martedì 29 luglio 2014

WYNTON RUFER

La tanto famosa globalizzazione negli ultimi anni è arrivata anche nella nicchia del calcio, facendo sì che le varie squadre di club siano composte da giocatori provenienti da ogni angolo del mondo.
Siamo ormai avvezzi a vedere in campo campioni o presunti tali provenienti da nazioni in apparenza sconosciute o comunque sia lontane da quello che è lo storico riferimento geofrafico del settore calcistico.
Da quando è stato possibile tesserare giocatori al di fuori dell'Europa, le squadre del nostro continente hanno attinto, prevalentemente, dal Sud America, portando a casa i migliori esponenti del calcio latino, con indubbia preferenza per Brasile, Argentina, Uruguay e Cile.
Negli anni '80 il continente africano non era stato ancora considerato e solo anni più tardi sarebbe diventanto "terra di conquista" per tutti i club europei.
Appare logico come, in quel periodo, allargare gli orizzonti addirittura verso il continente oceanico appariva davvero insensato, considerando il basso livello che i tornei dello stesso offrivano. Inoltre era assai difficile poter monitorare tornei così lontani ed internet non era ancora l'utile strumento attuale; in sostanza le possibilità di incappare nel cosidetto "bidone" erano davvero alte.
Tuttavia c'è stato chi ha rotto questi luoghi comuni e nel 1981 decide di portare in Inghilterra un giocatore della Nuova Zelanda, terra conosciuta esclusivamente per il rugby.
Gli artefici di questo rivoluzionario progetto sono i dirigenti del Norwich City, che si assicurano le prestazioni di tal Wynton Rufer, attaccante del Wellington United. Se il nome appare al momento sconosciuto, vale la pena anticipare come al termine della carriera sarà insignito come miglior giocatore neozelandese di sempre. Questo grazie ad un classe sublime ed ai suoi gol, ben 170 nella sua esperienza europea che andiamo di seguito a descrivere.


Nasce proprio a Wellington nel 1962 ed all'inizio di carriera gioca come portiere, cambiando ruolo in seguito, in virtù delle sue ottime doti tecniche.
Le buone prestazioni con la squadra della sua città convincono appunto il Norwich a puntare su di lui, ma in Inghilterra non si ambienta e decide di ritornare in patria, nelle file dei Miramar Rangers.
L'anno 1982 è un anno importante per il calcio, infatti si giocano i Mondiali in Spagna e la Nuova Zelanda ottiene una storica qualificazione alla fase finale.
Inserita in un girone con Brasile, URSS e Scozia, la squadra degli "All Whites" perde tutte le partite, ma sui taccuini dei dirigenti europei viene annotato il nome di Rufer, che sembra davvero un giocatore di valore, tenuto conto anche della sua giovane età.
Nella stessa estate viene ingaggiato dallo Zurigo, che gli consente di ritornare in Europa dopo solo un anno. La sua esperienza nel campionato elvetico si rivela di straordinaria importanza per la sua carriera, permettendogli di conseguire quell'esperienza necessaria per giocare ad altissimi livelli.
Rufer è un attaccante molto completo, dalle movenze eleganti quanto efficaci, spietato in zona gol così come bravo a svariare su tutto il fronte offensivo.
Calcia preferibilmente di destro, ma in pratica è ambidestro; tale qualità lo rende letale in area di rigore, dove riesce a trovare la porta con grande facilità.
Dotato anche di un fisico possente, si fa ottimamente valere nel gioco aereo, sfruttando i traversoni dei compagni o fungendo da valido punto di riferimento per le gittate dalla lunga distanza della propria difesa.
La sua è un'interpretazione moderna del ruolo, mostrandosi davvero come un attaccante difficile da marcare, proprio perchè valido in ogni fondamentale e determinante in ogni zona a ridosso dei 16 metri avversari.
La sua capacità di svariare lo rende utile anche per i movimenti dei compagni ed è inoltre bravo nel fornire assist di pregevole fattura, scaturiti anche dalla sua indubbia precisione di calcio.
A Zurigo resta per quattro stagioni, completando la sua maturazione tecnica e segnando 38 reti in 100 apparizioni.
Nel 1987 passa all'Arau dove in tutte le competizioni segna ben 31 reti, tanto da meritarsi la chiamata di una delle squadra svizzere più blasonate, il Grasshoppers.
La sua seconda esperienza a Zurigo è molto positiva, contribuendo alla vittora della Coppa di Svizzera e mettendo a segno 18 reti nelle 36 partite disputate.
L'eco delle sue ottime prestazioni arriva anche nella vicina Germania e nel 1989 il forte giocatore neozalandese passa all'ambizioso Werder Brema di Otto Rehhagel.


La squadra è giovane e talentuosa, potendo contare su elementi in piena rampa di lancio, come il portiere Reck, Votava, Eilts e Karl Heinz Riedle.
Nella stagione 1989/1990 il Werder Brema ottiene il settimo posto in campionato, ma è nelle coppe che da il meglio di se, nonostante non riesca a vincere nessun trofeo. In Coppa di Germania è fermato in finale dal Kaiserslautern, mentre in Coppa Uefa l'avventura si arresta in semifinale, per mano della Fiorentina.
In questa competizione Rufer si mette comunque in mostra al pubblico italiano ,segnando due reti contro il Napoli, nelle due sfide vinte per 2-3 e 5-1.


Nel secondo anno a Brema, arriva per il forte attaccante la prima vittoria in un torneo importante, riuscendo a vincere quella coppa nazionale sfuggita la stagione precedente.
In particolare spicca la sua tripletta nella semifinale contro l'Eintracht Francoforte, decisiva per il pirotecnico 6-3 finale.
La finale viene vinta per 4-3 contro il Colonia e Rufer ha il merito di segnare la prima rete della sua squadra.
I miglioramenti dei ragazzi di Rehhagel sono continui e la stagione 1991/1992 viene ricordata come quella della prima affermazione internazionale, la vittoria della Coppa delle Coppe.
Tale competizione viene vinta in finale contro il Monaco e la punta neozelandese segna il secondo gol nel 2-0 finale per i tedeschi.


