Il talento è uno di quei parametri che non può essere insegnato, essendo un dono attribuito senza una palese ratio, indipendentemente da chi sia il fortunato possessore e dagli sforzi da lui prodotti.
Chi viene baciato da tale virtù dovrebbe coltivarla ed implementarla, al fine di sfruttare al meglio quelle naturali qualità che madre natura ha generosamente fornito.
Il talentuoso giocatore sovente investe tutto sul suo talento e lavora senza sosta per sfruttare ogni opportunità e per diventare il più forte possibile.
Tuttavia c'è anche una categoria di calciatori che si bea in senso assoluto delle proprie capacità, facendo prevalere una indole oziosa ed un po' compiaciuta, distinguendosi altresì sovente per una spiccata quanto pittoresca personalità.
La descrizione proposta sembra il ritratto perfetto di un eccelso talento danese, tanto forte quanto stravagante, protagonista del magnifico calcio anni '40/50.
Stiamo parlando del grande Helge Christian Bronée, vera e propria delizia per gli amanti dell'estetica, quanto incubo di vari allenatori per le "pazzie" in campo e fuori.
Che si tratti di un fenomeno con il pallone il pubblico danese se ne accorge ben presto, perché dalle parti della natia Nybølle e successivamente da Copenaghen un talento del genere non lo avevano davvero mai visto.
Chi viene baciato da tale virtù dovrebbe coltivarla ed implementarla, al fine di sfruttare al meglio quelle naturali qualità che madre natura ha generosamente fornito.
Il talentuoso giocatore sovente investe tutto sul suo talento e lavora senza sosta per sfruttare ogni opportunità e per diventare il più forte possibile.
Tuttavia c'è anche una categoria di calciatori che si bea in senso assoluto delle proprie capacità, facendo prevalere una indole oziosa ed un po' compiaciuta, distinguendosi altresì sovente per una spiccata quanto pittoresca personalità.
La descrizione proposta sembra il ritratto perfetto di un eccelso talento danese, tanto forte quanto stravagante, protagonista del magnifico calcio anni '40/50.
Stiamo parlando del grande Helge Christian Bronée, vera e propria delizia per gli amanti dell'estetica, quanto incubo di vari allenatori per le "pazzie" in campo e fuori.
Che si tratti di un fenomeno con il pallone il pubblico danese se ne accorge ben presto, perché dalle parti della natia Nybølle e successivamente da Copenaghen un talento del genere non lo avevano davvero mai visto.
Da subito sfrontato e dotato di una tecnica cristallina, il giovane Helge fa ben presto parlare di se in patria ed oltre confine, facendo meraviglia con le maglie di Østerbros ed ØB.
Non amando le imposizioni tecniche predilige muoversi per tutto il fronte offensivo, potendo concludere all'occasione con il suo piede sinistro preciso e potente, con cui nessuna conclusione sembra essergli preclusa.
Madre natura non gli ha solo fornito classe e tecnica, ma anche un fisico statuario (190 cm di altezza) ed una velocità portentosa, tanto da poter correre i 100 metri in 12 secondi.
Come tanti mancini non usa praticamente ma il piede destro, ma la sua tecnica è talmente elevata da non risultare mai prevedibile.
A tal proposito vince la classifica cannonieri nella stagione 1946/1947, trascinando l'ØB ad un prestigioso quarto posto finale, guadagnandosi molti estimatori anche fuori dai confini danesi.
In tale contesto l'attività calcistica ha ancora carattere amatoriale ed i relativi calciatori sono ovviamente costretti ad adempiere ad altre mansioni per il proprio sostentamento.
Bronée non tollera tale situazione ed accetta di buon grado l'offerta del Nancy nel 1948, diventando così professionista e potendo dividere la sua vita tra campo ed uscite serali.
In effetti il danese oltre che essere un campione con la palla nei piedi è anche un inguaribile viveur e trova normale spendere le proprie serate con carte, alcol e la compagnia femminile.
Poco gli importa se il passaggio al professionismo gli preclude le porte della nazionale, abbandonata dopo sole quattro presenze ed un gol realizzato.
Se sul terreno di gioco le sue prestazioni non ne risentono, il suo atteggiamento è invece quello di una prima donna, dove l'individualismo ed il sentirsi superiore agli altri la fanno da padrone.
Nelle due stagioni giocate in Francia diventa un idolo del pubblico per la sua capacità di regalare spettacolo, soprattutto nelle giornate di maggiore vena, dove risulta immarcabile.
