Nell'arco dell'evoluzione stilistica del ruolo di portiere la tecnica relativa e la stessa interpretazione del ruolo hanno subito pesanti cambiamenti, evolvendo sotto un certo punto di vista, ma perdendo in parte il fascino di un tempo.
Negli anni'60/70 con l'avvento di nuovi ideali tattici si è assistito ad un maggior coinvolgimento dell'estremo difensore nello sviluppo della manovra, portando lo stesso ad essere un vero e proprio giocatore di movimento.
I susseguenti adeguamenti regolamentari ed un più recente penalizzazione del contatto fisico ha sì di fatto protetto il portiere, ma lo ha allontanato dalla figura di scavezzacollo per il quale è passato alla storia.
In tal senso aumenta la nostalgia per quando vedevamo un estremo difensore lanciarsi in mischie a discapito della sua incolumità, uscendo con costanza sui corner per sfruttare al meglio il grande vantaggio di poter usare le mani.
Questa descrizione si adatta perfettamente a Enver Marić, spettacolare, spericolato ed efficace portiere bosniaco protagonista con il Velez Mostar e con la nazionale Jugoslava.
Il suo storico soprannome di Panter Mara fa subito intuire l'esuberante esplosività fisica della quale dispone l'atleta nativo di Mostar, un longilineo fascio di muscoli disposto su 182 centimetri di altezza, esaltato da due gambe che sembrano sospinte da due molle per la rapidità ed i balzi mostrati.
Incurante del contatto fisico e pienamente conscio dei propri mezzi, Maric si impone ben presto nel contesto del Velež Mostar, fazione di matrice mussulmana che vive la rivalità cittadina come nessuno al mondo.
Incurante del contatto fisico e pienamente conscio dei propri mezzi, Maric si impone ben presto nel contesto del Velež Mostar, fazione di matrice mussulmana che vive la rivalità cittadina come nessuno al mondo.
I derby con lo Zrinjski sono da sempre il momento di massima esaltazione per entrambe le tifoserie, portando purtroppo a cruenti scontri, ma anche esaltando al massimo chi si distingue nella dura contesa.
Per il suo stile e per la sua baldanza Maric sin dall'esordio a 20 anni, nel 1968 contro il Partizan, diventa un idolo assoluto dei Rođeni, nonché uno dei maggiori talenti nel ruolo dell'intera Prva Liga.
Immagini come quelle di seguito comprovano la solidità dei suoi fondamentali tecnici e la proverbiale temerarietà nell'affrontare le situazioni nell'area di rigore.
In un'epoca nella quale si sta espandendo l'uso di guanti specifici, fa impressione notare come il suo stile non cambia di una virgola, implementando addirittura la presa ferrea, una delle sue peculiarità.
Altrettanto sbalorditiva è la sua tendenza ad uscire sempre sui corner, soprattutto se paragonata alla maggior staticità dei portieri di era recente: Marić arriva tranquillamente oltre al dischetto del rigore, dando grande sicurezza a tutto il reparto difensivo, sgravando in buona parte i marcatori dal misurarsi in robusti uno contro uno con l'avversario.
Il detto per il quale i portieri "sono tutti pazzi" vale anche per il baffuto numero uno bosniaco, il quale molte volte mette la testa laddove altri non metterebbero neanche il piede, reagendo agli inevitabili scontri solo con qualche smorfia e sfregando velocemente la parte colpita.
Un atteggiamento così coraggioso si spiega in buona parte anche con alcuni avvenimenti che hanno contraddistinto la sua vita, come lui ha raccontato in un'intervista al sito Yugopapir.
Marić racconta di festeggiare altri tre compleanni, oltre a quello connesso alla sua data di nascita.
Il secondo ricade quando da ragazzino con il fratello ha appiccato fortuitamente un incendio nei pressi della proprio abitazione, venendo salvato dai vicini quando i suoi vestiti stavano già bruciando.
Il terzo si riferisce a quando nel 1970, in vacanza in Neretva ha rischiato seriamente di annegare venendo trascinato a fondo e trovando la salvezza all'ultimo momento grazie all'intervento di altri bagnanti.
Il quarto è connesso ad un avvenimento successo nel contesto della nazionale, da lui frequentato dal 1972: in ritiro con i Plavi decide per scherzo di puntare una vecchia pistola verso l'amico Vahid Halilhodžić, facendo fuoco sicuro che la stessa sia scarica. Incredibilmente dall'arma parte invece un proiettile che sfiora la tempia del compagno, per pochi centimetri scampato a morte certa.
Marić non può fare a meno di sentirsi un miracolato, anche in relazione all'ultimo episodio che l'ha visto involontariamente attentare alla vita di quello che ritiene il giocatore più forte della nazionale.
Le ottime prestazioni offerte con il Velež Mostar gli valgono, come già anticipato, la convocazione in nazionale, con la quale partecipa al Mondiale del 1974, grazie anche al titolo di giocare jugoslavo dell'anno ottenuto l'anno prima.
