Abituati a come siamo ad ogni tipo di look stravagante, come potremmo reagire alla vista di un giocatore con il basco?
Ai nostri giorni sembra davvero fuori luogo un giocatore con un qualsiasi berretto, a meno di comprovate ragioni di sicurezza, come nei casi di Petr Cech e Christian Chivu.
Ai nostri giorni sembra davvero fuori luogo un giocatore con un qualsiasi berretto, a meno di comprovate ragioni di sicurezza, come nei casi di Petr Cech e Christian Chivu.
Se invece ci riferiamo al magnifico contesto del calcio anni '30/40 non è così insolito fare la conoscenza di personaggi talmente vezzosi ed eleganti da portare un berretto anche nelle fasi più concitate di gioco.
Tale espediente diventa un particolare atto a contraddistinguere un determinato giocatore anche dopo molti anni, magari guardando qualche vecchia foto ingiallita.
A Montevideo, i tifosi del River Plate e quelli del Peñarol, diventano avvezzi nell'ammirare le gesta di un formidabile attaccante, solito scendere in campo con un basco, in spagnolo Boina.
Il particolare caratterizza il giocatore per tutta la carriera, ma ancora di più a renderlo immortale contribuiscono le tante reti e le squisite qualità tecniche.
Passato allo storia come Boina Fantasma, Severino Varela è più concretamente uno degli attaccanti più forti del panorama sudamericano della sua epoca.
Perfettamente a suo agio nella capitale uruguagia, dove lavora e gioca, il piccolo attaccante mette in mostra subito eccezionali doti di realizzatore.
Varela è il vero prototipo dell'attaccante completo, eccellendo per tecnica e freddezza nei pressi della porta ed incantando per quanto riguarda la precisione del tiro ed il colpo di testa.
Riguardo al primo fondamentale possiamo tranquillamente affermare che quando il suo calcio va dritto verso la porta è una vera e propria sentenza per il portiere avversario: sia in corsa che da fermo riesce a concludere con straordinaria potenza e perfetta angolazione, rendendo vano qualsiasi tipo di opposizione.
A ciò contribuisce la strepitosa capacità di stoppare il pallone, utile per calciare in perfetta coordinazione e con grande rapidità.
Vale la pena ricordare come si specializzi anche nella tecnica di calciare i rigori, non sbagliandone mai uno in tutta la carriera.
In riferimento al secondo fondamentale, nonostante un'altezza nella media per l'epoca, eccelle a tal punto da diventare probabilmente il suo marchio di fabbrica: tempismo e capacità acrobatiche gli consentono di prevalere su marcatori più corpulenti, arrivando a colpire di testa anche i palloni più difficili e contesi.
Come detto, El Galego, suo soprannome in patria, segna a ripetizione con il River Plate, prima di diventare la punta di diamante del Penarol.
Con i Carboneros vince 5 titoli consecutivi (dal 1936 al 1940), segnando nel solo campionato 46 gol in 74 partite (cifre non pienamente attendibili) e diventando un elemento indispensabile anche per la nazionale.
Proprio con la leggendaria casacca Celeste si fa conoscere anche al di fuori dei confini nazionali, segnando con continuità e prendendo parte a tre edizioni del Campeonato Sudamericano (1937, 1939 e 1942), segnando ben 15 gol (terzo marcatore di sempre della competizione).
Nell'ultima edizione l'Uruguay riesce anche a far suo il torneo, rinverdendo i fasti della precedente ed indimenticabile generazione.
Alla luce di tali copiose statistiche e della sua qualità, il Boca Juniors decide di acquisirne i servigi, pagando la sbalorditiva somma di 32.800$ pesos al Penarol.
Varela accetta il trasferimento, ma pone come condizioni quella di continuare a vivere e lavorare a Montevideo, di venire esonerato dagli allenamenti e di poter raggiungere Buenos Aires in nave solo nel giorno della partita.