Proprio durante una partita amichevole contro il Grenoble, giocata alla grande dal danese, incanta il presidente del Palermo, il Principe Raimondo Lanza di Trabia, che dal giorno dopo inizia a fare carte false per portarlo in Sicilia.
L'eccentrico presidente riesce nella sua impresa nel 1950, mettendo agli ordini dell'allenatore Gipo Viani quello che viene reputato un vero e proprio asso del calcio dell'epoca.
I due sono completamente agli antipodi per carattere e visione di gioco ed il danese in tal senso non fa niente per entrare nelle grazie del tecnico di Treviso.
Appena arrivato in ritiro requisisce tutte le grucce per i suoi abiti, essendo un vero patito dell'eleganza e non tollerando che i suoi vestiti possano in qualche modo stropicciarsi.
In campo il suo atteggiamento è dello stesso tenore, tanto che pare che durante una partita amichevole, caratterizzata da un pioggia torrenziale, chieda all'arbitro la sospensione della stessa dicendo " Sono un artista e un pantano del genere impedisce di farmi vedere al pubblico che paga la mia arte. Sospenda la partita!!!".
Viceversa, quando c'è il sole, sceglie opportunamente la fascia all'ombra, dimostrandosi talvolta davvero indolente e capriccioso.
Durante il campionato si scontra più volte con Viani per l'applicazione del catenaccio, il celebre "vianema", arrivando a trasgredire le indicazione ricevute e sollecitando i compagni a spingersi maggiormente in avanti.
L'apice lo si raggiunge quando il danese, esasperato per l'atteggiamento rinunciatario della squadra, scala in difesa e volontariamente segna un'autorete; negli spogliatoi un infuriato Viani lo prende a pugni, mettendolo formalmente fuori rosa.
Nelle due stagioni trascorse con i Rosanero segna ventidue reti, dimostrandosi come sempre un classico esempio di "genio e sregolatezza": portentoso quando la testa è concentrata esclusivamente sul calcio, irritante quando le solite notti brave ne penalizzano le prestazioni.
Nel 1952 termina la sua avventura al Palermo, accettando l'offerta della Roma, inizialmente affidata proprio allo stesso Viani, protagonista della risalita in serie A.
Inizialmente perché il danese ne chiede l'esonero pena la mancata firma del contratto, in quanto non vuole avere più niente a che fare con l'ex allenatore del Palermo.
La società lo accontenta, preferendo le giocate di un grande campione alla sagacia tecnica di quello che è comunque uno dei migliori allenatori del panorama nazionale.
La squadra viene pertanto affidata a Mario Varglien che per due volte consecutive ottiene due sesti posti, grazie soprattutto alle reti di Carlo Galli ed alle giocate di Egisto Pandolfini.
Nella capitale romana la sua passione per la vita notturna si amplifica, così come diventano sempre più rare le grandi prestazioni, che comunque vengono sonoramente approvate dal pubblico giallorosso.
Al volante di una potente e costosa Buick, Bronée gira per le strade di Roma come un vero e proprio divo e non c'è locale alla moda che non lo veda protagonista di bevute e qualche saltuaria rissa.
Non mancano i siparietti divertenti, come quando convince il compagno Alberto Eliani a travestirsi da gerarca nazista, mentre lui assume le sembianze provocante bionda, solo per rompere la monotonia di un ritiro.
Nella prima stagione gioca trentadue partite segnando sei gol, mentre nella seconda avviene uno di quegli episodi paradossali, divenuti però routine nella carriera di Bronée.
Dopo una partita contro l'Inter litiga furiosamente con il compagno Arcadio Venturi, tanto da lanciare una scarpa che va a colpire il dirigente Campili, il quale ne chiede immediatamente l'esclusione dalla rosa.
Bronée rifiuta categoricamente di scusarsi, continuando a giocare solamente con la squadra riserve ed iniziando a guardarsi in giro per trovare un nuovo ingaggio.
Nonostante i trentadue anni e la nomea di "testa calda", il giocatore danese viene acquistato dalla Juventus, grazie all'interessamento di Giovanni Agnelli, da sempre innamorato del suo estro.
Madre natura non gli ha solo fornito classe e tecnica, ma anche un fisico statuario (190 cm di altezza) ed una velocità portentosa, tanto da poter correre i 100 metri in 12 secondi.