In dote porta 23 presenze alcune della quali condite da ottime prestazioni, come quella contro la Germania Ovest del 1973 a Monaco, quando blinda il successo per 1-0 parando un rigore a Gerd Müller.
Il torneo inizia alla grande per gli uomini di Miljan Miljanić, primi nel loro girone grazie ai due pareggi contro Scozia e Brasile ed alla larga vittoria contro il malcapitato Zaire (9-0).
Marić dimostra la consueta sicurezza, guidando una retroguardia che prende un solo gol in tre partite (dallo scozzese Jeo Jordan) e che guarda con ottimismo al secondo girone.
Ottimismo che non viene confermato dal campo, dal momento che la squadra slava subisce tre sconfitte ad opera di Germania Ovest, Polonia e Svezia, lasciando un senso di incompiuto al termine della rassegna.
Il portiere del Velež Mostar può consolarsi con la buona impressione destata nel contesto internazionale, venendo apprezzato per la concretezza mostrata abbinata ad uno spettacolare stile.
Pur continuando a ben figurare nel contesto del suo amato club, perde il posto in nazionale alla vigilia dell'Europeo del 1976, quando il commissario tecnico Miljanić gli preferisce Ognjen Petrović della Stella Rossa, relegandolo al ruolo di riserva.
La scelta non paga in termini di risultati, dal momento che i Plavi vengono battuti sia dalla Germania Ovest (4-2), sia dall'Olanda (3-2), in un torneo organizzato proprio dalla Jugoslavia.
Al termine del torneo Marić mette fine alla sua esperienza con la nazionale, dopo 32 partite, l'ultima della quali giocate nel maggio del 1976 contro il Galles (1-1)
Siamo in un periodo nel quale i giocatori slavi sono svincolati da vincoli politici, finendo per ottenere proposte di ingaggio dalle squadre occidentali; tale possibilità è un pessimo segnale per i tifosi del Velež , i quali vedono spezzarsi in particolare il terzetto denominato BMV , composto da Dušan "Duško" Bajević, lo stesso Marić e Franjo Vladić, in tempi diversi emigrati verso Germania e Grecia
Proprio nel 1977 infatti Marić ha la possibilità di cimentarsi nella prestigiosa Bundesliga tedesca, quando accetta l'offerta dello Schalke 04, squadra di buon livello in Germania, che, anche grazie alle sue prestazioni, termina il campionato ad un solo punto dal fortissimo Borussia Mönchengladbach campione.
L'anno successivo i Minatori non confermano lo stato di grazia, racimolando solamente un nono posto, non in linea con gli obiettivi formulati alla vigilia.
E' proprio nell'estate del 1978 che Marić, impiegato parzialmente nell'ultima stagione, cede alla nostalgia di casa, decidendo di tornare a Mostar, per tornare ad indossare l'amata maglia dei Rođeni.
La decisione di rivela felice e vincente, dal momento che dopo tre anni il Velež vince il suo primo trofeo ufficiale, imponendosi nella finale di Coppa di Jugoslavia (o Coppa del Maresciallo Tito) a spese dei corregionali, ora connazionali, dello Željezničar.
Mattatore dell'incontro è Vahid Halilhodžić, proprio il miracolato protagonista dell'episodio della pistola, ma il contributo del sempre decisivo numero uno è fondamentale, considerando anche le partite di qualificazione alla finale.
La carriera prosegue fino al 1985, quando a 37 anni decide di terminare la lunga attività, restando comunque sempre in splendida forma e venendo sempre confermato titolare inamovibile.
Non termina però il suo amore per il calcio, che continua nelle vesti di allenatore (anche del Velež) e di preparatore dei portieri, portando la sua esperienza nuovamente in Germania, nei contesti del Fortuna Düsseldorf, e dell'Herta Berlino, prima di entrare nello staff della nazionale bosniaca.
Ci permettiamo di integrare la sua intervista a Yugopapir segnalando un ulteriore nuovo compleanno, a seguito dell'ictus da lui avuto nel 2010, un giorno dopo aver subito un delicato intervento al cuore.
Ancora una volta la Panter Mara l'ha in qualche modo scampata, restando una leggenda vivente del calcio jugoslavo, in particolare modo dai tifosi del Velež, che l'hanno ammirato per più di 500 partite.
Ammirazione condivisa anche dal leggendario Dragan Džajić, il quale in un match tra la squadra di Mostar e la Stella Rossa del 1972 non esitò a complimentarsi pubblicamente dopo una sua strepitosa parata.
I suoi balzi e le sue coraggiose uscite resteranno negli occhi e nel cuore di chi non può non dimenticare quando fare il portiere era davvero una vocazione e, probabilmente, una scelta tendente alla pazzia.
Il sottoscritto si schiera fieramente nella cerchia di tali nostalgici.
Giovanni Fasani
(Fonti: www.yugopapir.com)
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