Questo risulta essere il suo quarto gol nel suddetto torneo: curiosamente gli altri 3 li segna tutti in un'unica partita contro i rumeni del Baçau e per di più in soli 31 minuti.
Nella stagione successiva arriva per Rufer la prima ed unica affermazione in Bundesliga, con il Werder Brema che precede di una sola lunghezza il Bayern Monaco.
Ovviamente il contributo del centravanti è notevole, con ben 17 reti segnate, 2 delle quali realizzate nel decisivo 4-1 contro i diretti rivali in classifica.
Nello stesso anno il club perde la Supercoppa Europea contro il Barcellona, in una doppia sfida terminata con un pareggio all'andata ed una sconfitta per 2-1 al Camp Nou. In quest'ultimo incontro, Rufer ha il merito di segnare il momentaneo pareggio su calcio di rigore.
La stagione 1993/1994 vede il Werder Brema faticare in campionato, dove ottiene solo un deludente ottavo posto. Molto meglio il cammino in Champions League, dove Rufer e compagni arrivano fino al girone finale, concluso al terzo posto dietro a Milan e Porto.
Proprio l'ispirato centravanti si laurea capocannoniere del torneo con 8 reti, 4 delle quali segnate nel decisivo girone finale, compresa una segnata su rigore proprio contro il Milan. 
A parziale consolazione arrivano due importanti successi: la vittoria nella Supercoppa di Germania, dopo una lunga finale contro il Bayer Leverkusen. Rufer realizza il penalty del provissorio 2-1, appena prima che Kirsten fissi il risultato sul 2-2. Dopo i calci di rigore la vittoria va al Werder Brema, con la punta che si conferma freddissimo dal dischetto, realizzando il suo tentativo.
L'altra affermazione arriva in Coppa di Germania, grazie alla vittoria per 3-1 contro il Rot-Weiss Essen. La terza rete la segna proprio Rufer, mettendo il suo immancabile sigillo sulla partita.
L'ultima stagione della punta oceanica a Brema vede la squadra terminare al secondo posto in campionato alle spalle del Borussia Dortmund, che prevale di una sola lunghezza.
Nella Coppa delle Coppe il Feyenoord la elimina negli ottavi di finale, mettendo fine alle velleità di replicare il successo del 1992.
L'unica affermazione arriva nuovamente nella Supercoppa, dove vengono battuti per 3-1 i rivali del Bayern Monaco. La partita viene decisa ai supplementari ed ancora una volta a chiudere i conti ci pensa Rufer.
La sua avventura con i biancoverdi termina nel 1995, quando accetta l'offerta della squadra giapponese del JEF United. Nel campionato nipponico segna 25 reti in 49 partite, ma il richiamo del calcio europeo è ancora forte, tanto da venire tesserato dal Kaiserlsautern nel 1996.
La sua seconda esperienza nella Bundesliga non è felicissima, anche perchè è arrivata nella parte finale della sua brillante carriera. Dopo solo 13 apparizioni e 4 reti decide di tornare nella sua nazione natale, per giocare fino al 2002 con le maglie del Central United, del North Shore United e dei Footbal Kingz.
Nel 1997 termina anche la sua esperienza con la maglia della nazionale, chiudendo con 17 reti in 38 partite ed il riconoscimento di giocatore più forte del secolo.
L'analisi della sua carriera lo lega indiscutibilmente al Werder Brema, con il quale ha vinto in ogni contesto, dimostrandosi decisivo in termini di realizzazioni e giocate positive per i compagni,
Rufer può essere considerato uno degli attaccanti più forti del periodo, proprio in virtù della sua intelligenza tattica e di una tecnica finissima, messe al servzio della squadra in modo perfetto.


La sua abilità risiede anche nell'essersi ambientato ad un contesto diverso dal suo, probabilmente aiutato dall'ambiente svizzero, che lo ha aiutato non solo dal punto di vista tecnico. 
Resta il fatto che le iniziali diffidenze sono ben presto svanite e la sua crescita come attaccante e uomo squadra è stata costante, arrivando al top del calcio europeo, al cospetto dei grandi campioni protagonisti del momento.
Tante volte il paese di origine di un giocatore non è indicativo del suo valore e negli anni '80 il pubblico europeo si è reso conto che anche l'altra parte del mondo può produrre ottimi giocatori. Oppure, come in questo casi, veri e propri campioni.



Giovanni Fasani

venerdì 25 luglio 2014

BRASILE 2014: LE BOCCIATE

Eccoci arrivati a descrivere nel dettaglio le deludenti prestazioni delle nazionali che non hanno rispettato le attese o che si sono rese protagoniste di un torneo davvero mediocre.
Come vedremo, in tale analisi sono presenti anche squadre considerate tra le favorite alle vigilia, ma mai protagoniste ai livelli sperati e ben presto estromesse dal Mondiale.

CROAZIA: inserita nel girone dei padroni di casa del Brasile, la squadra di Niko Kovac sembrava essere destinata al secondo posto, dato il notevole tasso tecnico a disposizione, sulla carte nettamente superiore a quello di Messico e Camerun.
La squadra croata ha ben impressionato con il Brasile, nonostante la sconfitta, per poi dilagare con il già citato Camerun, con un 4-0 che ha messo in luce tutta la qualità della compagine balcanica.
Ma nel decisivo incontro contro il Messico, la squadra si è sfaldata, evidenziando certi limiti tattici e caratteriali che sono pesati più delle singole individualità.
Per tutto il torneo il portiere Pletikosa non ha dato mai sicurezza, incappando anche in qualche errore. La coppia di difensori centrali formata da Lovren e Corluka è sempre sembrata in difficoltà nei movimenti, pagando a caro prezzo la differenza di passo rispetto ad attaccanti più rapidi.
I 6 gol presi nelle due sfide decisive la dicono lunga sull'affidabilità della retroguardia e sulla capacità della linea mediana di garantire un sufficiente filtro e la necessaria copertura.
Le note positive vengono dal solito Modric, ormai a tutti gli effetti uno dei centrocampisti più forti d'Europa e maestro nel fare sempre la cosa giusta e nel non perdere mai un pallone.
Accanto a lui Rakitic è sembrato un po' fuori dal gioco, mettendo in mostra la sua classe con il contagocce.
Una piacevole scoperta è stata Ivan Perisic, esterno sinistro di grande corsa e potenza, unite ad uno spunto di ottimo livello. Tutto questo nobilitato anche da due marcature di ottima fattura, una delle quali inutile nella partita contro la rappresentativa messicana.
Nel reparto offensivo il potente Mandzukic ha saltato la partita d'esordio, per poi far valere la sua fisicità contro la modesta difesa camerunense con una doppietta.
Queste due realizzazioni sono stati i suoi unici acuti, tenuto conto degli scarsi rifornimenti e considerate le non brillanti alternative (Jelavic su tutti).
Il non più giovanissimo Olic si è sobbarcato un gran lavoro sulla fascia e a lungo andare ha pagato il sacrificio, nonostante possa ritenersi un elemento positivo della sua nazionale.
L'aver perso la partita decisiva con il favore del pronostico e il non aver sfruttato una innegabile dose di talento, mettono la Croazia tra le delusioni. 

CAMERUN: l'impressione destata dalla squadra africana è stata quella di un gruppo spaccato e poco sereno, dove la questione dei compensi ha forse minato l'unione dello spogliatoio.
Poco davvero si può salvare della compagine del commissario tecnico Finke, quasi mai scesa in campo con il giusto piglio e con diversi problemi tecnici.
Il reparto difensivo ha evidenziato le carenze più evidenti, con giocatori come Assou Ekotto e N'Koulou davvero irriconoscibili rispetto alle loro potenzialità. I 9  gol presi sono figli di una scarsa applicazione tattica e di certi svarioni derivanti da poca concentrazione e scarsi collegamenti tra i reparti.
Per Matip c'è stata la gioia dell'unica rete realizzata dal Camerun nella competizione, ma le sue prestazioni non sono state positive in termini difensivi.
A centrocampo anche Song è sembrato in grande difficoltà fisica e tecnica, finendo anzitempo il suo Mondiale contro la Croazia per un assurdo fallo di reazione su Mandzukic.
Al suo fianco il giocatore del Siviglia Mbia ha provato a dare il solito contributo di sostanza, ma è sembrato davvero abbandonato al suo destino, ricevendo poco aiuto da Enoh, apparso sovente in difficoltà.
L'allenatore tedesco ha concesso poco spazio a Makoun, privando la squadra di un elemento esperto e costantemente positivo a livello di club nel Rennes.
Per quanto concerne le soluzioni offensive, sembra esserci davvero poco da salvare, principalmente per quanto riguarda Eto'o visto in campo solo con il Messico e poi appiedato da problemi fisici.
Senza il proprio giocatore di riferimento il Camerun ha messo in evidenza una netta sterilità offensiva, causata dalla brutte prestazioni Moukandjo, Aboubakar e Webo, mai pericolosi nel corso della manifestazione.
Discrete le prestazioni di Choupo Moting, dimostratosi  molto rapido nel dribbling e nel guadagnare la linea di fondo per servire i compagni d'attacco
La brutta figura rimediata nasce dall'essersi presentati senza la giusta mentalità e con un evidente carenza in termini di talento, evidenziata dall'assenza dei cosiddetti nomi nuovi sui quali investire per rinverdire i fasti dei Mondiali precedenti.

