martedì 17 marzo 2020

IL TURCO BUONO MA NON TROPPO

Non sempre una stazza imponente ed una potenza esagerata sono sinonimo di cattiveria o indole violenta, come dimostrano i casi denominati come i "giganti buoni".
Nel calcio il caso più acclarato è quello del gallese John Charles, grande attaccante in grado di sovrastare letteralmente i difensori avversari impossibilitati a contenere una fisicità dirompente, ma al tempo stesso grande gentleman in campo, tanto da arrivare  a fermare l'azione qualora avesse fatto male ad uno di essi.
Nel campionato italiano qualche anno prima dell'arrivo della punta del Leeds un altro imponente attaccante stupisce tutti per un carattere mite ed un fare da bonaccione, celati dietro i 191 centimetri di altezza ed una struttura fisica massiccia.
Nel 1950 arriva alla Lazio dal Beşiktaş il centravanti Şükrü Mustapha Gülesin, allenato in patria anche da Giuseppe Meazza, accompagnato dalla nomea di gran realizzatore, ma anche da quella di personaggio particolare.

 
A dire il vero a Roma rimane solamente il tempo di firmare il contratto, venendo mandato immediatamente in prestito al Palermo, dove da subito sorprende tutti per alcune sue peculiari caratteristiche.
La prima che balza all'occhio è il suo insaziabile appetito a tavola, con mangiate che diventano ben presto fonte di battute e di ilarità generale tra gli appassionati.
La seconda riguarda il suo comportamento in campo, davvero lontano rispetto a quello dell'ariete offensivo che la dirigenza e la tifoseria rosanero si sarebbe aspettata: Gülesin sembra quasi evitare i contrasti e quanto questo accade sembra patire il contatto anche con avversari più minuti, chiedendo scusa all'occasione e terminando talvolta a terra con comiche cadute. A quel punto si rialza e per primo ride dell'accaduto, ma viene da sé che un centravanti di sfondamento non può permettersi indugi, inutile cavalleria e, soprattutto, impacciati ruzzoloni contro avversari con un fisico grosso quasi la metà.
A sopperire a tale pacato temperamento arriva in un suo soccorso una capacità di calcio notevole, soprattutto sui calci piazzati dove mette in mostra una potenza ed una precisione che ne fanno un autentico specialista.
In particolare si dimostra uno specialista nel segnare gol direttamente dal calcio angolo, grazie alla capacità di imprimere traiettoria a rientrare tese e potenti al pallone: tra mito e realtà pare siano 32 le reti segnate in carriera direttamente dalla bandierina.
La forza del suo tiro è tale che nella sfida contro il Padova nel novembre del 1950 il portiere Enzo Romano decide di spostarsi onde evitare di essere impattato da un suo calcio di rigore.
Malgrado le perplessità della vigilia riesce ad emergere nella squadra siciliana, mettendo a segno 13 reti in 28 partite, bottino che gli vale il rientro alla Lazio, anche in virtù di una mai chiarita aggressione subita proprio nel capoluogo palermitano: l'attaccante di Istanbul racconta di essere stato pedinato e successivamente picchiato con un bastone da tre ignoti, senza però chiarirne i motivi.
Il rientro a Roma è ovviamente la soluzione migliore, con la formazione capitolina che punta a farne il centravanti di riferimento, contando sui numeri realizzati e su quel fisico che sembra essere l'ideale per sfondare le difese avversarie.











Il tecnico Giuseppe Bigogno capisce subito che il suo modo di interpretare il ruolo è diverso, con lo scontro fisico che continua a non essere esattamente la sua specialità.
Il rapporto tra i due è però molto teso e si parla di plateali litigi, culminati, secondo i ben informati, in un clamoroso inseguimento condotto dal giocatore turco con tanto di coltello in mano verso il tecnico, accusato di averlo escluso dalla formazione.
Sul suo conto  iniziano a circolare voci sul suo stile di vita fuori dal campo, con la dolce vita romana che sembra averlo inghiottito completamente: cene luculliane, macchine veloci, sigarette ed alcool sembrano infatti animare le sue nottate, con il peso corporeo che arriva a superare il quintale, nonostante gli allenamenti.
Molte volte tali serate vengono spese a casa di importanti diplomatici del suo paese, che tornano utili per coprire presunte risse ed aggressioni delle quali lo stesso sarebbe stato protagonista.
Tali atteggiamenti fanno da contraltare alla sua consueta sensibilità, comprovata da un episodio avvenuto alla vigilia della partita con la Pro Patria: arrivato tardi in stazione e resosi conto di aver perso il treno per Busto Arsizio scoppia in un pianto a dirotto, terminato solamente una volta arrivato a destinazione con un treno successivo.
In campo comunque il suo contributo in termini di rete è preziosa, con le 16  reti realizzate che risultano fondamentali per il raggiungimento del quarto posto in classifica. Non mancano però conclusioni affrettate e tiri sbilenchi, aggravati da quella tendenza a cercare il gol da calcio d'angolo che indispone più di uno spettatore, avvezzo a gestioni più tradizionali della situazione.
Il rendimento è sicuramente positivo, ma le sue bizze ed il modo di disimpegnarsi nel ruolo non lo rendono più idoneo per continuare l'esperienza con la Lazio, nonostante i compagni lo apprezzino molto per la bonarietà con la quale si pone all'interno dello spogliatoio.






                                   Lelio Antoniotti scherza con Gülesin durante un allenamento (Fonte laziowiki)







La scelta migliore è quindi quella di tornare a Palermo dove gioca un'ultima stagione segnando sette reti, confermandosi mortifero come sempre sui calci piazzati, calciati con la solita incredibile potenza.
Nell'estate del 1953 torna in patria dove gioca quattro stagioni nel Galatasaray dove vince la Liga di Istanbul per la settima volta, dopo i sei successi precedenti con maglia del Beşiktaş.
Diventato dirigente ed infine giornalista sportivo, morirà nel 1977 a soli 55 anni a causa di un attacco di cuore, venendo ricordato in patria per le vittore e i gol ed in Italia quale giocatore dagli indubbi mezzi tecnici, ma dall'indole quantomeno particolare.














Giovanni Fasani




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