martedì 26 agosto 2014

ERNEST WILIMOWSKI

Il secolo scorso rappresenta senza dubbio il fulcro della storia del calcio, nel quale da una fase pioneristica si è arrivati a quella dei nostri giorni, attraverso una miriade di stravolgimenti, talvolta direttamente collegati al contesto socio-politico.
Sovente tali avvenimenti hanno influenzato lo svolgimento dei vari campionati e limitato le carriere dei vari giocatori, costretti ad abbandonare la loro nazione o a vedersi privare del diritto di svolgere la propria professione.
Come sappiamo, il 1900 è stato caratterizzato da due conflitti mondiali, che hanno spazzato via vite, confini e, limitatamente al contesto calcistico, intere e fulgide carriere.
Nei casi più fortunati i protagonisti hanno visto solo ridursi le proprie opportunità, accettando di buon grado cambiamenti e decisioni politiche al fine di vedere salva la propria vita.
Un tale ambito sembra molto lontano da quello dei nostri giorni, abituati come siamo a vedere i giocatori come idoli e le questioni pre e post belliche solo come argomentazioni da libro di storia o da documentario.
Concentrandosi sul solo aspetto sportivo, il XX secolo è colmo di giocatori che solo in parte possono godere del giusto riconoscimento per le loro abilità, finendo per essere quasi del tutto dimenticati o presenti solo in qualche datato tabellino.
Ovviamente più passa il tempo e più risulta difficile poter dare la giusta dimensione a tali bistrattati atleti, nonostante siano da annoverare tra i più grandi interpreti dell’arte calcistica.
Nella maggioranza dei casi, solo i grandi appassionati possono avere confidenza con i loro nomi, dovendo sforzarsi di risalire a notizie tramite archivi distrutti o di sporadici racconti basati sulle scarse cronache dell’epoca.
Analizzando le gesta di uno di questi calciatori, il nostro riferimento va alla Polonia degli anni’30, terra in procinto di entrare, tragicamente, nell’area nazista e nella triste storia della Seconda Guerra Mondiale.
In questo contesto, proprio sul confine tedesco-polacco nasce Ernest Wilimowski, macchina da gol implacabile ed autentico incubo per le difese avversarie dell’epoca.