ITALIA: il pessimo epilogo della spedizione azzurra può essere riassunto nelle parole del commissario tecnico Prandelli al termine della sfida con l’Uruguay: fallimento del progetto tecnico.
Il nuovo allenatore del Galatasaray si è affidato al blocco Juventus, non ricevendo le risposte desiderate, specie in difesa, dove Chiellini ha mostrato i soliti limiti e Bonucci è apparso un po’ inadeguato nella difesa a 4, giocando solo nell’ultima partita.
Nel reparto arretrato sono arrivate buone indicazioni dal torinista Darmian, in assoluto uno dei più positivi, mentre Barzagli è sembrato il centrale più sicuro, salvo essere limitato dai consueti acciacchi fisici.
A centrocampo il compito di dare geometrie era ovviamente affidato a Pirlo, il quale, dopo un ottimo esordio contro l’Inghilterra, è sembrato avere un calo fisico nei successivi incontri, pagando anche il clima e perdendo la proverbiale lucidità.
I problemi fisici di De Rossi hanno privato la squadra in un altro organizzatore di gioco, mentre Verratti avrebbe meritato più spazio e fiducia, soprattutto nel match contro la Costa Rica. Per il centrocampista del PSG sono sembrati evidenti i progressi in termini di personalità e gestione del possesso palla.
Positivo l'apporto di Candreva, anche se il suo rendimento è andato in calando, non garantendo più ficcanti azioni sulla fascia destra decisive contro l'Inghilterra.
Discorso analogo per Marchisio, che dopo la buon prova dell’esordio non è riuscito a distinguersi per agonismo e capacità di inserimento, anche a causa dell’assurda espulsione contro la squadra uruguaiana.
Per quanto riguarda l’attacco, quasi tutto il peso era sulle spalle di Balotelli, il quale ha di nuovo evidenziato i soliti limiti caratteriali, finendo per essere sostituito dopo 45 minuti nel decisivo impegno contro l’Uruguay.
Dopo il gol con l’Inghilterra non è più riuscito ad essere decisivo, pagando anche il fatto di essere l’unica punta schierata in campo dall’inizio.
L’allenatore ha scelto attaccanti non idonei alla manifestazione, come Cassano (fuori forma), Immobile ed Insigne (ancora inesperto per tali contesti) e non convocando un’altra punta centrale in grado di subentrare a Balotelli o a garantire quella presenza necessaria nell’area di rigore.
Le decisioni di Prandelli e la scarsa unione del gruppo hanno portato ad una delle pagine più brutte della storia della nazionale, che va subito dimenticata, attraverso un oculato lavoro di programmazione e dimostrando maggior fiducia nei confronti dei giovani talenti.

SPAGNA: dopo un Mondiale e due Europei vinti sembra essere arrivata la fine di quella generazione che ha dominato il calcio negli ultimi anni a livello di nazionali.
Gli interpreti di tale strepitoso ciclo si sono presentati alla rassegna ormai saturi di vittorie e, probabilmente, nella fase calante della propria carriera.
A tal proposito hanno destato meraviglia le incertezze del portiere Casillas, resosi anche protagonista di una goffa papera contro l’Olanda.
Le coppia difensiva formata da Piquè e Sergio Ramos ha evidenziato limiti enormi in termini di movimenti ed efficacia della marcatura, dando la sensazione di scarsa concentrazione e trovando poco aiuto dal centrocampo.
Discorso analogo per gli esterni, tra i quali Azpilicueta e Jordi Alba sono sempre apparsi in totale difficoltà ed in balia dell'avversario.
Tali limiti sono stati evidenziati maggiormente dalla partita d'esordio contro l'Olanda, dove le accelerazioni di Robben hanno letteralmente travolto i difensori spagnoli.
In quest’ultimo reparto è mancato il classico sistematico pressing da sempre marchio di fabbrica della iberica, con Xavi apparso in debito d’ossigeno e Busquets completamente fuori forma e contesto.
Il tecnico Del Bosque ha ricevuto poco anche da Silva ed Iniesta, chiamati a dare quella fantasia che è invece mancata per tutta la manifestazione.
Probabilmente avrebbero meritato più fiducia Koke, vero nome nuovo di tale reparto, ma impiegato solamente a giochi fatti.
Il venire meno dei cardini del tiki taka ha reso la Spagna vulnerabile come non è mai stata, mettendo in imbarazzo i difensori, non abituati ad essere attaccati con continuità dagli avversari.
La volontà di insistere con tale celebrato sistema di gioco ha messo in evidenza i limiti fisici e l'attitudine al sacrificio del gruppo spagnolo, in certi momenti completamente allo sbando tatticamente.
A peggiorare le cose si è visto un Diego Costa non in condizione, ancora menomato dai guai fisici avuti nel finale di stagione. A causa del suo limitato contributo lo schema con una punta centrale di riferimento è sembrato davvero inapplicabile.
Le alternative non sono riuscite a sopperire a tale mancanza; Pedro non è mai riuscito ad incidere e Torres ha trovato gloria solo nell'ultima inutile partita contro l'Australia, match nel quale è andato a segno anche Villa, stranamente impiegato solo in questa gara.
In assoluto la più grande delusione del Mondiale per l'eliminazione al primo turno e per le modalità con la quale è maturata.

COSTA D'AVORIO: il modo nel quale gli "elefanti" hanno buttato via la qualificazione agli ottavi è davvero particolare: in vantaggio contro la Grecia subiscono il pareggio per un folle passaggio sbagliato di Tiotè e perdono la partita al 93° a seguito di un calcio di rigore causato da un goffo fallo di Sio.
Fino a questo sfortunato epilogo, gli uomini di Lamouchi avevano giocato un Mondiale sufficiente, dando qualche indicazione positiva e palesando qualche problema a livello tattico.
Dal punto di vista difensivo la squadra ha retto l'urto, andando in difficoltà solo contro la Colombia e avendo risposte sufficienti da Zokora, Bamba e Boka.
Si è messo in grande evidenza l'esterno destro Aurier, capace di garantire una spinta constante, quanto una disciplinata copertura sulla fascia di riferimento. Le sue prestazioni lo segnalano come uno degli esterni migliori della competizione.
A centrocampo il giocatore principale era ovviemente Yaya Tourè che non è stato strepitoso come nel Manchester City, limitandosi il più delle volte al semplice compitino. Probabilmente per lui e per il fratello Kolo Tourè ha pesato la tragica scomparsa del fratello durante la manifestazione.
Gli altri centrocampisti non sono stati in grado, per caratteristiche, di dare qualità alla manovra. Le prestazioni di Serey e Tiotè (salvo l'errore contro la Grecia) possono essere giudicate accettabili, se limitate alla fase di interdizione.
La fase offensiva ha vissuto sulle accelerazioni di Gervinho, dimostratosi in ottima forma e ad anche molto lucido e concreto nei pressi della porta, come dimostrano i due gol realizzati (molto bello quello realizzato alla Colombia).
Si conferma attaccante interessante Bony, giocatore molto completo tecnicamente ed autore di due reti durante il torneo, tra le quali quella illusoria contro la Grecia.
E' apparso invece lontano dalla miglior condizione Drogba, schierato titolare solo contro la squadra ellenica ed apparso nella fase terminale della sua grande carriera.
Senza il folle finale di gara dell'ultima partita staremmo parlando di una Costa d'Avorio positiva e per la prima volta agli ottavi; ma i limiti evidenziati in tale frangente la segnalano come forte delusione.

