mercoledì 4 luglio 2018

LA COMPAGINE DEL DIAMANTE NERO

Le selezione brasiliana all'opera al Mondiale 1938 è probabilmente una delle più sottovalutate a livello globale, vuoi per il poco gratificante terzo posto finale, vuoi per le successive e vincenti generazioni che hanno glorificato il calcio verdeoro.
Risulta facile identificare la rappresentativa allenata da Adhemar Pimenta con la figura del grande Leônidas da Silva, attaccante talmente forte da essere soprannominato in patria El Diamante Negro, in virtù di una tecnica formidabile abbinata ad una velocità e ad una spettacolarità mai viste all'epoca.
 


 
Famoso anche per l'abilità nell'effettuare la celebre Bicicleta, la punta in forza al Flamengo è il simbolo assoluto di una nazionale vogliosa di imporsi nella manifestazione anche per dimenticare la pessima figura rimediata quattro anni prima, rappresentata dall'eliminazione ai quarti di finale per mano della Spagna di José Iraragorri, Isidro Langara e del Divino Ricardo Zamora.

Leônidas, presente nel 1934 ed in gol contro gli spagnoli, è il riferimento offensivo di una squadra che nel corso del tempo ha implementato la fase difensiva, inasprendo in tal senso la fase di non possesso attraverso tackle più aggressivi ed introducendo movimenti utili al contenimento dei giocatori avversari.
Seppur fortemente migliorato in tale fondamentale, il Brasile non riuscirà a limitare la storica eccessiva sicurezza nei proprio mezzi, concretizzando al massimo il suo eccesso di ego nella scelta di non schierare Leônidas nella semifinale con l'Italia; la scelta si rivelerà deleteria, tant'è che gli uomini di Vittorio Pozzo si imporranno per 2-1, riportando con i piedi per terra il tecnico Pimentas, il quale aveva già prenotato i posti sul volo diretto a Parigi, sede della finalissima.
Quest'ultimo giustifica la scelta come frutto della sua stanchezza dopo la "battaglia" contro la Cecoslovacchia ai quarti, vinta per 2-1 , dove il fenomeno brasiliano aveva subiti molti falli.
Al di là del colpevole atteggiamento, la formazione che si presenta in Francia è composta da calciatori di grandissimo livello, meritevoli di un posto di riguardo nella ricca e strabiliante storia calcistica brasiliana.
Attraverso lo schema seguente, modellato sul tipico modulo a Piramide, ci si rende immediatamente conto di come i compagni di Leônidas e compagni avrebbero davvero potuto portare il titolo in patria (dato l'utilizzo di più elementi nel corso del torneo prendiamo a riferimento la formazione della storica partita contro la Polonia vinta per 6-5).


Il ruolo di portiere è inizialmente affidato a Algisto Lorenzato, per tutti Batatais, guardiano della porta della Fluminense, finito tra i pali quasi per caso, dopo che aveva iniziato la carriera come ala sinistra.Dopo essere stato impegnato nella prima epica partita contro la Polonia viene successivamente sostituito da Walter de Souza Goulart, da poco approdato al Flamengo.Quest'ultimo viene confermato fino alla malaugurata semifinale contro l'Italia, quando cede nuovamente il posto a Batatais per la vincente finale terzo/quarto posto contro la Svezia.
Nel reparto difensivo troviamo Domingos da Guia, autentica icona del calcio brasiliano in quanto difensore dotato di grande stile ed efficacia.


Ad implementare tali doti c'è la grande esperienza internazionale maturate in Uruguay con il Nacional ed in Argentina con il Boca Juniors, nonché la nomea guadagnata con il Flamengo (sua squadra del periodo) e nel Bangu. A rendere immortale il suo nome vi sono due episodi, diversi, ma ugualmente utile a sancirne la grandezza e la stima generata.La sua prima squadra, il Bangu appunto, decide di inserire il suo nome nell'inno ufficiale del club:
"O Bangu tem também a sua história, a sua glória,
Enchendo seus fãs de alegria!
De lá, pra cá,
Surgiu Domingos da Guia.
Em Bangu se o clube vence há na certa um feriado,
Comércio fechado.
A torcida reunida até parece a do FlaFlu:
Bangu, Bangu, Bangu!
O Bangu tem também como divisa na camisa:
O vermelho-sangue a brilhar.
E faz cartaz,
Estouram foguetes no ar!
Em Bangu se o clube vence há na certa um feriado,
Comércio fechado.
A torcida reunida até parece a do FlaFlu:
Bangu, Bangu, Bangu!"