La sua infanzia è sin da subito influenzata dalle vicissitudini della sua famiglia e da quella della Polonia stessa, finendo per assumere tale cittadinanza nel 1922, quando ancora risulta di passaporto tedesco.
Tale periodo è per lui importante per la maturazione come calciatore, nonostante il suo piede sinistro sia affetto da polidattilia, vale a dire dalla presenza di sei dita.
La sua esperienza inizia nel Kattowitz dove resta fino all’età di 17 anni, quando ottiene di poter giocare con la squadra del Ruch Chorzow.
Si mette subito in mostra per la sua facilità nel trovare la rete, favorita da grande rapidità di movimento sorretta da un fisico prestante a dispetto della non straordinaria altezza.
Dentro l'area di rigore ha il grande preggio di farsi trovare sempre nelle giusta posizione per calciare, riuscendo a piazzare il pallone con precisione negli angoli più remoti della porta.
Tali caratteristiche gli permettono di realizzare 112 gol in 89 partite di campionato, vincendo 5 volte il titolo nazionale e per 3 volte la classifica marcatori. A tal proposito sin dalla prima stagione dimostra subito il suo straordinario feeling con il gol, segnando ben 33 reti.
Le sue grandi qualità sono ovviamente notate anche dallo staff tecnico della nazionale, che lo rende un punto fermo della rappresentativa dal 1934.
Due anni più tardi avrebbe l'opportunità di disputare le Olimpiadi di Berlino, ma la partecipazione gli viene negata per motivi discipilinari mai chiariti.
Nel 1938, però, il commissario tecnico Kaluza non può fare a meno di uno degli attaccanti più forti del panorama calcistico e lo convoca per la terza edizione dei Mondiali, da disputarsi in Francia.
La squadra Polacca è una delle più attese della rassegna, potendo contare oltre che su Wilimowski anche su giocatori del calibro di Szeszepaniak, Scherfke, Piontek ed altri leggendari protagonisti del relativo campionato polacco.
La particolare formula dell'epoca prevede che la manifestazione abbia inizio dagli ottavi di finale, da disputarsi con un'unica gara ad eliminazione diretta.
L'avversario per la rappresentativa polacca è il temibile Brasile, etichettato da tutti come favorito, essendo trascinato da un altro eccelso attaccante, Leonidas.
La partita è subito in salita per la Polonia, messa in difficolà dai palleggiatori brasiliani, che dominano il primo tempo, terminato 3-1. La rete polacca è realizzata da Scherfke su calcio di rigore, procurato da un'ottima giocata di Wilimowksi.
Nel secondo tampo cambiano le condizioni metereologiche, a causa di un insistente pioggia che spazza via la precedente afa e rende pesante il terreno di gioco.
In questo contesto più "europeo" sale in cattedra la punta polacca, che realizza tre reti, fissando la gara sul 4-4 e portandola ai tempi supplementari.
Al termine di essi la spunta il Brasile per 6-5 grazie a 2 reti di Leonidas, che rendono inutile il quarto gol personale di Wilimowski realizzato al 118° minuto.
Nonostante la sconfitta e la conseguente eliminazione, per la punta polacca resta la soddisfazione di essere il primo giocatore a realizzare 4 gol al Mondiale: tale record gli verrà sottratto da Oleg Salenko, che segnerà 5 reti durante il torneo del 1994. Tali numeri e prodezze riguardano le stagioni che precedono il 1939, anno nel quale si rende anche protagonista di una eccezionale prestazione, che rappresenta ancora un primato per il campionato polacco: in una partita contro l'Union Touring Lodz segna addirittura 10 gol nel 12-1 finale.
Appena dopo tale indimenticabile partita, la Polonia viene invasa dall'esercito nazista, costringendo la federazione ad interrompere il campionato e Wilimowski a cambiare squadra e nazionalità.
Wilmowski ottiene la cittadinanza tedesca ed il permesso di continuare a giocare a calcio, dato che ai polacchi viene tolto tale diritto.
Il governo tedesco decide di trasferirlo nel FC Kattowitz, con lo scopo di farla diventare la squadra più forte del campionato e mezzo efficace di propaganda.
A causa di tutto ciò termina anche la sua esperienza con la nazionale polacca, che lascia con il ragguardevole bilancio di 21 reti in 22 presenze.
In particolare la sua ultima gara coincide con una storica vittoria contro la fortissima Ungheria:  in tale occasione una sua memorabile tripletta sancisce il 4-2 finale in rimonta.
A questo punto la statistiche su di lui sono frammentarie o innesistenti, anche a causa dei passaggi di squadra ai quali è costretto.
Per lui è un periodo difficile, caratterizzato anche dagli sforzi da lui profusi per salvare la madre dal campo di concentramento al quale viene destinata: grazie alla sua fama di calciatore ed alla sua professione di agente di polizia riesce nell'intento, accettando, però, di giocare per le squadre tedesche vicino al regime.
Durante la guerra milita nel Chemnitz, e nel Monaco 1860, segnando con continuità e vincendo con la squadra bavarese la Coppa di Germania nel 1942. Tale successo viene ottenuto battendo in finale lo Schalke 04 per 2-0 e la prima rete porta proprio la firma di Wilimowski.
In questo periodo ha l'opportunità di giocare con la maglia della Germania e lo fa per 8 volte, mettendo a segno ben 13 gol. In un match giocato contro la Svizzera riesce nell'impresa di segnare ancora 4 reti nella stessa partita, trascinando la squadra tedesca nel 5-3 finale.
Al termine del conflitto viene ritenuto un traditore dal governo polacco e gli viene proibito di recarsi nella sua nazione; decide pertanto di traferirsi definitvamente in Germania, giocando fino al 1959 per Augusta, Offenburger, Singen, VfR Kaiserslautern e Kehler.
Come accennato, per buona parte della sua carriera non ci sono cifre certe, essendo non reperibili al momento dati statistici attendibili sulle sue apparizioni e realizzazioni.
In modo analogo ad altri campioni dell'epoca, viene fatto un conteggio sulla base delle testimonianze e sulle cronache dell'epoca, tentando di rendere quantitativo quello che le parole possono solo rendere altamente qualitativo.
Nel caso di Wilimowski si può parlare di 554 reti ufficiali, bottino che salirebbe a 1175 se venissero contate le partite amichevoli ed alcuni tornei giocati nel periodo di dominazione nazista.
Alla luce di quanto riportato, non sembra giusto dover dare un numero ad un tale fenomeno, esempio di come il talento riesca ad imporsi anche in contesti terribili come quelli bellici.


Di lui resta un frammentario video, molti gol ed il rimpianto di non aver potuto dimostrare ulteriormente la sua abilità in un'Europa libera, magari in quei campionati che qualche anno più tardi accoglieranno anche i grandi talenti provenienti dalla parte orientale del continente.
Nella sua vita resta la delusione per non aver partecipato al Campionato del Mondo del 1954, vinto dalla Germania Ovest e visto solo come spettatore; non viene considerato dal commissario tecnico a causa dei sui 38 anni, nonostante sia ancora in ottima forma e altamente prolifico.
A questa non positiva situazione si aggiunge il suo tormentato rapporto con la natia Polonia, paese che lo rifiuta più volte e nel quale non fa più ritorno.
In questi casi lo spazio per rimpianti e risentimenti deve lasciare spazio alla giusta celebrazione di un grande campione, più forte anche di quelle folli decisioni politiche che massacrano paesi, uomini ed immensi calciatori.



Giovanni Fasani

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