GIAPPONE: piuttosto negativa la partecipazione della squadra di Zaccheroni al Mondiale 2014, rappresentativa che ha dato la sensazione di una certa involuzione rispetto agli anni precedenti.
Tale fenomeno è evidente a livello difensivo dove i difensori giapponesi sono sembrati in difficoltà fisica e tattica nei confronti dei centravanti avversari. Yoshida e Konno hanno palesato molti limiti, non riuscendo ad opporsi con tempestività ai cross avversari e sbandando di fronte ad avversari tecnici e rapidi (Jackson Martinez su tutti).
Sulle fasce Nagatomo e Uchida hanno dato prova del consueto dinamismo, ma non sono riusciti a dare qualità alle sortite offensive.
Incerto anche l'estremo difensore Kawashima, con particolare riferimento al decisivo gol di Gervinho nella sfida contro la Costa d'Avorio.
Anche a centrocampo si sono visti palesi limiti di costruzione del gioco e la solita ragnatela di passaggi fatti ad elevata velocità non è sembrata essere un'arma vincente.
Honda era chiamato a dare quel qualcosa in più alla manovra ed è riuscito a dare un buon contributo alla fase offensiva (suo il gol contro la Costa d'Avorio), nonostante sia sempre un po' carente in termini di velocità.
In fase di possesso palla la frenesia e le scarse alternative di passaggio hanno evidenziato i limiti di giocatori come Hasebe e Yamaguchi, discreti solo nel dinamismo.
Lo stesso Kagawa è sembrato un po' perdersi alla ricerca di spazi nei quali esprimersi e non è riuscito a garantire la superiorità numerica in attacco.
Sul fronte offensivo le punte giapponesi non sono apparse all'altezza di una simile competizione e sembra esplicativo che solo Okazaki sia riuscito a trovare la via della rete (peraltro inutile nell' 1-4 contro la Colombia).
Zaccheroni ha dato spazio a tutte le alternative offensive a sua disposizione, ma nessuno tra Okubo, Osako, Kakitani o Kiyotake si è distinto per un particolare contributo.
In estrema sintesi le lacune erano presenti in ogni reparto ed il solo punto conquistato dà l'esatta dimensione del livello qualitativo della rosa in questione.

INGHILTERRA: la nazionale guidata dal Hodgson ha lasciato il Mondiale con un solo punto conquistato, dando la sensazione che sia necessaria una profonda opera di rifondazione.
Durante il torneo la squadra non ha demeritato contro Italia ed Uruguay, giocando partite equilibrate con le avversarie in questione.
La squadra inglese è mancata però nei momenti decisivi, specie in difesa, dove Cahill e soprattutto Jagielka hanno più volte perso attaccanti come Suarez e Balotelli in occasione dei gol subiti.
I due esterni Johnson e Baines hanno garantito una buona spinta, ma il secondo in particolare è sembrato un po' in difficoltà in fase di copertura, specie se attaccato con costanza e non aiutato dal centrocampo.
In questo reparto Gerrard e Henderson sono sembrati un po' provati dalla stancante stagione nel Liverpool, mancando soprattutto della necessaria dinamicità.
Nel caso del capitano ci si poteva aspettare qualcosa in più in termini di impostazione di gioco, nonostante sia stato il consueto leader morale e tecnico.
Probabilmente l'allenatore doveva dare maggiore fiducia ai giovani Wilshere e Barkley, apparsi in forma e propositivi, ma impiegati come titolari sono nell'inutile ultimo impegno contro la Costa Rica.
Con riferimento ai giovani, va segnalato Sterling, giocatore velocissimo e abilissimo nel dribbling, apparso come uno dei più positivi della spedizione inglese.
In attacco Sturridge ha confermato le sue qualità, dimostrandosi bravo in area quanto a partire da lontano alla ricerca della conclusione con il suo notevole piede sinistro.
Rooney si è sobbarcato il solito lavoro di raccordo per la squadra, macinando chilometri, ma perdendo qualcosa in termini di precisione davanti alla porta.
Solo a sprazzi si è visto Wellbeck, in possesso di indubbie qualità, ma ancora soggetto a troppe pause durante la partita.
Uno dei nomi nuovi del calcio inglese, Lallana, ha trovato poco spazio, sebbene potesse essere utile per versatilità e capacità di servire le punte.
Quello che è mancato alla compagine di Hodgson è stata la capacità di gestire meglio le diverse situazioni di gioco, sprecando più di un'occasione e venendo sempre punita a seguito del pareggio ottenuto, segno di una scarsa attenzione difensiva.
A questi livelli gli episodi sono fondamentali e l'Inghilterra li ha avuti colpevolmente tutti contro.

PORTOGALLO: se si pensa alla squadra lusitana dei nostri giorni è facile identificarla in Cristiano Ronaldo, autentico fenomeno del calcio mondiale ed assolutamente decisivo nello spareggio di qualificazione contro la Svezia, dove ha segnato 5 gol nei 2 incontri.
Anche a causa di una condizione fisica deficitaria il campione del Real Madrid ha inciso poco nella competizione ed il solo gol realizzato contro il Ghana sembra essere nulla, se paragonato alla sua strepitosa media realizzativa.
L'allenatore Paulo Bento ha avuto davvero poco dagli altri giocatori, a partire dai difensori in costante difficoltà per tutto il torneo.
Nella sconfitta con la Germania, Bruno Alves e Pepe sono sembrati davvero inadeguati, con il giocatore del Real Madrid che è stato anche espulso nel primo tempo per una testata a Muller.
Tali imbarazzi difensivi sono proseguiti nelle altre partite, dove anche l'esterno destro Joao Pereira è sembrato lontano dal consueto rendimento ed Andrè Almeida ha fatto rimpiangere l'infortunato Coentrao.
In fase di costruzione di gioco hanno deluso giocatori come Moutinho e Miguel Veloso, mentre Meirelles sembra lontano parente del giocatore ammirato nel Porto, nel Liverpool e nel Chelsea.
Ci si aspettava qualcosa di più da William Carvalho, uno dei centrocampisti emergenti del calcio europeo, il quale sembra ancora lontano dalla definitiva consacrazione.
Nani ha offerto le solite prove altalenanti, eternamente diviso tra grandi giocate, interminabili pause e soluzioni offensive rivedibili.
Con Ronaldo non al 100%, gli altri attaccanti non sono riusciti a farsi valere, rappresentando solo occasionalmente un pericolo per le difese avversarie.
Helder Postiga è stato importante nel girone di qualificazione, ma dopo un anno tormentato tra Valencia e Lazio si è presentato non in condizione e l'infortunio nella seconda gara ha messo fine al suo Mondiale.
Discreto l'apporto di Varela, quantomeno per il gol contro gli Stati Uniti, che aveva tenuto accesa una piccola speranza di qualificazione.
Paulo Bento ha dato fiducia anche ad Eder del Braga, ma l'attaccante originario della Guinea non ha fornito prestazioni positive.
Bloccatosi Cristiano Ronaldo si è bloccato anche il Portogallo e per una squadra che ambiva ad arrivare in fondo non può che essere un fattore molto negativo.

