' stata una partita bellissima, ma noi siamo stati poco professionali. Quando siamo andati in vantaggio, non lo abbiamo mantenuto. Dovevamo essere più furbi ed esperti. Brolin mi ha dato dei consigli, mi ha detto di stare al centro della porta il più a lungo possibile e di muovermi solo all'ultimissimo istante."



A questo punto di fronte alla Svezia si ripresenta il fortissimo (e più quotato) Brasile di Romario e Bebeto, reduce anch'esso da un'epica partita contro l'Olanda.
La partita è molto tesa con la Svezia che non riesce a costruire azioni degne di nota ed è così che a 10 minuti dalla fine è un colpo di testa di Romario ad interrompere il sogno dei Vichinghi, che dovranno quindi accontentarsi della finalina di consolazione.


Sabato 16 luglio 1994 va in scena quella che di solito diventa una passerella per gli spettatori o l'occasione per mandare in campo chi ha giocato meno; saranno ben 92.000 a gremire gli spalti del Rose Bowl di Los Angeles per Svezia-Bulgaria, match che vale la terza piazza e che mette di fronte le due vere rivelazioni del Mondiale americano.
Svensson manda in campo dal primo minuto Kamark e Mild, dando spazio nel finale anche ad Anders Limpar, alla prima presenza.
La Bulgaria è reduce anch'essa da un ottimo mondiale, avendo eliminato nei quarti di finale la più forte (sulla carta) Germania, perdendo in semifinale per merito dell'Italia trascinata da un meraviglioso Roberto Baggio.
I bulgari praticamente al Rose Bowl ci entrano solo fisicamente, non di certo con la testa, spianando la strada alla netta vittoria svedese per 4-0, il tutto a coronamento di una cavalcata da grande squadra, cosa quasi utopica all'inizio della manifestazione.
Brolin, Mild, Larsson ed il 5° gol di Andersson risolvono la pratica in appena 40 minuti.


A completamento di un grande gruppo è doveroso elencare anche chi in campo non ci è praticamente mai sceso o ha giocato solamente pochi minuti. Oltre al già citato Limpar hanno preso parte alla rassegna americana i portieri Lars Eriksson e Magnus Hedman, i difensori Mikael Nilsson e Teddy Lucic ed i centrocampisti Stefan Rehn e Magnus Erlingmark.
Davvero una grande impresa quella svedese che dopo il 1994 non riuscirà a ripetersi a livello internazionale a questi livelli; rimane comunque il bellissimo ricordo di una rosa completa ed unita con un tecnico che ha saputo gestire al meglio il gruppo a disposizione; un gruppo che per sempre farà parte della meravigliosa Storia dei Mondiali.


Matteo Maggio

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