mercoledì 28 agosto 2019

LUTZ PFANNESTIEL IL PORTIERE CHE HA GIOCATO IN TUTTO IL MONDO.


Ogni calciatore ha la sua storia. C’è chi da bambino sogna di giocare per la propria squadra del cuore, chi sogna di vincere coppe e trofei, giocare negli stadi più prestigiosi del mondo e magari vestire la maglia della Nazionale. Per quei pochi che arrivano a realizzare questi sogni molti altri finiscono per essere piccole comparse nel grande racconto del calcio, magari giocando nelle divisioni minori e riuscendo comunque a fare del football il proprio lavoro ma con un pizzico di malinconia di quello che poteva essere e invece non è stato.
A volte è sfortuna, a volte mancanza di talento o di carattere, spesso una combinazione di tutte queste cose. C’è chi potrebbe deprimersi.
Ma questa è la storia di un calciatore che, pur dotato di un certo talento, ha deciso di vivere la sua vita calcistica in modo completamente diverso, inseguendo più la conoscenza che il denaro e la fama, più la crescita personale che quella sportiva.
Finendo per avere una carriera unica ed inimitabile, una carriera da “Guinnes dei Primati” quasi impossibile da ripetere.
Finendo per diventare non il portiere di una squadra, o di un certo numero di squadre, o di una Nazionale, ma “il Portiere del Mondo”, un nomade inarrestabile affamato di calcio e voglia di conoscere le diverse realtà – calcistiche e non – del pianeta.
Questa è la storia di Lutz Pfannenstiel. 



Colui che diventerà “il Portiere del Mondo” nasce nel maggio del 1973 a Zwiesel, in Baviera. Si avvicina al calcio appena tredicenne, entrando nella squadra locale dove rimane per 3 anni mostrando un certo talento, quindi passa al FC Vilshofen, una squadra un gradino superiore, dove a 17 anni si fa notare al punto da finire nella Nazionale Under-17 tedesca, con la quale gioca 5 gare.


Il debutto da professionista avviene appena maggiorenne, la squadra è ancora bavarese, il Bad Kotzting, che con Lutz tra i pali disputa la migliore stagione della sua storia arrivando al terzo posto nella quinta serie regionale tedesca.

E’ in questo periodo che viene notato dagli osservatori del Bayern Monaco, la squadra più forte e prestigiosa di Germania e tra le migliori al mondo: le trattative per un suo trasferimento nella squadra che ogni giovane tedesco sogna sono ben avviate, e nelle intenzioni del club Pfannenstiel verrà inserito nella seconda squadra, dove potrà crescere e farsi le ossa per poi magari, un domani, arrivare alla squadra titolare.

E’ qui che la carriera di Lutz cambia: giovane e irrequieto, sicuramente incosciente, il ragazzo manda all’aria la trattativa temendo di ammuffire nella squadra riserve per troppi anni, e decide invece di spostarsi.
Dalla Bavaria, che non ha mai lasciato fino ai vent’anni, il salto è notevole: diventa il portiere del Penang FA, una delle squadre più forti e titolate della Malesia. La storia dura un anno, ma poi il richiamo del calcio “reale” è forte, e questo ragazzone di quasi 190 centimetri torna a fare sul serio: è la patria del football che lo chiama, l’Inghilterra, le squadre sono il Wimbledon prima ed il Nottingham Forest poi, squadre della massima serie dove però non trova mai spazio.
Dopo un esperienza in prestito di sei mesi agli Orlando Pirates in Sudafrica, dove per la prima volta comincia ad informarsi dei danni del surriscaldamento globale sul pianeta (un tema che più avanti come vedremo prenderà molto a cuore) e nella quale perlomeno ritrova il campo, è la volta di un altro viaggio: destinazione la Finlandia, dove prima si distingue con il TPV e poi, pochi mesi dopo, viene acquistato da un club superiore, l’Haka, dove però finisce ai margini.
Ci sono tutti i presupposti per tornare in Germania, ed è quello che accade. A 25 anni, forse, Pfannenstiel pensa alla stabilità, firmando per il piccolo Wacker Burghausen, ma quando si ha un carattere avventuroso ci sono poche possibilità di restare soddisfatti giocando nelle retrovie del calcio tedesco: la stagione 1999/2000 lo vede quindi emigrare ancora, stavolta in Singapore, nel Geylang United, la nona squadra in nove anni.



Qui Lutz si impone come il miglior portiere del modesto campionato asiatico, giocando bene e diventando un idolo dei tifosi. Gioca bene, gioca troppo bene, ed è così che inspiegabilmente una notte la polizia si presenta a casa sua e lo arresta: l’accusa è di aver scommesso in alcune partite del suo club, l’indizio sarebbe il fatto che ha giocato “fin troppo bene”. Non ci sono prove, e tutto finirà in una bolla di sapone, ma nel frattempo Pfannenstiel si fa 101 giorni di prigione, un esperienza che lui definirà “terribile, la peggiore della mia vita”, imprigionato senza un perché e ridotto a bere l’acqua dalla tazza del water per le impressionanti condizioni in cui viene custodito.
Quando esce di prigione, dunque, ce ne è abbastanza per lasciare il paese. La tappa successiva è addirittura la Nuova Zelanda, il club il Dunedin Technical, le prestazioni sono ottime ed il paese è bello abbastanza da convincerlo a rimanervi ben tre stagioni, pur se alternate da prestiti infruttuosi in Inghilterra e Germania, paesi nei quali proprio Lutz non riesce ad imporsi, pur se in squadre minori come il Bradford Park Avenue ed il Cham.
Il suo nome sui giornali, in Inghilterra, ci finisce però ugualmente: nel tradizionale turno del “Boxing Day”, che si svolge a Santo Stefano, Pfannenstiel ed il suo Bradford Park Avenue affrontano la squadra più forte della divisione minore in cui giocano, l’Harrogate Town, che può vantare tra le proprie fila Clayton Donaldson, futura meteora del calcio britannico. Quando questi gli si presenta solo davanti alla porta, Lutz esce a valanga rimediando un calcio nello sterno che lo manda letteralmente all’altro mondo.
Per tre volte Pfannenstiel smette di respirare, davanti agli occhi dei 500 spettatori presenti e dell’arbitro, che abbandona il match – di fatto annullandolo – perché sotto shock.