GHANA: poteva essere il mondiale della consacrazione per il Ghana, dopo che 4 anni fa un maledetto rigore calciato da Asamoah Gyan al 122° minuto del quarto di finale, eliminò di fatto la squadra africana che sfiorò una storica qualificazione alle semifinali.
Ed invece parliamo di una disfatta, sia sotto il profilo tecnico che su quello in termini di rapporti umani.
La spedizione guidata da Kwesi Appiah non ha rispettato le attese e subito nella prima partita ha dovuto perire contro gli Stati Uniti risultati più freschi dal punto di vista fisico. Aggiungiamoci la poca esperienza internazionale di Harrison Afful (difensore dell'Esperance Tunisi) e di Samuel Inkoom (difensore del Platianas) e si ottiene un mix di 0 vittorie. Con questo non vogliamo assolutamente dire che la colpa sia solo loro; anche il centrocampo ha avuto le sue lacune con il solito distratto Muntari che alterna buone cose a cali di attenzione non da poco. Si è ben distinto Cristian Atsu motorino instancabile e giovane promessa del Vitesse, a tratti il migliore dei suoi.
Il reparto che ha funzionato meglio è stato quello d'attacco, dove Andre Ayew ed il solito generoso Asamaoh Gyan hanno trascinato la squadra mettendo a segno due gol a testa; il gioco ghanese passava quasi sempre da loro senza che il tecnico Appiah desse qualche valida alternativa alla solita prevedibilità.
In ultimo ma non di certo perché meno importante, l'ambiente. Tra la seconda partita contro la Germania e la terza contro il Ghana, si sono resi protagonisti in negativo proprio Muntari e Kevin Prince Boateng, rei di aver discusso animatamente (si parlava anche di mani addosso) con un dirigente della federazione il primo, con il CT il secondo.
Rispediti anzitempo a casa (contro il Portogallo non sono scesi in campo) hanno notevolmente contribuito alla disfatta.

COREA DEL SUD: la nazionale asiatica è arrivata in Brasile tra l'entusiasmo della propria gente, certa che la nazionale guidata da Hong Myung-Bo potesse passare per lo meno il girone. Ed invece conquista 1 solo misero punto e la coda del girone.
Nella prima partita contro la Russia si è messo in evidenza il solo Ki Sung-Yueng, centrocampista 25enne del Sunderland che ha però presentato limiti caratteriali non indifferenti. Qualche piccolo sprazzo di calcio l'ha messo in mostra anche Lee Chung-Yong, classe 1988 trequartista de Bolton. Per lunghi tratti di tutti e tre i match è stato colui che più di tutti ha preso in mano le redini del gioco ma mai realmente supportato da qualche compagno. Tutto ciò ha messo in ombra anche Koo Ja-Cheol, attaccante del Mainz e molto atteso al mondiale; ha però deluso non entrando mai nel vivo del gioco e mostrando una carenza fisica enorme. Bene invece Son Heung-Ming attaccante in forza al Bayer Leverkusen ma troppo solo nel cercare i rimontare dalla disfatta algerina.
Qualcosa in più ci si aspettava dal difensore centrale in forza al Guangzhou di Lippi, Kim Yong-Gwon ma la scarsa intesa con l'altro centrale Hong Jeong-Ho e la pochissima esperienza in palcoscenici del genere ne hanno fatto uno dei giocatori più deludenti del mondiale.
Il fatto di giocare insieme da tantissimi anni non è servito ad evitare uno dei peggiori mondiali della storia coreana.

RUSSIA: la compagine guidata da Fabio Capello si presenta alla rassegna brasiliana con 23 giocatori tutti militanti nel locale campionato. A testimonianza che nel calcio russo c'è ancora molto da lavorare, vengono messi in evidenza giocatori mediocri uniti ad alcuni errori tecnici da non far vedere alle scuole calcio.
Il peggiore di tutti è stato di sicuro Igor Akinfeev, esperto portiere del CSKA Mosca, colpevole in 2 gol su 3 subiti dalla nazionale russa.
Anche la difesa non se l'è passata bene, soprattutto nella seconda gara contro il Belgio dove Dmitrij Kombarov è stato letteralmente preso in giro dalla rapidità di Mertens; meglio di lui ha fatto l'altro terzino Aleksej Kozlov che si è limitato al suo compitino unito a qualche fugace apparizione sulla trequarti avversaria. Ha retto abbastanza bene anche Vasilij Berezutsky, 31 enne centrale del CSKA, l'unico in grado di essere il vero leader della squadra.
A centrocampo è il solo Denis Glushakov a meritare la stiracchiata sufficienza mentre Oleg Shatov e Viktor Fajzulin sono apparsi spesso confusionari e mai in partita.
Davanti è solo Aleksander Kerzhakov a distinguersi; impiegato da Capello per pochi minuti contro la Corea, regala il pareggio ai suoi anche e mette in mostra qualche buona giocata nel decisivo match contro l'Algeria. Troppo poco nonostante lo splendida rete all'Algeria per Aleksander Kokorin, autore di uno dei gol mangiati più clamorosi di tutta la manifestazione brasiliana contro il Belgio.
Per la Russia c'è tempo per crescere e rifarsi nel mondiale di casa propria che si disputerà tra 4 anni.

HONDURAS: quando si dice "l'importante è partecipare". la Seleccion honduregna arriva al mondiale senza la necessaria esperienza, rendendosi protagonista di tre autentici scivoloni nel girone con Francia, Ecuador e Svizzera.
La rosa affidata al colombiano Luis Fernando Suarez presenta il solo Wilson Palacios come elemento cardine ma il centrocampista dello Stoke City si fa male subito rendendo vane le pochissime speranze di far bene.
In porta il 37enne Noel Valladares alterna belle parate a cali di tensione inaccettabili. La difesa regge male in quasi tutti gli attacchi avversari, soprattutto sulle fasce dove Emilio Izaguirre (in forza al Celtic) e Brayan Beckeles soffrono paurosamente le folate degli esterni. Qualcosina in più hanno mostrato i due centrali Maynor Figueroa (che sarebbe un terzino) e Victor Bernardez, abili a chiudere la porta in faccia nelle prime battute della partita, salvo poi affondare quando affondano tutti gli altri.
In mezzo al campo l'unico a salvarsi è Roger Espinoza, per lo meno è colui che ci mette più cuore e sapienza tattica andando spesso in chiusura e rincorrendo senza sosta gli avversari.
La pochezza realizzativa è mostrata dai due attaccanti Carlo Costly e Jerry Bengtson, mai al centro dell'azione; francamente è difficile capire che ruolo abbiano nella fase offensiva, nessuno dei due viene incontro né va in profondità. Davvero due grossi punti di domanda nella marea di interrogativi della selezione honduregna.

