Ci sono calciatori in grado di eseguire qualsiasi giocata con la più grande naturalezza possibile, come se un ipotetico dio del calcio abbia messo una mano sulla loro spalla per conferirgli speciali abilità.
Quando guardiamo le giocate di questi campioni restiamo sbalorditi dalla semplicità con la quale si muovono, dalla grazia con la quale giocano il pallone e dalla perizia con la quale lo calciano.
In questi casi si parla di "classe innata" e, aihmè, caratterizza un numero molto limitato di soggetti, davvero fortunati nell'aver quel "qualcosa in più" che i normali calciatori non potranno avere neanche dopo anni di allenamenti.
Se poi tale talento viene coltivato in un ambiente calcistico florido ed all'avanguardia, il risultato non può che essere quello di ottenere giocatori di livello assoluto, cioè quelli che rendono il gioco del calcio una vera e propria arte.
Il contesto olandese è in tale senso perfetto, essendo la scuola Orange attenta al minimo dettaglio e formativa al massimo dal punto di vista dei fondamentali tecnici.
E' proprio nei Paesi Bassi che una giovane ala sinistra muove i primi passi nel mondo del calcio, mettendo in mostra doti da potenziale campione.
Ma purtroppo il destino non è stato dalla parte di Rob de Wit
Sin dagli esordi nell'Utrecht si distingue per la sua classe cristallina, tanto che i dirigenti della squadra rosso-bianca si rendono immediatamente conto di essere di fronte ad un giocatore che nasce davvero una volta in un secolo.
L'esordio in prima squadra avviene a soli 19 anni nel 1982, ovviamente sulla fascia sinistra, suo punto di riferimento preferito, dove sembra trovarsi a proprio agio come il salotto di casa.
Fino al 1982 gioca 42 partite in campionato mettendo a segno 7 reti ed un numero imprecisato di assist, più una serie infinita di giocate di alta scuola.
E' proprio la sua sublime tecnica ad attirare i dirigenti dell'Ajax, che ben volentieri inserirebbero quello che per talento e caratteristiche sembra il prototipo perfetto del settore giovanile dei Lancieri.
Nel 1984 il trasferimento si concretizza e per la giovane ala si compie quel decisivo step per diventare a tutti gli effetti un campione, potendo giocare in una delle squadre migliori anche in virtù della giovane età dei protagonisti.
L'ala nativa di Utrecht mette subito in mostra una tecnica strepitosa, che si concretizza principalmente in un dribbling efficace ed imprevedibile con il quale può scegliere se puntare direttamente la porta o guadagnare il fondo.
Pur essendo un mancino naturale non disdegna l'uso del piede destro, soprattutto quando decide di convergere al centro per tentare la soluzione diretta.
La naturalezza e la grazia con la quale sposta il pallone con il piede sinistro è notevole, così come la sua capacità di rendere facili, quasi scontate, anche le più difficili giocate: per la spontaneità con la quale usa il piede mancino, pur odiando i paragoni, lo accosterei a Ryan Giggs, come se tra i due ci fosse stato un ideale passaggio di testimone alla fine degli anni '80.
Lo squisito gusto per la giocata ad effetto non è mai fine a se stesso, anche se la tendenza a regalare la classica "giocata da urlo" resta una sua prerogativa.
Rob de Wit non è comunque un giocatore egoista o troppo egocentrico nella gestione del pallone, essendo le sue giocate concretamente favorevoli alla conclusione finale dei compagni.
Certamente ama le azioni personali per concludere in prima persona in porta, il più delle volte dopo entusiasmanti cavalcate solitarie, saltando più di un avversario con incontenibili dribbling.
Il filmato seguente, relativo alle sue più spettacolari realizzazioni con i Lancieri, mostra al meglio il suo infinito repertorio tecnico.
Fino al 1982 gioca 42 partite in campionato mettendo a segno 7 reti ed un numero imprecisato di assist, più una serie infinita di giocate di alta scuola.