Dall'Uruguay invece pervengono attestati di stima, tanto da essere definito il miglior difensore del campionato, venendo addirittura paragonato al grandissimo El Gran Mariscal José Nasazzi.
Da una altra leggenda del calcio Charrua, El Negro Jefe Obdulio Varela, arriva un'ulteriore elogio alle sue straordinarie qualità:" Il miglior difensore che abbia mai visto è Domingos, un campione completo sia in Uruguay, che in Argentina".
Una delle sue peculiarità è la costante ricerca dell'anticipo pulito sull'avversario, da lui ricercato con grande frequenza, tanto da diventarne un maestro.
Per anni in Sudamerica tale gesto viene indicato come Domingada, ennesima meritata celebrazione della sua abilità.



Per quasi tutto il torneo viene affiancato da Arthur Machado, il quale, nelle file dal Fluminense, si distingue per affidabilità e concretezza, pur non essendo propriamente un marcantonio (174 centimetri di altezza).
La coppia non viene confermata solamente nella ripetizione del quarto di finale contro la Cecoslovacchia, quanto Pimenta concede l'unica presenza a Euclydes Barbosa, detto Jaú  e Álvaro Lopes Cançado alias Nariz, venendo premiato dal successo per 2-1.
La cerniera di centrocampo è impostata con due elementi esterni, abili in fase di non possesso ad abbassare la propria posizione a ridosso del pacchetto arretrato.
Le scelta per tale mansione verte su Afonso Guimarães da Silva, meglio noto come Afonsinho e José Procópio Mendes, agli annali come Zezé Procopio, elementi che nel corso della carriera si sono distinti sia come terzini sia come ali offensive.
La costanza e la duttilità sono, evidentemente, le loro qualità principali, grazie alle quali si prodigano in un fondamentale lavoro di raccordo, sacrificando lo spunto personale a sostegno principalmente del "quintetto offensivo".
Nella parte finale del torneo trova spazio Hermínio Américo de Brito, valente centrocampista con un passato da difensore, anche lui con le caratteristiche idonee per calarsi con profitto nel quadro tattico voluto da Pimenta.
Lo stesso discorso vale per José Augusto Brandão, solido mediano del Corinthians utilizzato a torneo in corso per dare respiro ai compagni precedentemente descritti.
Nel reparto offensivo la figura di Leônidas è ovviamente primaria, ma le sue indubbie qualità individuali non gettono ombra sui compagni di reparto, anch'essi raffinati giocolieri e prolifici cannonieri.
Nello schema proposto collochiamo José dos Santos Lopes sulla corsia di sinistra, tenuto conto che il calciatore del Corinthians è, numeri alla mano, il meno prolifico degli attaccanti a disposizione; dotato di velocità ed ottimo spunta rappresenta una preziosa arma tattica per tutta la durata del torneo.
Sull'out opposto si disimpegna Hércules de Miranda, attaccante dal gol facile (segnerà 163 gol nel Fluminense dal 1933 al 1941) inserito in nazionale proprio nel torneo mondiale in questione, non riuscendo però a trovare la rete.
A renderlo temibile per le difese avversarie è il tiro potentissimo, da lui scagliato in egual misura con entrambi i piedi. A tal proposito il giornalista Geraldo Romualdo da Silva dirà di lui:" Hercules ha un cannone a sinistra ed un missile a destra".
Con Romeu Pellicciari si entra in pieno nella leggenda del calcio brasiliano, essendo l'attaccante con avi modenesi uno dei giocatori più forti della sua epoca.