BOSNIA: spiace mettere la nazionale bosniaca (prima apparizione in un mondiale) tra le delusioni di questo mondiale. Ma quando in rosa si hanno determinati nomi che hanno ben figurato nell'arco dell'ultima stagione, è naturale aspettarsi qualcosa in più.
La nazionale guidata da Safet Susic viene inserita nel Gruppo F con Argentina, Iran e Nigeria facendo pensare a tutti che, scartato il primo posto che andrà alla squadra di Sabella, qualificarsi agli ottavi non sarà poi così difficile.
Le premesse per altro non sembrano così malvage e nella prima gara contro l'Argentina viene messo in luce un buon gioco con Senad Lulic a fare da cursore sulla sinistra, ma il gol di Vedad Ibisevic arriva troppo tardi per evitare la sconfitta. Tuttavia la nazionale di Susic non demerita anche se il successivo match con la Nigeria diventa subito decisivo per la qualificazione. Nonostante Edin Dzeko metta a segno un gol regolare (annullato per presunto fuorigioco), il forte attaccante del Manchester City risulta svogliato e con poca brillantezza, sbagliando passaggi elementari ed utilizzando soluzioni rivedibili in fase conclusiva.
L'unico che si distingue per corsa e tecnica è Miralem Pjanic che dopo la positiva stagione alla Roma, mette in mostra ancora una volta le sue qualità togliendosi anche la soddisfazione del gol personale nell'ultima partita contro l'Iran.
Nella sconfitta contro la Nigeria viene meno anche la gestione della partita da parte di Susic che nella ripresa manda in campo giocatori offensivi senza dargli precisi compiti di reparto. Ne fanno le spese in questo caso Zvezdan Misimovic dotato di gran piede ma ormai in parabola discendente e spesso troppo lento nella manovra. Haris Medunjanin, fulmineo esterno d fascia sinistra che però concretizza poco l'enorme mole di lavoro che produce in fase di ripartenza. Izet Hajrovic, che da quando è passato al Galatasaray via Grasshoppers non ha mai messo in mostra le proprie caratteristiche di trequartista furbo e lucido negli ultimi metri. Ed infine Sejad Salihovic che nella mezzora disputata contro gli africani non è mai in grado di accendere la luce.
Si segnala, in difesa, la buona prestazione di Muhamed Besic, giovane difensore centrale del Ferencvaros ma già sui taccuini di qualche club di maggior blasone. Per il 21enne nativo di Berlino un mondiale all'insegna della forza fisica.

Termina così la nostra personale analisi del Mondiale appena concluso, dove abbiamo voluto condividere qualche osservazione, qualche dato e fare un generale bilancio delle 32 formazioni protagoniste della rassegna.

mercoledì 23 luglio 2014

BRASILE 2014: LE RIMANDATE

L’analisi delle 32 formazioni a Brasile 2014 prosegue con le cosiddette “rimandate”, ovvero le squadre che hanno parzialmente deluso o che hanno semplicemente rispettato le non ottimistiche previsioni della vigilia.
Questa categoria funge quindi da intramezzo tra le protagoniste positive del Mondiale e le rappresentative che hanno fallito i propri obbiettivi, fornendo pessime prestazioni.
Partiamo con la nostra valutazione dalla squadra ospitante, che da papabile vincitrice del torneo si ritrova a fare i conti con uno dei momenti più bui della sua storia.

BRASILE: dopo il Maracanazo arriva un’altra cocente delusione per i tifosi brasiliani, dovuta alla pesante sconfitta in semifinale contro la Germania per 7-1.
Da quel momento gli uomini di Scolari sembrano cadere in un autentico baratro tecnico e mentale, concluso con la successiva sconfitta contro l’Olanda nella finale per il terzo posto.
Fino all’infortunio la stella annunciata Neymar riesce a trascinare i compagni con i gol e giocate di alto livello, coprendo anche i limiti di gioco della sua squadra. 
La sua forzata dipartita priva il Brasile del proprio punto di riferimento, dimostrando tutta la pochezza del pacchetto offensivo, dove Fred sembra essere al culmine della carriera e Jo assolutamente inadeguato al livello della competizione.
A ridosso delle punte si alternano una serie di giocatori che solo saltuariamente riescono a dare un sostanzioso contributo, limitati dalla pressione e da qualche limite tecnico.
Hulk ricalca in pieno tale descrizione, risultando molto prevedibile nella ricerca della conclusione, sfruttando il suo sinistro potente, ma quasi mai preciso.
A tratti Oscar sembra dare prova del suo notevole talento, salvo talvolta perdersi, un po’ offuscato dalla luce di Neymar ed infine travolto dal caotico e pessimo finale di Mondiale.
Nella fase mediani si fa apprezzare Luiz Gustavo, brasiliano atipico dal gran senso tattico ed in grado di rompere sul nascere le iniziative avversarie.
Accanto a lui gioca inizialmente il deludente Paulinho, non inserito negli schemi e non adatto ai compiti affidategli dallo staff tecnico. A torneo in corso gli viene preferito Fernandinho, che dopo un ottimo esordio incappa in una disastrosa prestazione in semifinale.
La squadra sudamericana presenta una difesa composta da nomi importanti, ma che da subito intepretano male la suddetta fase; Dani Alves e Marcelo, fuori luogo nel ruolo di esterni bassi, si trovano a disagio nei compiti di marcatura ed appaiono svagati nei relativi movimenti della linea difensiva. Tale scarsa inclinazione è visibile già dalla prime partite, tanto che al posto del giocatore blaugrana viene preferito Maicon nei successivi impegni.
David Luiz viene impostato come centrale difensivo, dimostrandosi sicuro ed anche valido in impostazione, così come pronto a spingersi in avanti (sua la rete negli ottavi di finale contro il Cile). Grazie alla sua abilità tecnica è temibile sui calci di punizione ed in tal senso si ricorda il gran gol segnato contro la Colombia nei quarti di finale.
Dalla semifinale in poi sembra, però, un altro giocatore: contro la Germania perde le misure e la sicurezza abituale, risultando sempre in affanno e costantemente distante dall’avversario. Prosegue il momento negativo contro l’Olanda, nonostante il rientro di Thiago Silva.
Quest’ultimo è il capitano e leader della squadra e per tutto il torneo è impegnato a sopperire alle mancanze dei compagni di reparto, finendo per andare in difficoltà nell'ultimo match.
Tra i pali Julio Cesar si esalta nella lotteria dei calci di rigore con il Cile parandone due, ma nelle altre partite non trasmette la solita sicurezza.
L’allenatore brasiliano non si dimostra flessibile ai cambiamenti e nonostante le evidenti difficoltà non varia l’assetto tattico, insistendo con un modulo che mal protegge la difesa e mal si adatta alle caratteristiche di certi interpreti.
Con tutti questi problemi e difetti, il quarto posto sembra un risultato accettabile, nonostante le attese di tifosi e media.

AUSTRALIA: sembra strano non includere nelle delusioni una squadra che ha chiuso il girone con 0 punti, ma l’Australia, etichettata come la meno competitiva del Mondiale, non ha completamente sfigurato contro avversarie più forti.
Tolta la netta sconfitta contro la Spagna, contro Cile e Olanda ha espresso prestazioni volenterose e positive, sfiorando anche l’ottenimento di un risultato positivo .
In particolare contro gli arancioni la squadra di Postecoglou passa addirittura in vantaggio, prima di subire la rimonta, facilitata anche da un’incertezza del portiere Ryan, mai veramente sicuro tra i pali.
Tra i giocatori di movimento spicca Tim Cahill, impostato come unico centravanti e rivelatosi fortissimo sulla palle alte. Di lui si ricorda uno strepitoso gol contro l’Olanda, realizzato con uno straordinario sinistro al volo.
Positivo anche il contributo di Thomas Oar, esterno sinistro dalla gran velocità, ma ancora da affinare dal punto di vista tecnico.
Sulla fascia opposta si distingue Leckie, in grado di assicurare un spinta costante, ma talvolta inconcludente al momento di servire i compagni.
A centrocampo sembra mancare un po’ di qualità, con il solo compassato Jedinak a garantire geometrie e fosforo.
Ultima grande competizione per Mark Bresciano, arrivato alla fine di una notevole carriera.
Nel reparto difensivo sono visibili le pecche più evidenti, causate da un scarsa esperienza dei vari elementi, che non sono sembrati idonei alla competizione mondiale. Tali limiti sono stati evidenziati maggiormente da giocatori come Spiranovic e Davidson, in difficoltà al cospetto di avversari di altissimo livello.
L’Australia ha tentato di sopperire agli evidenti limiti tecnici con l’agonismo e la fisicità, ma nel momento decisivo la superiorità degli avversari ha fatto la differenza.
Lavorando con attenzione su tali aspetti ed aspettando la crescita di altri talenti, potrebbe esserci un salto di qualità a Russia 2018.

