Nei miei ricordi da bambino trova un posto particolare un partita giocata dalla nazionale italiana contro la Norvegia nel maggio del 1987
La sfida, un'amichevole d'inizio stagione, non è ricordata per nessuno motivo particolare dai più, alla luce anche del pareggio per 0-0 finale dell'Ullevaal Stadion di Oslo.
Quello che ha colpito l'attenzione di un bambino di sette anni è la figura del portiere norvegese Erik
Thorstvedt ed in particolare una sua acrobatica presa nel corso del match per bloccare una conclusione di Roberto Mancini.
Da poco entrato nel mondo calcistico e fanatico di "Holly e Benji" non potevo non constatare ammirato di come certi gesti tecnico/atletici potessero effettivamente essere riproposti anche in un campo vero.
Nella rappresentazione grafica del grande Carmelo Silva si evince la bellezza del tuffo, così stilisticamente perfetto da imprimere nella mia giovane mente il nome del portiere norvegese, indipendentemente dalla inevitabile difficoltà fonetiche dovute alla mia giovane età.
Nella rappresentazione grafica del grande Carmelo Silva si evince la bellezza del tuffo, così stilisticamente perfetto da imprimere nella mia giovane mente il nome del portiere norvegese, indipendentemente dalla inevitabile difficoltà fonetiche dovute alla mia giovane età.
Ricordo di essere rimasto impressionato anche dalla massiccia fisicità del numero 1 norvegese, finendo per paragonarlo a Peter Schmeichel, altro portiere scandinavo da me visto nella sfida contro la Danimarca dell'Europeo di qualche mese prima.
La similitudine creata dalla mia innocente mente si basava sul fatto che entrambi i portieri erano mastodontici, ma allo stesso tempo agili e spettacolari. Quello che ignoravo è che trent'anni dopo mi sarei ritrovato ad avvalorare ed a giustificare tale paragone.
Non volendo forzare il paragone tra carriera e valori diversi, sono però ancora oggi ammirato dalla figura di Thorstvedt, meglio conosciuto come Erik il Vichingo.
Non è solo la provenienza geografica a garantirgli tale soprannome, ma anche l'imponente statura (193 centimetri) e la corpulenta corporatura: tra i pali il "gigante" di Stavanger sembra coprire davvero tutto lo specchio della porta, completando tale aspetto con un agilità da acrobata che gli permette di volare a neutralizzare anche il tiro più angolato.
Delle sue prestazioni usufruisce inizialmente il Viking F.K. squadra della natia Stavanger, prima di passare per una stagione all'Eik Tønsberg dove si guadagna la sua prima convocazione nella nazionale maggiore.
Il susseguente ritorno al Viking e la partecipazione all'Olimpiade del 1984 rendono il suo nome conosciuto a livello internazionale, contribuendo a nominarlo come uno dei portieri più futuribili d'Europa.
Delle sue ottime prestazioni di accorge il Borussia Mönchengladbach, sua nuova squadra per la stagione 1986/1987 con la quale può mettersi in mostra ad un livello più elevato.
L'esperienza è agrodolce dal momento che sono solo 16 le apparizioni in campionato, denotando forse che il suo processo di piena maturazione è ancora in corso.
Serve una positiva esperienza in una realtà diversa e la chiamata del Göteborg sembra arrivare nel momento giusto: la squadra svedese lo sceglie come successore di Thomas Wernersson e viene premiata da un grandissima stagione, quella della sua definitiva consacrazione.
Un ulteriore e meritato salto di qualità gli è garantito dall'allenatore del Tottenham Terry Venables, il quale, nel 1988 decide di investire £ 400.000 per il suo cartellino, non soddisfatto della prestazioni di Bobby
Mimms.
Per l'estremo difensore norvegese il poter giocare in Inghilterra è un sogno che si realizza, tant'è che al momento che presentazione con gli Spurs dichiara:"in Norvegia siamo
cresciuti con il calcio inglese in TV ed è stato bellissimo per noi. Avevo tutte le
foto della prima squadra sul muro che ho raccolto da Shoot !, Goal and Match
Magazine ed ero molto orgoglioso!!"
