giovedì 20 giugno 2019

ARIA DI RIVOLTA

Essere ribelli o avere comportamenti poco convenzionali al di fuori del terreno di gioco spesso si accompagna ad una carriera colma di rammarichi e di mal riposte aspettative: ai nostri giorni tali calciatori vengono chiamati in vari modi, uno dei quali, forse il più duro e diretto è Bad Boy. I benpensanti accostano tale tendenza ai grandi guadagni ed alla vita dissoluta, quali massime preoccupazioni per giovani talentuosi dallo spirito libero e dal portafoglio a fisarmonica.
Il credere però che siano i soldi a forgiare il carattere di una persona è però vero fino in parte: anche quando i calciatori non guadagnavano tanto e, soprattutto, vivevano in un'epoca poco incline alle "teste matte", le indoli particolari e le personalità anticonvenzionali era ben presenti.
Nel periodo fascista, dove bigottismo e coercitive mode sono la prassi, un giovane milanese osa sfidare convenzioni ed etichette, ponendosi come spirito libero, incurante delle critiche e poco preoccupato di avere futuri rimpianti.
La storia di Enrico Rivolta è in effetti quella di una raffinato calciatore, poco avvezzo agli ordini e fedele solo ai propri vezzi.



Con una personalità così spiccata e con le idee ben precise su cosa fare e non fare, il suo ruolo iniziale non può che essere l'attaccante, di quelli però forti tecnicamente e cinici davanti alla porta.
Delle sue potenzialità si accorge l'Inter, nella quale inizia a frequentare l'ambiente della prima squadra a soli 17 anni, nel 1922.
Con la maglia della Beneamata esordisce nel calcio che conta, trovandosi per la prima volta ad acconsentire ad una richiesta tattica: pur essendo molto stimato viene convinto a sposarsi all'ala, diventando un perfetto esterno dentro, preciso nei cross, abile nel dribbling e molto potente dal punto di vista fisico e balistico.
L'efficacia in zona gol non viene in effetti meno, dal momento che nelle stagioni 1926/1927 e 1927/1928 supera la doppia cifra, a dimostrazione che l'evoluzione tecnico-tattica è legittima e positiva.
All'interno dello spogliatoio è una delle voci più rispettate e più da assecondare, soprattutto dagli allenatori, in particolare dal grande Arpad Weisz.
Il tecnico magiaro è bravo e risoluto nel convincere Rivolta ad arretrare il proprio raggio di azione, partendo con la sua opera di convincimento nel 1926, anno del suo approdo sulla panchina interista.
Il meticoloso suo meticoloso e paziente lavoro mette nelle condizioni il giocatore di accettare un ulteriore abbassamento della sua posizione in campo, destreggiandosi da mediano destro nella stagione 1929/1930, quando l'Ambrosiana (nome imposto dal regime fascista) torna a vincere il campionato dopo 9 anni.


Ancora una volta si apprezza la conoscenza tecnica e tattico dello sfortunato allenatore ungherese, il quale per sopperire a grave infortunio al perone di Silvio Pietroboni, scorge in Rivolta le caratteristiche intrinseche del centrocampista arretrato.
Per responsabilizzarlo viene nominato capitano, mansione da lui assolta con responsabilità, soprattutto con il giovane fenomeno meneghino Giuseppe Mezza, posto immediatamente sotto la sua ala protettiva: in tal senso non sono poche le malelingue che insinuano come il giovane Balilla abbia preso proprio dal compagno la tendenza a concedersi notti brave e dissolute.
Stampa e critica apprezzano il suo rendimento e la buona intesa con Giuseppe Viani e Armando Castellazzi, con i quali forma un valido terzetto a centrocampo.
Nel 1928 era avvenuto il suo esordio in nazionale, in una partita di Coppa internazionale contro la Svizzera, entrando di fatto nell'elenco dei vincitori della competizione: questa partita insieme ad una successiva amichevole contro la Spagna fungono da  viatico per il torneo olimpico di Amsterdam del maggio dello stesso anno.
La rappresentativa allenta da Augusto Rangone ottiene la medaglia di bronzo, arrendendosi solamente in semifinale al fortissimo Uruguay, in un match combattuto e vinto dalla Celeste per 3-2, non senza polemiche.
L'Italia aveva destato ammirazione nelle precedenti due partite, dove aveva segnato sette reti alla Spagna (ripetizione dopo un primo pareggio per 1-1) e ben undici all'Egitto: nella prima partita Rivolta aveva trovato la sua prima ed unica rete in nazionale, realizzando il quinto gol degli azzurri.