URUGUAY: le fortune della squadra di Tabarez erano affidate principalmente alla coppia formata da Cavani e Suarez, in assoluto una delle più forti del Mondiale.
Il primo si è sacrificato in un lavoro prezioso per la sqaudra, che lo ha visto partire molto distante dalla porta, anche quando è stato schierato come principale terminale offensivo.
Suarez, seppur condizionato da un infortunio, ha deciso il match con l'Inghilterra con una pregevole doppietta, a dimostrazione del fatto di saper essere decisivo.
Contro l'Italia è incappato nuovamente nel morso ad un avversario, a riprova dei suoi limiti caratteriali, soprattutto per il fatto che si tratta di una "ricaduta", essendosi già reso protagonista di tale deprecabile comportamento.
La sua assenza contro la Colombia a causa della squalifica, ha tolto all'Uruguay quell'imprevedibilità e quei movimenti da sempre marchio di fabbrica del nuovo attaccante del Barcellona.
Le alternative non si sono dimostrate all'altezza, con Forlan ormai a fine carriera e Stuani non accumanabile ai titolari in termini di mobilità e tecnica.
La compagine uruguagia ha evidenziato limiti tecnici a centrocampo, dove Arevalo Rios e Gargano si sono dimostrati abili nell'interdizione, ma modesti in fase di costruzione del gioco.
Per ovviare a tale difetto, Tabarez ha provato ad inserire Lodeiro, una delle eterne promesse di questa nazionale, non riuscendo però ad ottenere in pieno il contributo richiestogli.
Non sempre positivo Christian Rodriguez, il quale solo in parte è riuscito a creare la superiorità numerica e a garantire palloni utili al reparto avanzato.
La povertà di alternative ha limitato le scelte dell'esperto allenatore, che, fedele alla storia della Celeste, ha fatto dell'attesa e delle ripartenze la strategia principale.
Un altro punto forte doveva essere la difesa, comandata da Godin, reduce da una strepitosa stagione nell'Atletico Madrid. A dispetto delle attese il suo contributo non è stato del livello sperato, specie nelle partite contro Costa Rica e Colombia. Di lui si ricorda il gol decisivo contro l'Italia, partite nella quale ha offerto il rendimento maggiore del torneo.
Accanto a lui Caceres ha mostrato i soliti limiti, nonostante le discrete prestazioni offerte.
La vera nota positiva del reparto è Josè Maria Gimenez, giovanissimo centrale difensivo che ha impressionato per sicurezza e mezzi fisici.
La stiracchiata sufficienza deriva dai vari problemi palesati e dall'aver affrontato negli ottavi una Colombia superiore, giudata da un James Rodriguez in stato di grazia.

FRANCIA: la squadra di Deschamps si presentava al via con un buon mix di giocatori giovani ed affermati vetarani, con l'intento di dimenticare il pessimo risultato del torneo del 2010.
Perso alla vigilia Ribery, il peso dell'attacco è andato sulle spalle di Benzema, che dopo le brillanti prestazioni nel girone ha smesso di segnare, anche per merito di un grande Neuer nei quarti di finale. In assoluto il suo rendimento è però andato a diminuire, forse anche per il fatto di essere un po' troppo solo.
Tale discorso può valere per tutta la squadra; contro la Svizzera la Francia ha dato una dimostrazione di superiorità schiacciante, salvo poi calare di livello contro la Nigeria ed in parte contro la più forte Germania.
Accanto a lui si sono alternati Griezmann e Giroud a seconda della esigenze, ma entrambi non hanno lasciato più di tanto il segno.
Molto meglio ha fatto Valbuena, piccolo esterno dal passo rapido e dalle ottime qualità tecniche, in grado di garantire giocate per tutta la durata del match.
Pogba è stato votato miglior giovane del Mondiale e senza entrare nel merito della scelta, la sua crescita è costante, sorprendendo per personalità e completezza tecnico-tattica.
Accanto a lui sia Cabaye che Matuidi hanno offerto un positivo contributo, dimostrando i movimenti collaudati nel Paris Saint Germaian.
Al centrocampo francese è forse mancato un playmaker, ovvero il classico giocatore che dettasse i tempi e garantisse geometrie in mezzo a tanta fisicità ed agonismo.
La difesa ha evidenziato qualche limite, specie al centro, dove Koscielny e Sakho non sono sembrati sicurissimi e Varane non ha dimostrato quella crescita che sembrava certa nella scorsa stagione
Forse un maggior utilizzo di Mangala avrebbe dato quella rapidità che è sembrata essere carente nella retroguardia transalpina.
Sugli esterni Debuchy e Evra hanno interpretato il ruolo con abnegazione ed intelligenza, dimostrandosi tra i più positivi della spedizione.
La brillantezza di gioco offerta è stata una delle cose migliori della competizione e, sicuramente, con Ribery la competitivià degli uomini di Deschamps sarebbe cresciuta notevolmente.
Tra due anni nell'Europeo in casa, la Francia si presenterà "rodata" da questa esperienza, con i propri giovani in grado di fare in pieno la differenza.

SVIZZERA: la squadra di Hitzfeld  si presentava al via con una folta rappresentanza di giocatori militanti in Italia e con una serie di giovani alla prima grande esprienza internazionale.
Da questi ultimi ha avuto un contributo altalenante, considerando che Drmic, Mehmedi e Seferovic non sembrano essere ancora punte di riferimento di grande livello, nonostante gli ultimi due abbiano deciso la sfida con l'Ecuador.
La mancanza di una punta esperta e di peso è stata una delle principali lacune della squadra, vanificando gli sforzi del commissario tecnico nel ruotare gli elementi a disposizione.
Molto valide le prestazioni di Xhaka, giocatore davvero completo e dotato di notevole tecnica, il quale a sprazzi ha dato prova di potersi espirmere in più zone del campo.
Nella decisiva gara contro l'Honduras ha impressionato con una tripletta Shaqiri, giovane talento dal Bayern Monaco in possesso di un piede sinistro preciso e di un dribbling ubriacante, ma non ancora continuo e non inquadrabile tatticamente.
Il centrocampo, sorretto da Inler, Dzemaili e Behrami, ha dato prova di grande compatezza e, salvo la partita contro la Francia, è stato in assoluto il reparto cardine della squadra.
Tale reparto ha dato ottima copertura alla difesa, apparsa un po' statica, anche se positiva in elementi come Ricardo Rodriguez, esterno sinistro classe 1995 dalla buona personalità e dai notevoli mezzi.
L'altro esterno, Lichtsteiner, non ha dato il contributo sperato, andando un po' in difficoltà negli ottavi di finale e pagando, probabilmente, la pesante stagione nella Juventus.
Contro l'Argentina la squadra ha giocato una buona partita e solo la prodezza di Di Maria l'ha estromessa dal Mondiale, nel contesto di un incontro dove si è messo in mostra il portiere Benaglio. Tale eliminazione assume i connotati della beffa se si pensa a come è arrivata ,ed alla clamorosa carambola finale a seguito del palo di Dzemaili.
Nel complesso tolto il 2-5 subito dalla Francia, la Svizzera ha dato prova di buoni fondamentali e se i giovani completeranno la loro maturazione, la squadra elvetica potrà essere una mina vagante per i prossimi tornei. Per quanto riguarda il 2014 l'essere uscita con onore contro i vicecampioni può essere ritenuto un accettabile punto di partenza per il futuro.