E' proprio la sua sublime tecnica ad attirare i dirigenti dell'Ajax, che ben volentieri inserirebbero quello che per talento e caratteristiche sembra il prototipo perfetto del settore giovanile dei Lancieri.
Nel 1984 il trasferimento si concretizza e per la giovane ala si compie quel decisivo step per diventare a tutti gli effetti un campione, potendo giocare in una delle squadre migliori anche in virtù della giovane età dei protagonisti.
L'ala nativa di Utrecht mette subito in mostra una tecnica strepitosa, che si concretizza principalmente in un dribbling efficace ed imprevedibile con il quale può scegliere se puntare direttamente la porta o guadagnare il fondo.
Pur essendo un mancino naturale non disdegna l'uso del piede destro, soprattutto quando decide di convergere al centro per tentare la soluzione diretta.
La naturalezza e la grazia con la quale sposta il pallone con il piede sinistro è notevole, così come la sua capacità di rendere facili, quasi scontate, anche le più difficili giocate: per la spontaneità con la quale usa il piede mancino, pur odiando i paragoni, lo accosterei a Ryan Giggs, come se tra i due ci fosse stato un ideale passaggio di testimone alla fine degli anni '80.
Lo squisito gusto per la giocata ad effetto non è mai fine a se stesso, anche se la tendenza a regalare la classica "giocata da urlo" resta una sua prerogativa.
Rob de Wit non è comunque un giocatore egoista o troppo egocentrico nella gestione del pallone, essendo le sue giocate concretamente favorevoli alla conclusione finale dei compagni.
Certamente ama le azioni personali per concludere in prima persona in porta, il più delle volte dopo entusiasmanti cavalcate solitarie, saltando più di un avversario con incontenibili dribbling.
Il filmato seguente, relativo alle sue più spettacolari realizzazioni con i Lancieri, mostra al meglio il suo infinito repertorio tecnico.
La predisposizione della squadra di Amsterdam a giocare con il 4-3-3 sembra fatta apposta per le caratteristiche dell'ala di Utrecht, che fa letteralmente sfracelli sulla corsia di riferimento.
Le vittorie del campionato 1984/1985 e della coppa nazionale l'anno dopo portano fortemente la sua firma, indelebile quando si tratta di servire gli attaccanti John Bosman e soprattutto Marco Van Basten.
Nel 1985 il suo talento diventa un'arma in più anche per la nazionale olandese, con la quale esordisce in un match contro l'Austria valido per la qualificazione al Mondiale dell'anno successivo.
Solamente due settimane dopo è proprio una sua rete a regalare agli Orange la vittoria in Ungheria, sempre in una partita di qualificazione.
Qualificazione che sfuma nel doppio spareggio contro il Belgio: dopo la sconfitta per 1-0 patita a Bruxelles l'Olanda arriva davvero vicino a ribaltare il risultato, conducendo per 2-0 fino all'8'° minuto, quando un gol di Goerges Grun consente ai Rude Duivels di volare in Messico.
Nella partita giocata a Rotterdam de Wit è il grande protagonista, fornendo una prestazione maiuscola condita dalla realizzazione della seconda illusoria rete.
I ragazzi di Rinus Michels dovranno attendere ancora qualche anno per riportare l'Olanda ai fasti degli anni '70, ma purtroppo senza Rob de Wit.
Il destino, meschino e fatale, decide che la sua carriera si debba interrompere nel 1986, quando un'emorragia celebrale lo colpisce durante una vacanza in Spagna.
Pur riprendendosi, il giovane calciatore non è più in grado di tornare a giocare, nonostante gli interventi chirurgici e la sua forte volontà.
Il calcio in generale perde all'improvviso quello che sembrava essere un potenziale fenomeno, probabilmente uno dei più spontanei e fulgidi talenti del calcio moderno.
Oggi non restano che le immagini delle sue grandi giocate per ricordarsi di chi fosse Rob de Wit, sfortunata quanto magica alla sinistra olandese.
Giovanni Fasani
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