 
Il suo nome è legato indissolubilmente a quello del Palmeiras (o Palestra Italia), nonostante nel 1938 sia in forza al Fluminense.
Nel corso di una carriera condita da tantissimi gol, è rimasto nel cuore dei tifosi del Verdao per essere l'unico giocatore a segnare quattro reti in una sfida contro gli acerrimi rivali del Corinthians del 1933 terminata 8-0.
Talvolta criticato per un forma fisica approssimativa e per l'eccessivo peso, Romeu è un asso delle finte dei dribbling risultando uno dei primissimi calciatori ad eccellere in quelle giocate ancora oggi tratto distintivo dei brasiliani.
Una in particolare lo rende celebre in patria e non solo: si tratta delle famosa Pedalada, gioco di gambe eseguito ad altissimo velocità riproposto ai giorni nostri da Robinho, chiamato al tempo Passo d'Oca.
Il Principe, come è conosciuto in patria, sempre distinguibile in campo grazie al copricapo simile ad una papalina, segna un gol nella vittoria per 6-5 contro la Polonia ed accorcia le distanze nella sfortunata partita contro l'Italia. Troverà infine la sua terza rete nel torneo dando inizio alla rimonta nella finale per il terzo posto contro la Svezia (4-2).
La figura di José Perácio Berjun è invece un mix di talento puro ed atteggiamenti grotteschi, figurandosi come una sorte di avo del grande Garrincha.


 
Anche il gol che chiude i conti con la Svezia nell'ultima gara è un ulteriore prova della sua efficacia in zona gol e della sua decisività anche con la maglia della nazionale, perfettamente in linea con quanto mostrato con il Botafogo.
Sul campo è un attaccante letale, dall'alto di una tecnica sbalorditiva e di un fiuto del gol sensazionale, come dimostra la decisiva doppietta nella gara con la Polonia, dominata "mediaticamente" da Leônidas ed Ernest Wilimowski (vedi un nostro precedente articolo).




Fuori dal terreno di gioco fa quasi tenerezza per il candore e la semplicità del proprio animo: praticamente analfabeta, tanto da non riuscire a firmare in proprio documenti, si rende protagonisti di episodi tragicomici, ovviamente alimentati dalla leggenda e dal tempo.
Si passa dalla tendenza a portare gli occhiali "per vedere da vicino l'equatore" a quella di tenere la radio a volume altissimo durante le radiocronache delle partite, in quanto esaltato dalla fragorosa esultanza dei commentatori brasiliani al momento del gol.
Nel corso degli anni il compagno Martim Silveira citerà allibito una situazione creatasi ad un distributore di benzina: dopo aver accesso imprudentemente una sigaretta, Peracio la butta per terra come se nulla fosse, restando sorpreso dalla sguardo sbigottito del compagno.
Dopo pochi istanti si scusa discendo:" mi spiace, non sapevo fossi superstizioso!"
L'attaccante di origini polacche Rodolfo Barteczko, detto Patesko, è un altro elemento apparentemente perfetto dal punto di vista tecnico e micidiale nei sedici metri avversari.
Protagonista nella Copa Sudamericana del 1937, dove ha segnato due doppiette a Cile e Paraguay, trova meno spazio nel torneo in questione, chiuso principalmente da Leônidas e Romeu.
A dispetto di ciò ancora oggi il suo nome è ricordato nell'ambiente del Botafogo, dove in due esperienze diverse si è contraddistinto per i tanti gol e per una finta bruciante in preparazione del tiro.
Nella ripetizione del match contro la Cecoslovacchia Pimenta schiera Luís Mesquita de Oliveira, meglio noto come Luisinho, cannoniere della Palestra Italia e Elba de Pádua Lima, agli annali come Tim, versatile attaccante del Fluminense.
In due occasioni viene invece schierato Roberto Emílio da Cunha, punta del São Cristóvão autore del gol decisivo del suddetto match contro la Cecoslovacchia vinto per 2-1.




Così descritto il valore qualitativo del reparto avanzato è a dir poco sensazionale, ancora di più se con un meticoloso lavoro di calcolo si vada a conteggiare i gol segnati dai singoli componenti nell'arco della carriera.
Se da italiani possiamo gioire della vittoriosa vittoria in semifinale, da amanti del calcio non si può che recriminare per la mancata sfida diretta Meazza-Leônidas, simboli di due squadre quasi completamente agli antipodi, ma fortissime.
Nel contesto di una storia calcistica strepitosa, la formazione brasiliana del 1938 merita un posto di riguarda, laddove la mancata vittoria non deve gettare discredito su di un gruppo di giocatori eccelsa.
Non c'era solo Leônidas ......






Giovanni Fasani

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.