Alla luce delle buone prove in nerazzurro gioca ancora due gare in nazionale agli ordini di Vittorio Pozzo, prima di terminare la sua esperienza con la nazionale italiana dopo 8 presenze: ancora una volta non mancano illazioni su come Pozzo, fedele a metodi da esercito, mal sopportasse la personalità di Rivolta.
Anche con l'Ambrosiana la qualità delle sue prestazioni sembra conoscere un decremento, giocando comunque con continuità sia sotto la conduzione di Weisz che del connazionale István Tóth, con la squadra che sfiora la vittoria della Mitropa Cup nel 1933, quando perde in un mare di polemiche la doppia finale contro l'Austria Vienna.
L'anno in questione è decisivo anche per il proseguimento della sua carriera, dato che termina dopo 265 partite e 54 gol complessivi la sua esperienza con l'Ambrosiana Inter.
La nuova destinazione è Napoli, in una squadra che non bada a spese per portare la locale squadra ai vertici del calcio italiano, arrivando dar vita ad un lungo procedimento per rendere nullo un suo precedente compromesso firmato con la Sampierdarenese.
Grazie ai buoni uffici del tecnico William Garbutt e del suo ex compagno all'Ambrosiana Umberto Visentin, la squadra partenopea acquisisce le sue prestazioni per 50000 lire, garantendogli un premio d'ingaggio di 25000 lire e uno stipendio mensile di 2500.




In una squadra impreziosita dall'idolo Attilia Sallustro, dall'ex Torino Gino Rossetti, dal bomber Antonio Vojak e da un giovane Pietro Ferraris, Rivolta gioca 30 partite, contribuendo validamente al terzo posto finale.
Valga come conferma un articolo de Il Littoriale in merito alla vittoria del Napoli per 2-0 contro la Juventus: "Rivolta, che migliora sensibilmente da una partita all’altra, ha dato oggi una prova brillante della sua classe e del contributo efficacissimo che la sua tecnica fine e la sua instancabilità apportano al rendimento complessivo della squadra”.Nelle successive due stagioni il Napoli non replica l'ottimo piazzamento, portando a termine due stagioni incolori, nelle quali il centrocampista milanese gioca con buona continuità.
Fedele alla sua nomea di personaggio sopra le regole nel 1936 decide di cambiare maglia, andando a vestire, non senza polemiche, la maglia del Milan.

L'ambiente lo accoglie con qualche remora, non solo per il suo passato interista, ma anche per le voci che lo vogliono poco avvezzo alla disciplina e poco professionale: il soprannome attribuitogli di Bagonghi la dice lunga sull'opinione che la fazione Casciavit della città ha su di lui,
In campo non riesce a smentire le maldicenze, riuscendo a giocare solamente  due partite di Coppa Italia, senza di fatto esordire in campionato.
Le successive esperienza a Como e Crema servono solamente da commiato ad una carriera che poteva davvero essere di maggiore livello, soprattutto in nazionale, proprio in anni dove Vittorio Pozzo stava portando l'Italia sul tetto del mondo.
Resta il ricordo di una spirito libero e ribelle o per dirla in uno slang più moderno, un talentuoso Bad Boy.



Giovanni Fasani

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