Come tanti mancini non usa praticamente ma il piede destro, ma la sua tecnica è talmente elevata da non risultare mai prevedibile.
A tal proposito vince la classifica cannonieri nella stagione 1946/1947, trascinando l'ØB ad un prestigioso quarto posto finale, guadagnandosi molti estimatori anche fuori dai confini danesi.
In tale contesto l'attività calcistica ha ancora carattere amatoriale ed i relativi calciatori sono ovviamente costretti ad adempiere ad altre mansioni per il proprio sostentamento.
Bronée non tollera tale situazione ed accetta di buon grado l'offerta del Nancy nel 1948, diventando così professionista e potendo dividere la sua vita tra campo ed uscite serali.
In effetti il danese oltre che essere un campione con la palla nei piedi è anche un inguaribile viveur e trova normale spendere le proprie serate con carte, alcol e la compagnia femminile.
Poco gli importa se il passaggio al professionismo gli preclude le porte della nazionale, abbandonata dopo sole quattro presenze ed un gol realizzato.
Se sul terreno di gioco le sue prestazioni non ne risentono, il suo atteggiamento è invece quello di una prima donna, dove l'individualismo ed il sentirsi superiore agli altri la fanno da padrone.
Nelle due stagioni giocate in Francia diventa un idolo del pubblico per la sua capacità di regalare spettacolo, soprattutto nelle giornate di maggiore vena, dove risulta immarcabile.
Proprio durante una partita amichevole contro il Grenoble, giocata alla grande dal danese, incanta il presidente del Palermo, il Principe Raimondo Lanza di Trabia, che dal giorno dopo inizia a fare carte false per portarlo in Sicilia.
L'eccentrico presidente riesce nella sua impresa nel 1950, mettendo agli ordini dell'allenatore Gipo Viani quello che viene reputato un vero e proprio asso del calcio dell'epoca.
I due sono completamente agli antipodi per carattere e visione di gioco ed il danese in tal senso non fa niente per entrare nelle grazie del tecnico di Treviso.
Appena arrivato in ritiro requisisce tutte le grucce per i suoi abiti, essendo un vero patito dell'eleganza e non tollerando che i suoi vestiti possano in qualche modo stropicciarsi.
In campo il suo atteggiamento è dello stesso tenore, tanto che pare che durante una partita amichevole, caratterizzata da un pioggia torrenziale, chieda all'arbitro la sospensione della stessa dicendo " Sono un artista e un pantano del genere impedisce di farmi vedere al pubblico che paga la mia arte. Sospenda la partita!!!".
Viceversa, quando c'è il sole, sceglie opportunamente la fascia all'ombra, dimostrandosi talvolta davvero indolente e capriccioso.
Durante il campionato si scontra più volte con Viani per l'applicazione del catenaccio, il celebre "vianema", arrivando a trasgredire le indicazione ricevute e sollecitando i compagni a spingersi maggiormente in avanti.
L'apice lo si raggiunge quando il danese, esasperato per l'atteggiamento rinunciatario della squadra, scala in difesa e volontariamente segna un'autorete; negli spogliatoi un infuriato Viani lo prende a pugni, mettendolo formalmente fuori rosa.
Nelle due stagioni trascorse con i Rosanero segna ventidue reti, dimostrandosi come sempre un classico esempio di "genio e sregolatezza": portentoso quando la testa è concentrata esclusivamente sul calcio, irritante quando le solite notti brave ne penalizzano le prestazioni.
Nel 1952 termina la sua avventura al Palermo, accettando l'offerta della Roma, inizialmente affidata proprio allo stesso Viani, protagonista della risalita in serie A.
Inizialmente perché il danese ne chiede l'esonero pena la mancata firma del contratto, in quanto non vuole avere più niente a che fare con l'ex allenatore del Palermo.
La società lo accontenta, preferendo le giocate di un grande campione alla sagacia tecnica di quello che è comunque uno dei migliori allenatori del panorama nazionale.
La squadra viene pertanto affidata a Mario Varglien che per due volte consecutive ottiene due sesti posti, grazie soprattutto alle reti di Carlo Galli ed alle giocate di Egisto Pandolfini.
Nella capitale romana la sua passione per la vita notturna si amplifica, così come diventano sempre più rare le grandi prestazioni, che comunque vengono sonoramente approvate dal pubblico giallorosso.
Al volante di una potente e costosa Buick, Bronée gira per le strade di Roma come un vero e proprio divo e non c'è locale alla moda che non lo veda protagonista di bevute e qualche saltuaria rissa.