ECUADOR: l'obiettivo della squadra sudamericana era quello di fungere da guastafeste tra Francia e Svizzera per il passaggio del turno.
Sin dall'esordio contro la squadre elvetica, la squadra di Rueda ha dimostrato di poter meritarsi quel ruolo, grazie a condotte di gara accorte ed a giocatori dinamici e fidelizzati al volere del tecnico.
Anche nelle successive partite, la squadra "moralmente" rappresentata dall'esperto difensore Walter Ayovi ha venduto cara la pelle, battendo l'Honduras e paraggiando 0-0 contro la Francia , potendo solo rammaricarsi per aver perso il match contro la Svizzera al 93° minuto.
Nel complesso di una compagine così organizzata, spicca la prova di Enner Valencia, attaccante autore di tutti e 3 i gol segnati dall'Ecuador al Mondiale. In tale competizione si è dimostrato centravanti completo, veloce e tecnico quanto valido nel gioco aereo.
Altro elemento di valore è Jefferson Montero rapido esterno in grado di saltare con facilità l'uomo ed instancabile ad accompagnare con continuità la fase offensiva.
Entrambi i giocatori sono protagonisti del campionato messicano, sembrano pronti per l'avventura nello stimolante campionato europeo; a ripreova di ciò, Valencia è stato appena acquistato dal West Ham.
Ci si aspettava qualcosa in più da Antonio Valencia, giocatore del Manchester United che non è riuscito a dare quel contributo aggiuntivo che un giocatore della sua esperienza dovrebbe dare. Inoltre la sua espulsione al 50° contro la Francia ha di fatto messo fine alle velleità di qualificazione in anticipo.
Rueda ha quindi puntato su di un centrocampo robusto ed affidabile, ottiamamente schierato a sostegno di una difesa valida nel gioco aereo, ma carente dal punto di vista dinamico.
Adibiti a questo compito erano Noboa e Minda, che, con l'aiuto degli esterni, hanno dato prova di abnegazione ed hanno interpretato nel dettaglio quanto richiesto dal commissario tecnico.
L'aver capito i propri limiti e l'aver giocato con estremo acume, ha consentito alla squadra sudamericana di ben figurare, uscendo al primo turno in modo anche fortuito e non pienamente meritato.

IRAN: con Carlos Queiroz in panchina i tifosi iraniani si aspettavano una crescita della propria nazionale, "rafforzata" anche da Ghoochannejhad, Davari, e Dejagah, giocatori nati in altre nazioni, ma convocati dal tecnico portoghese.
Tali giocatori hanno dato il contributo sperato, andando a garantire quella maggiore esperienza alla maggior parte dei compagni, non avvezzi a competizioni di tale livello.
Se l'esordio con la Nigeria può rappresentare una delusione per la qualità di gioco offerta, la successiva gara contro l'Argentina è ottimamente giocata dagli uomini di Queiroz.
Durante questa partita la squadra capitanata dall'ottimo Nekounam viene condannata solo da una magia di Messi al 91°, dopo aver impegnato più volte il portiere Romero. 
Squadra corta ed esterni abili negli inserimenti offensivi sono la tattica attuata, con Ghoochannejhad come unica punta ad aprire gli spazi per le incursioni dei centrocampisti.
Tale positiva disposizione non sortisce gli effetti desiderati nell'ultima gara con la Bosnia, persa per 3-1 e complessivamente mal intepretata da tutta la compagine.
La necessità di puntare su 4 difensori tutti militanti nel campionato iraniano (Hosseini, Hajafi, Pooladi e Sadeqi) segna la differenza in questo match, deciso dalla classe di Dzeko e Pjanic.
A centrocampo viene messa in evidenza la pochezza nella costruzione, con Nekounam e Shojaei non idonei all'impostazione dell'azione.
A nulla serve l'unico gol iraniano nel Mondiale di Ghoochannejhad, valido unicamente a confermare il discreto valore del centravanti del Charlton.
Una certa sterilità offensiva contro difese schierate è sembrato essere un altro limite, con Queiroz  che ha concesso pochissimo spazio agli altri attaccanti in rosa e solo con la Bosnia ha inserito Ansarifard a sostegno dell'unico terminale offensivo.
Considerati i limiti tecnici e le difficoltà per i giocatori iraniani di giocare partite ufficiali a causa delle sanzioni politiche, l'essere arrivati all'ultima partita con speranze di qualificazione si può ritenere una prestazione accettabile.

NIGERIA: il raggiungimento degli ottavi di finale è il coronamento del buon lavoro fatto dal tecnico Keshi, che sembra aver disciplinato una squadra di buon valore, ma nel complesso meno talentuosa delle precedenti spedizioni mondiali.
La Nigeria si dimostra più abile in contenimento che in fase offensiva, grazie ad un centrocampo robusto, comandato da John Obi Mikel e sorretto dall'ottimo Onazi.
La fase offensiva viene affidata a Odemwingie , Emenike e Musa.
Il primo si rivela discreto attaccante, abile a svariare su tutto il fronte offensivo e decisivo nel segnare l'importante rete contro la Bosnia nell'1-0 finale.
Emenike non è riuscito a rispettare le positive previsioni della vigilia, che lo vedevano come la punta principale della selezione africana.
Musa ha invece impressionato nel match contro l'Argentina, realizzando una bella doppietta e dimostrandosi come uno dei giovani più interessanti della rassegna.
Una buona alternativa tattica si è rilevata Moses del Liverpool, con il compito di collante esterno tra cantrocampo ed attacco, nonstante sia stato utlizzato solo in 2 gare.
La difesa  è apparsa discretamente organizzata, puntellata da elementi solidi e dinamici, ma non sempre irreprensibili nelle marcature. In tal senso l'ingresso del capitano storico Yobo dalla seconda partita ha dato qualche certezza in più in termini di posizionamento e gestione della linea difensiva.
Tra gli esterni si ben disimpegnato Ambrose, confermando quanto di buono mette in mostra nel Celtic.
Nel sfida degli ottavi contro la Francia si è notata una notevole differenza di caratura tra le due squadre, che solo la bravura del portiere Enyeama ha reso meno pesante.
Il portiere africano può essere indicato come uno dei massimi interpreti del Mondiale, anche per la sicurezza che riesce a dare al reparto.
Nonostante ciò, solo nel secondo tempo gli uomini di Keshi hanno ceduto ai transalpini, dopo una prima frazione giocata alla pari e con un atteggiamento tattico oculato ed efficace.
Un Mondiale di questo livello sembra essere il massimo risultato possibile per la squadra in questione.

Tra 2 giorni scopriremo quali squadre hanno veramente deluso nel Mondiale appena concluso, dopo aver celebrato le promosse ed analizzato le rimandate.