Il talento naturale è uno splendido e prezioso dono che madre natura assegna senza un apparente senso logico, andando a rendere speciale qualsiasi tipo di personaggio e di personalità.
Quando a tali doti si accompagna la giusta professionalità ed il corretto atteggiamento il risultato ottenuto è quello di una grande fuoriclasse.
Altre volte a beneficiare di doti fuori dalla norma sono personaggi “particolari”, in grado di utilizzare solo in parte le proprie abilità, dissipando in prima persona la possibilità di entrare nella storia del calcio.
L’elenco per entrambe le casistiche sarebbe lunghissimo, ma non vi è dubbio che nel secondo in questione è possibile fare la conoscenza di calciatori davvero unici e pittoreschi.
Tra atteggiamenti sbagliati e comportamenti fortemente controtendenza, potenziali fenomeni danno per scontato il loro fenomenale talento, arrivando ad utilizzarne pigramente solo una minima percentuale.
Talvolta la loro carriera arriva ad un certo punto ad essere brillantissima, salvo assumere dopo poco tempo la forma di una triste parabola discendente.
Un caso su tutti è quello di Omar Corbatta, ala destra talmente forte da essere paragonato al celebre Garrincha, del quale, ahimè, ha replicato in maggior misura gli eccessi e le dipendenze al di fuori del rettangolo di gioco.
Le sue qualità vengono subito notate nella natìa La Plata, dove l’Estudiantes non esita un secondo a mettere sotto contratto un ragazzino piccolo e gracile, dotato però di uno spunto e di una tecnica che lo rendono realmente immarcabile.
I primi anni di vita e di carriera del giovane Omar non potrebbero essere più duri: la sua famiglia vive in condizioni di estrema povertà, arrivando a fatica a procurarsi il necessario per sfamare gli otto figli.
Siamo nell’Argentina degli anni ’50, dove c’è poco spazio per lo svago e dove l’essere bambini è un lusso che non ci si può permettere.
Sin da giovane, quindi, Corbatta è costretto a lavorare ed a contribuire al bilancio famigliare, tralasciando del tutto la scuola. Tale privazione le rende di fatto analfabeta, condizione che manterrà per tutta la sua vita.
Come se non bastasse arriva una frattura alla caviglia a far terminare anzitempo la sua esperienza all’Estudiantes, che decide di lasciarlo libero nonostante le indubbie doti del giovane calciatore.
Quello che sembra la fine di un sogno diventa in realtà una nuova possibilità, dal momento che la funambolica ala torna ai massimi livelli nelle file del Juverlandia di Chascomús, squadra dilettantistica sempre di La Plata.
Durante un torneo viene notato dai dirigenti del Racing di Avellaneda che nel 1955 decidono di metterlo sotto contratto per giocare con la prima squadra.
L'Academica si assicura così le prestazioni di un'ala destra funambolica e rapida, un autentico maestro del dribbling che utilizza in ogni sua giocata, diventando un incubo per ogni terzino avversario.
La sua tecnica di base è elevatissima, sorretta da un piede destro molto preciso nelle conclusioni anche dalle media distanza.
A tal proposito è ricordato anche come uno specialista dei calci di rigore: statistiche alla mano pare ne abbia sbagliati solo 4 su 69 tentativi.
Dotato di grande sfrontatezza, Corbatta aspetta letteralmente il diretto opponente per irriderlo con finte e dribbling di varia natura, per poi puntare la porta o mettere al centro invitanti traversoni.
Talvolta, ovviamente, è portato ad esagerare in tale atteggiamento, arrivando davvero vicino all'assurdo: la leggenda narra che in una partita contro il Chacharita Juniors improvvisamente decide di saltare tutti gli avversari puntando verso la propria porta, salvo ripensarci per saltare nuovamente gli stessi avversari per avviarsi stavolta verso la porta del portiere rivale.
La sua prima parte di carriera è ricca di episodi simili, dove talvolta il suo ego e la ricerca della giocata lo portano ad essere fine a se stesso e talvolta fuori dal concetto di collettivo.
In lui non c'è il minimo senso tattico ed il suo unico scopo è quello di farsi dare la palla ed inventare giocate e dribbling talmente spontanei da sembrare quasi irreali.
I tifosi impazziscono per le sue strepitose ed impensabili giocate arrivando a coniare per lui i soprannomi di El dueño de la raya (il padrone della fascia laterale) ed El Arlequin (Arlecchino).
Ovviamente i detrattori non possono che coniarne un altro meno celebrativo, ma ugualmente esemplificativo del suo stile di vita in campo e fuori, El Loco.