Non mancano i siparietti divertenti, come quando convince il compagno Alberto Eliani a travestirsi da gerarca nazista, mentre lui assume le sembianze provocante bionda, solo per rompere la monotonia di un ritiro.
Nella prima stagione gioca trentadue partite segnando sei gol, mentre nella seconda avviene uno di quegli episodi paradossali, divenuti però routine nella carriera di Bronée.
Dopo una partita contro l'Inter litiga furiosamente con il compagno Arcadio Venturi, tanto da lanciare una scarpa che va a colpire il dirigente Campili, il quale ne chiede immediatamente l'esclusione dalla rosa.
Bronée rifiuta categoricamente di scusarsi, continuando a giocare solamente con la squadra riserve ed iniziando a guardarsi in giro per trovare un nuovo ingaggio.
Nonostante i trentadue anni e la nomea di "testa calda", il giocatore danese viene acquistato dalla Juventus, grazie all'interessamento di Giovanni Agnelli, da sempre innamorato del suo estro.
Nonostante l'austerità tipica dell'ambiente bianconero il talentuoso danese non abbandona le sue abitudini, ergendosi a protagonista fuori dal campo e saltuariamente all'interno del rettangolo di gioco.
In una stagione negativa per la Juventus, conclusasi con il settimo posto finale, Bronée risulta il capocannoniere della squadra con undici reti, complici soprattutto due doppiette contro Lazio e Bologna all'ultima giornata.
Le malelingue parlano dei sui pessimi rapporti con il capitano Giampiero Boniperti, infastidito dalla tendenza del danese a non passare quasi mail la palla e deciso al termine della stagione a chiederne la cessione.
Passa così al Novara, con il quale stipula una contratto con ingaggio commisurato alla partite giocate ed alle reti segnate, ma pur segnando dieci reti e giocando con buona continuità non riesce ad evitare la retrocessione degli Azzurri, i quali decidono di non confermarlo per la seguente stagione in serie B.
Ormai alla fine della sua carriera torna in patria dove i continui acciacchi ed una forma fisica scadente lo convincono ad appendere le scarpe al chiodo nel 1959.
Inutile soffermarsi sui rimpianti di una carriera che poteva essere strabiliante, ma che solo a tratti ha confermato la sensazione di essere davanti ad un autentico fenomeno.
Possiamo probabilmente definirlo un anarchico dal punto di vista tattico, per la riluttanza a rispettare posizioni e compiti e per la leggerezza con la quale è sempre sceso in campo.
Quella libertà che si è sempre concesso nella vita privata e che ha minato un talento sublime, ma ha al tempo stesso tramandato ai posteri un personaggio unico e geniale ma senza regole.
(Fonti: www.ceraunavoltailcalcio.it e www.ilpalloneracconta.blogspot.com.)
Giovanni Fasani
In una stagione negativa per la Juventus, conclusasi con il settimo posto finale, Bronée risulta il capocannoniere della squadra con undici reti, complici soprattutto due doppiette contro Lazio e Bologna all'ultima giornata.
Le malelingue parlano dei sui pessimi rapporti con il capitano Giampiero Boniperti, infastidito dalla tendenza del danese a non passare quasi mail la palla e deciso al termine della stagione a chiederne la cessione.
Passa così al Novara, con il quale stipula una contratto con ingaggio commisurato alla partite giocate ed alle reti segnate, ma pur segnando dieci reti e giocando con buona continuità non riesce ad evitare la retrocessione degli Azzurri, i quali decidono di non confermarlo per la seguente stagione in serie B.
Ormai alla fine della sua carriera torna in patria dove i continui acciacchi ed una forma fisica scadente lo convincono ad appendere le scarpe al chiodo nel 1959.
Inutile soffermarsi sui rimpianti di una carriera che poteva essere strabiliante, ma che solo a tratti ha confermato la sensazione di essere davanti ad un autentico fenomeno.
Possiamo probabilmente definirlo un anarchico dal punto di vista tattico, per la riluttanza a rispettare posizioni e compiti e per la leggerezza con la quale è sempre sceso in campo.
Quella libertà che si è sempre concesso nella vita privata e che ha minato un talento sublime, ma ha al tempo stesso tramandato ai posteri un personaggio unico e geniale ma senza regole.
(Fonti: www.ceraunavoltailcalcio.it e www.ilpalloneracconta.blogspot.com.)
Giovanni Fasani
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