La prontezza del medico della squadra, Ray Killick, permette a Lutz di sopravvivere grazie ad una prolungata respirazione bocca a bocca che consente ad un ambulanza di intervenire per tempo e salvargli la vita.
In poco tempo Pfannenstiel è pronto per tornare a giocare, conclude in gloria la sua esperienza neozelandese con il Dunedin e, dopo un prestito nella seconda divisione norvegese dove veste la maglia del Baerum SK, è la volta di un nuovo Continente: appena trentunenne firma per i Calgary Mustangs, squadra canadese impegnata nella serie “di sviluppo” americana e che al termine della stagione chiude i battenti, visto lo scarso seguito di pubblico conseguito “equivalente a quello di una squadra inglese di sesta serie”.
Evidentemente la Nuova Zelanda è rimasta nel cuore a questo portiere-giramondo, ed ecco che appena un anno dopo averla lasciata Lutz ritorna a Dunedin, anche se stavolta veste la maglia dei rivali cittadini dell’Otago United: poco importa, anche stavolta è il migliore, e si toglie pure la soddisfazione di giocare un anno con Terry Phelan, glorioso calciatore irlandese venuto in Oceania a svernare.
Sono due ottime stagioni, ma Lutz non ha intenzione di fermarsi, e pur se benvoluto dai tifosi locali saluta tutti e approda in Albania, al KS Vllaznia Shkoder, dove gioca bene ma non viene pagato (“una cosa che mi è successa spesso nel mio girovagare”, dirà) finendo per mollare dopo sei mesi: va in Armenia, al Bentonit Ijevan, ma è come passare dalla padella alla brace. Anche qui soldi non se ne vedono, e Pfannenstiel è costretto ad arrangiarsi visto che rimane senza un soldo in tasca finendo anche per passare un paio di notti all’aperto, situazione surreale visto che oltre ad essere un giocatore del club ne sarebbe, in teoria, anche l’allenatore.
Riesce a contattare il Baerum SK, dove aveva giocato bene quattro anni prima, ed il club norvegese finisce per salvarlo riportandolo nel paese dei fiordi: pochi mesi, Lutz ritrova se stesso e la fiducia nel mondo ed è quindi pronto per l’ennesimo viaggio. Ancora Canada, stavolta però una squadra di un certo livello, almeno localmente: i Vancouver Whitecaps. Non è una bella esperienza, poche gare e molte incomprensioni con l’allenatore e via, ci si sposta più a Sud.
Un nuovo continente, un nuovo calcio: il Brasile, la terza serie con la maglia dell’Hermann Aichinger, appena sei mesi ma pregni di significato, nei quali si toglie la soddisfazione di giocare nel glorioso “Maracanà”, lo stadio più famoso del mondo.
Nel frattempo è diventato anche l’allenatore dei portieri della Nazionale di Cuba, giusto per aggiungere un altro timbro al suo passaporto.




Sono gli ultimi spiccioli di una carriera incredibile, c’è ancora tempo per un breve ritorno in Norvegia (Flekkeroy IL e Manglerud Star) e la chiusura in Namibia, nei Ramblers FC, dove esalta i tifosi giocando ben due stagioni ad altissimi livelli, allenando la squadra ed essendone anche il direttore sportivo oltre che giocatore e nel contempo allenando anche i portieri della Nazionale Namibiana. Nel 2011, trentottenne, si ritira dal calcio giocato.
Finisce la sua avventura calcistica, dunque, ma non la sua vita avventurosa: per settimane si chiude in un igloo filmando tutto con delle telecamere stile “Grande Fratello” e mandando il tutto in diretta in rete, l’anno successivo fa lo stesso in una casa sull’albero in Amazzonia.
Sono azioni eclatanti che servono per pubblicizzare il suo sito, “Global United Football Club”, dove si impegna in prima persona per sensibilizzare il mondo su temi come la povertà ed il surriscaldamento globale. Il suo sogno? Organizzare una partita di calcio in Antartide, l’unico Continente che non ha toccato con un pallone in mano, coinvolgendo le più grandi stelle calcistiche del mondo.
Terminata la carriera, Lutz Pfannenstiel fa finalmente ritorno in Germania, diventando osservatore per l’Hoffenheim: certamente non c’è persona più adatta di questo pittoresco e avventuroso cittadino del mondo per visitare le varie realtà calcistiche del pianeta.
Finisce così questa storia, una storia davvero unica: Lutz Pfannenstiel ha giocato per 25 squadre in 13 diversi paesi del Mondo, ed è l’unico calciatore professionista nella storia ad aver giocato in tutte e sei le Confederazioni della FIFA. Un primato inarrivabile, riconosciuto anche dal “Guinnes World Records”, una storia che ha raccontato in un libro autobiografico (“Unhaltbar — Meine Abenteuer als Welttorhüter”, che significa “Inarrestabile – Le mie avventure come Globetrotter”) e che lo ha reso a tutti gli effetti “il Portiere del Mondo”.


Danilo Crepaldi

 

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