Tale decisione non deriva dalla mancanza di volontà nell'allenarsi, essendo il giocatore un vero patito della condizione fisica, che mantiene perfetta con lunghe passeggiate e qualche partitella con squadre amatoriali di Montevideo.
Nulla può fare invece contro il divieto di giocare ancora in nazionale, "punizione" impartita a chi decide di giocare all'estero. II Campeonato Sudamericano del 1942 resta la sua ultima esperienza con l'Uruguay, dopo 24 partite e 19 gol.
I dirigenti argentini, increduli di fronte a tali richieste, propongono al giocatore un contratto principesco, non preso in considerazione dallo stesso: Varela ha sempre considerato l'essere un giocatore come un hobby, ritenendo effimero ogni guadagno da esso derivato e considerando gratificante solo quello proveniente dal suo lavoro "vero" a Montevideo.
Ovviamente anche in Argentina prosegue con l'abitudine di indossare l'amato basco, cambiandone saltuariamente la composizione cromatica.
Al di là della particolare situazione, gli Xeneizes fanno un grandissimo affare, assoldando quello che nel campionato argentino diventa subito un fattore in grado di spostare gli equilibri.
Per i tifosi è immediatamente un idolo, principalmente per le reti messe a segno in più di un' edizione del Superclásico contro, ovviamente, gli acerrimi nemici del River Plate.
Uno di questi gol passa letteralmente alla storia, finendo per essere ricordato anche recentemente, qualora si voglia ricordare le sfide che hanno fatto la storia delle due squadre di Buenos Aires.
Nel settembre del 1943 si esibisce infatti in un plastico tuffo di testa (la Palomita in spagnolo) sbucando quasi dal nulla , sorprendendo i difensori Pio Corcuera e Ricardo Vaghi e battendo inesorabilmente il portiere Lettieri.
Per il cronista del giornale Cronica tale gol diventa El Golazo del Mistero, proprio perché nessuno era riuscito a vedere Varela prima che impattasse il pallone
Da tale episodio nasce anche il soprannome che lo renderà immortale per ogni amante del calcio, quel Boina Fantasma, che coniuga al meglio la sua "surreale comparsa" in tale storico gol con il suo particolare copricapo.
Le statistiche gli attribuiscono 46 reti in 74 apparizioni, utili a conquistare 2 titoli ed un posto di riguardo nella Hall of Fame della squadra argentina.
Nonostante la fama e i potenziali guadagni non abbandona mai il lavoro e la residenza a Montevideo, confermando che mai accetterà compenso per un'attività diversa da quella che lo porterà alla pensione.
I tifosi lo eleggono a idolo indiscusso, anche perché l'attaccante uruguagio ha l'abitudine di segnare con regolarità ai "cugini" Millonarios, mettendo a segno 5 gol nei 6 derby disputati.
In questa epoca la rivalità tra i due club è ai massimi livelli, essendo in atto anche una battaglia tra stili di gioco: da una parte la sublime Maquina del River, dall'altro il calcio veloce e pragmatico del Boca.
Per lui i 120 pesos guadagnati con il sudore della fronte in Uruguay sono l'unico sostentamento del quale abbisogna per mantenersi, rinunciando anche a successive offerte da parte della dirigenza del Boca Juniors.
Il ricordo del Penarol è comunque molto forte e nel 1946 decide di farvi ritorno, per giocare un'ultima stagione di commiato, mettendo fine alla sua carriera a soli 34 anni, principalmente a causa di dolori reumatici e problemi al nervo sciatico che ne hanno minato gli ultimi anni di attività.
Problemi che non gli hanno impedito di ergersi come uno dei giocatori più forti della sua epoca, in un contesto dove il livello medio degli opponenti era davvero altissimo.
Con il suo inseparabile basco ha scritto pagine importanti per la storia del calcio sudamericano ed ancora oggi qualche attempato tifoso ricorderà la Boina Fantasma e la sua storica Palomita.
Sperando di aver convinto anche chi ancora sorride alla vista di una calciatore con il copricapo...
Giovanni Fasani
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