Tuttavia dal 1957 al 1962 riesce realmente a fare la differenza per il Racing, dimostrandosi all'altezza della nomea di campione e segnando qualcosa come 79 reti in 195 partite di campionato.
Le sue giocate portano la squadra al titolo per ben due volte (1958 e 1961) e vengono notate anche dalla nazionale argentina, della quale inizia a far parte dal 1956.
L'anno successivo vince con la Seleccion la Copa America, ritagliandosi un notevole spazio in una squadra composta da giocatori quali Omar Sivori, Antonio Valentin Angelillo, ed Humberto Maschio. Nelle dieci partite giocate l'Abiceleste segna ben 25 reti, con Corbatta che contribuisce con 2 realizzazioni contro Colombia e Cile.
La sua stella brilla anche nel Campionato del Mondo del 1958, nonostante l'Argentina abbandoni la competizione al termine del girone iniziale: Corbatta va a segno in tutte e tre le partite giocate (con 2 rigori), compreso un bellissimo gol nella sconfitta per 3-1 contro la Germania Ovest.
Nel 1959 l'Argentina ospita la ventiseiesima edizione della Copa America e lo fa con una squadra profondamente rivoluzionata, priva di quasi tutte le stelle del 1957, salvo Omar Corbatta.
Quest'ultimo è il vero trascinatore della squadra, portandola al successo finale dopo un duro e serrato confronto con il Brasile. Oltre alle tre reti segnate, il giocatore del Racing è il punto di riferimento per tutti i compagni, che si affidano volentieri alle sue giocate e sopportano a denti stretti le sue esagerazioni.
Tale successo lo porta ad essere uno dei migliori giocatori di tutto il Sudamerica, con la concreta possibilità di migliorare ulteriormente un profilo tecnico già elevatissimo.
Per lui si sprecano nomignoli quali il Garrincha argentino, proprio perché ricorda il brasiliano per lo stile e l'efficacia delle sue giocate
Dopo il titolo del 1961 con il proprio club, la stella di Corbatta inizia però ad offuscarsi inesorabilmente e rapidamente a causa della sua dipendenza dall'alcol.
L'anno successivo il Racing lo cede volentieri al Boca Juniors, utilizzando i soldi della sua cessione per ristrutturare lo stadio.
Nel nuova contesto Corbatta non riesce a mettersi in mostra come potrebbe, arrivando a presentarsi sovente ubriaco ad allenamenti e partite.
I tifosi Xeneizes ammirano la sua straordinaria abilità in ben poche occasioni, che si possono contare realmente sulle dita di una mano, dato che gioca solo 18 partite di campionato nel biennio 1963/1965. Una su tutte resterà per sempre nella memoria dei tifosi della Bombonera: in un match contro il Velez Sarfield Corbatta segna una meravigliosa tripletta, giocando praticamente una partita perfetta.
Le sue prestazioni salgono di tono anche nella Copa Libertadores del 1963, dove il Boca Juniors perde nella doppia finale contro il Santos di Pelè.
Già dal 1962 non viene più convocato dalla nazionale, a causa dei suoi atteggiamenti e della sua sregolata vita fuori dal campo: lascia comunque con un bottino di 18 reti in 43 partite.
Finita l'esperienza a Buenos Aires tenta l'avventura in Colombia, dove gioca 4 campionati nell'Independiente Medellin. Nonostante un fisico provato dagli eccessi regala ancora qualche magia. Durante tale esperienza ha anche modo di affrontare il Racing in Copa Libertadores, nell'edizione del 1967 vinta proprio dalla squadra di Avellaneda.
Nel 1969 rientra in Argentina ormai lontano dalla parvenza di un vero giocatore, nonostante continui a giocare per mantenersi. Le esperienze con San Telmo, Italia Unites e Tiro Federal servono solo per le statistiche, essendo ormai Corbatta un alcolista cronico.
Terminata la carriera la sua dipendenza peggiora senza sosta, così come le sue condizioni di vita, che lo portano, addirittura, ad andare a vivere nell'Estadio Juan Domingo Peron, casa del Racing Club.
La sua morte, avvenuta nel 1994, mette fine ad un'esistenza tormentata ed infelice, segnata più dal demone dell'alcol che dal quel copioso talento che madre natura gli aveva concesso.
Nel ricordi degli sportivi restano i suo anni d'oro con il Racing e con la nazionale, dove davvero Omar Corbatta era una delle migliori ali destre mai viste su un rettangolo di gioco, il vero e solo Dueño de la raya.
Giovanni Fasani
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