Ci mette un po' a trovare il giusto feeling con una città come Londra, così come ad adattarsi al calcio praticato in Inghilterra in quel periodo: non mancano in tal senso mugugni sulle tribune di White Hart Lane, scaturiti dalla scarsa fiducia riposta nei sui mezzi e da alcune incertezze durante le prime uscite stagionali.
In particolare incappa in un brutto errore contro il Nottingham Forrest, quando si lascia sfuggire un tiro di Nigel Clough, per giunta in diretta televisiva.
Thorstvedt appare affranto dall'errore ed al termine dell'incontro dirà:"È il peggior errore che abbia mai commesso, non avevo mai fatto niente del genere prima d'ora".
Anche la stampa più o meno velatamente inizia a criticarlo e titoli anche ironici come "Thor Blimey!"" sembrano mettere in discussione la sua idoneità come portiere titolare del Tottenham
A mettere a posto le cose di pensa lo straordinario rapporto con i compagni, in particolare con Paul Gascoigne, i quali idealmente lo "adottano" e lo aiutano ad inserirsi positivamente nella nuovo realtà.
Personaggi come il grande Gazza, suo iniziale coinquilino, Paul Walsh, Paul Stewart , Mitchell Thomas, Gary Mabbutt e Gary Lineker sono elementi trainanti di uno spogliatoio forte che lo supporta sin dal primo momento.
Il suo primo Clean Sheet nella gara contro il Southampton viene festeggiato con il lancio dei guanti al pubblico, gesto da lui più volte ripetuto, come a sancire l'inizio di un reciproco rapporto di stima.
Per gli Spurs sono anni di buoni piazzamenti e parziali soddisfazioni, dove mancano però vittorie che possano rinverdire i fasti di un tempo; la rosa a disposizione di Venables è però di ottimo livello e nella stagione 1990/1991 arriva l'ottavo successo in FA, dopo una dura finale contro il Nottingham Forrest di Brian Clough.
Thorstvedt è una dei grandi protagonisti della vincente cavalcata, laddove però la sua gioia e quella dei compagni viene mitigata dal grave infortunio subito da Paul Gascoigne nel primo tempo del match finale.
Il portiere norvegese dedica idealmente il successo allo sfortunato compagno, da lui etichettato come il fattore decisivo per l'ottenimento dell'agognata finale. Da buon scandinavo ha candidamente ammesso di essere stato un po' in imbarazzo durante la successiva festa, preferendo stare in disparte ad ammirare la medaglia commemorativa conquistata.
Gli anni successivi sono avari di soddisfazioni per gli Spurs, con la cessione di Gascoigne a confermare la non buona situazione economica del club: arriveranno infatti mediocri piazzamenti, frutto di una rosa non più all'altezza dei migliori club inglesi.
Thorstvedt si toglie la soddisfazione di partecipare al suo primo ed unico campionato del mondo, quando nel 1994 la Norvegia prende parte al torneo negli Stati Uniti.
La rappresentativa allenata da Egil "Drillo" Olsen termina l'avventura dopo il girone iniziale, terminando a pari punti con Messico, Eire ed Italia, ma pagando a caro prezzo la sconfitta per 1-0 proprio contro la formazione di Arrigo Sacchi.
Fermo restando la delusione per l'eliminazione, il ritorno ad una fase finale di un Mondiale dopo 56 anni è la prova concreta della rinnovata qualità del movimento calcistico norvegese: a tale ripresa Thorstvedt partecipa in modo parziale, essendo la sua efficienza fisica minata da quello che viene chiamato "Jumpers Knee", vale a dire una brutta patologia alla rotula del ginocchio.
Nonostante le tante terapie e varie infruttuose operazioni, nel 1996 il portierone norvegese si arrende al problema fisico, lasciando per sempre il campo giocato, abbandonando il Tottenham, dove viene progressivamente rimpiazzato da Ian Walker, ma anche la nazionale dopo ben 97 presenze.
Resterà nel mondo del calcio come preparatore dei portieri, ma nei miei occhi di amante del calcio ormai cresciuto la figura del portierone norvegese è irremovibile.
Ancora oggi la mia reminiscenza infantile lo identifica come una combinazione di Benji Price e Peter Schmeichel.....
Giovanni Fasani
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